Eric, sardine e gabbiani: è il gioco dei 4 Cantona

Il grande ex campione torna a far parlare di sé con la rivelazione, che rivelazione non è, sulla mitica frase ‘marinara’ pronunciata dopo la condanna per il calcio a un tifoso
Eric, sardine e gabbiani: è il gioco dei 4 Cantona© Getty Images

Il bello degli artisti, che siano veri o ritenuti tali, è che possono contraddirsi o creare realtà parallele e nessuno glielo fa mai notare: potere della licenza creativa, o poetica. Prendiamo Eric Cantona, artista sul campo di calcio e, ora, artista a tutto tondo: l’altroieri ha dichiarato che la famosa frase pronunciata nel 1995 in una conferenza stampa, «quando i gabbiani seguono un peschereccio, è perché pensano che le sardine verranno gettate in mare», non voleva dire nulla di specifico, ma questa storia non è nuova, anzi, e nemmeno è la prima volta che Cantona fa quell’ammissione. Ben dodici anni fa era già stata svelata la genesi bizzarra di quella frase, e la spiegazione coincide solo in parte, licenza creativa appunto, con quella più recente. Come scrisse infatti nel 2012 nel suo libro ‘Manchester United: The Untold Story’ Michael Kelly, per tanti anni responsabile della sicurezza e soprannominato Ned per simpatica (…) assonanza col celebre bandito australiano, Cantona e il suo entourage si trovavano in un hotel di Croydon, sud di Londra, quando l’agente, Jean-Jacques Bertrand, chiese «come si dice in inglese ‘peschereccio’? E gli uccelli marini che seguono? E come chiamate quei pesci piccoli che si pescano e inscatolano?».

Cantona, l'episodio contro il tifoso

Kelly rimase un attimo perplesso poi produsse le due parole, vide Bertrand parlottare con Cantona e il resto fu presto storia del calcio inglese. Come è storia l’episodio che portò a quella frase: 25 gennaio 1995, Selhurst Park, l’attaccante francese viene espulso per un fallaccio sul difensore Richard Shaw ma, mentre esce contrariato, sente gli insulti di un tifoso e prendendo un minimo di rincorsa gli sferra un calcione volante, in stile arti marziali. Il 24 marzo Cantona era stato condannato a 15 giorni di carcere e materialmente ammanettato e portato in cella, ma nelle tre frenetiche ore successive il consulente legale nonché dirigente dello United, Maurice Watkins, era riuscito prima a fare appello alla medesima corte, subito respinto, poi a presentarne un altro presso un tribunale di grado superiore che lo aveva accettato. L’1 aprile scattò la riduzione della pena a 120 ore di lavori socialmente utili e subito dopo, in conferenza stampa, partì la frase misteriosa. Nata in quella stanza di hotel e scritta su un foglietto «che non so dove sia finito - disse poi, sempre nel 2012, Watkins - Tra l’altro, vedendo la mia reazione, tutti pensarono che io fossi rimasto sorpreso da quelle parole, ma in realtà conoscevo le intenzioni di Eric». Che aggiunse, in un’altra occasione ancora, «era una frase senza alcun significato. Volevo semplicemente alzare uno specchio di fronte ai media, ma subito tutti hanno cercato di trovare un significato profondo».

Una storia dimenticata

Una storia scritta ed evidentemente dimenticata, se è vero, come dimostra la sorprendente… sorpresa per le parole dell’altroieri, che ogni successivo accenno fatto dal calciatore è stato preso come rivelazione, pur non essendola. Ma è appunto il destino di un artista come King Eric, nomignolo datogli al Manchester United, originale nel XX secolo ma un po’ meno nei secoli precedenti, visto il numero di sovrani scandinavi così chiamati. Ora, i re in teoria fanno quello che vogliono, ma nel caso di Cantona non fu sempre così e lo dimostra la condanna penale, oltre alla squalifica di otto mesi e una multa comminatagli dallo United: però il solo fatto che di processo, appello e riduzione della pena si parli molto meno rispetto alla frase pronunciata a metà dell’iter giudiziario dice tutto. Dice che Cantona ha segnato gli anni Novanta del calcio inglese, con i suoi gol, la sua personalità, i suoi eccessi e i suoi personalismi, tollerati e tollerabili solo in uno spogliatoio di maschi alfa governato dal maschio più alfa di tutti, Alex Ferguson.

Dalla Francia allo United

E dire che allo United non avrebbe neanche dovuto andare: lasciata la Francia in modo burrascoso dopo problemi disciplinari, era passato per lo Sheffield Wednesday di Trevor Francis (allertato dall’allora ct francese, Michel Platini, che aveva conosciuto ai tempi della Serie A) che però non poteva permettersi di pagarlo e lo aveva usato solo in un torneo indoor di…calcetto, e a gennaio 1992 aveva firmato per il Leeds United, trascinandolo, dopo un periodo di adattamento e partenze dalla panchina, alla vittoria in campionato. Pochi mesi dopo, in un periodo di disagio per il club e per lui, aveva però chiesto e ottenuto di essere ceduto a fine novembre al Manchester United, sua destinazione preferita assieme a Liverpool e Arsenal. Anche lì, subito una robustissima mano nella rimonta dei Red Devils, che vinsero il loro primo titolo dal 1967, e l’inizio di un periodo fantasmagorico terminato l’11 maggio 1997, all’età di soli 30 anni, anche questa una licenza poetico-creativa che dice tanto del giocatore e dell’uomo, dotato di quello che Ferguson descrisse come “carisma insolente”, quello che gli permise di indossare quasi sempre il colletto alzato per distinguersi dagli altri, dalla massa, indegna di lui e della sua genialità.

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