Vent'anni senza Enrico Ameri. Come "Tutto il calcio minuto per minuto" cambiò marcia

Aveva la voce pulita, bella come il canto di un usignolo, che usava per descrivere le azioni con la perfezione di un’opera d’arte. Nessuno sapeva accendere la fantasia degli ascoltatori come lui.
Vent'anni senza Enrico Ameri. Come "Tutto il calcio minuto per minuto" cambiò marcia© Ag. Aldo Liverani

Il radiocronista, in collegamento dal Cibali, stava raccontando la vittoria del Milan sul Catania. Si sentì in sottofondo il boato di un gol. Fu un attimo. Una voce cortese, timida, forse timorosa per quanto stava facendo, lo interruppe: Scusa, è Ameri”. Un colpo di tosse, più che altro a rischiarare il tono, poi la voce si fece più nitida: “Scusa, qui è Ameri. A Milano la Roma è passata in vantaggio”.

A San Siro si giocava il trentacinquesimo del secondo tempo. L’Inter era prima in classifica. Ma il gol lo aveva fatto la Roma con Pedro Manfredini. La notizia c’era. Enrico Ameri, classe 1926, era rimasto nel dubbio, poi scelse di ottemperare al dovere di cronaca. Era l’ultimo giorno del 1961. Poche ore dopo si sarebbe dato il benservito all’anno che aveva visto il debutto di Bob Dylan, ma anche Ernest Hemingway spararsi un colpo alla testa, la città di Berlino divisa da un muro e Jurij Gagarin che dallo spazio aveva esclamato: “La Terra è blu, che meraviglia!”. E si sarebbe dato, al contempo, il benvenuto al 1962, l’anno dei Mondiali in Cile, della nascita dei Beatles e della morte di Marilyn Monroe, della crisi dei missili di Cuba con Stati Uniti e Unione Sovietica a minacciarsi con la bomba atomica.

Quel gol di ‘Piedone’

Era il 31 dicembre e in Italia si giocava la seconda di ritorno del campionato di Serie A. Ameri era a “Tutto il calcio minuto per minuto”, la trasmissione scandita dall’annuncio “la Stock di Trieste vi invita all’ascolto”, fin dalla prima puntata. A Milano la sconfitta dell’Inter non era all’ordine del giorno. Eppure a dieci minuti dalla fine la Roma aveva segnato con Manfredini, il celebre Piedone, detto così perché due anni prima, quando era arrivato dall’Argentina, era stato fotografato dal basso verso l’alto con un piede in bella evidenza che, per il gioco delle prospettive, era apparso enorme, fuori misura, anche se era un normalissimo quarantadue. Ameri sapeva che quel gol cambiava la scena e che gli ascoltatori volevano sapere.
Ameri era nato a Lucca da genitori genovesi. Era tornato a Genova, quindi con la famiglia si era trasferito a Roma. Era tifoso del Genoa. Il padre era un funzionario di Polizia. A diciassette anni si era arruolato nella Guardia nazionale della Repubblica sociale e per questo era stato preso dagli Alleati ed inviato a Coltano, il campo di prigionia allestito dagli angloamericani tra Pisa e Livorno.
A guerra finita, nell’Italia che rinasceva dalle ceneri del fascismo, la famiglia avrebbe voluto farne un avvocato. Lui invece era attratto dal cinema. La radio, probabilmente, gli era sembrata il giusto compromesso. Così si era iscritto a un corso per radiocronisti e nel 1949 era entrato in Rai.
Da cronista radiofonico era stato mandato alle Mille Miglia. Ma la voce gli si era strozzata in gola. Lo avevano perciò dirottato sui fatti di cronaca e di politica. Nel 1954, poi, era stato inviato in Indocina a render conto della guerra d’indipendenza del Vietnam contro la Francia coloniale. Rientrato in Italia aveva seguito il disastro aereo del Terminillo. Si era nel 1955. In quello stesso anno era stato riassegnato allo sport e in particolare al ciclismo, quindi al calcio, dove aveva debuttato il 1° maggio con la radiocronaca della partita tra Udinese e Milan.

Il canto di un usignolo

Ameri aveva la voce pulita, bella come il canto di un usignolo, che lui usava per descrivere le azioni con la perfezione di un’opera d’arte. Nessuno sapeva accendere la fantasia degli ascoltatori come lui. Nessuno sapeva dipingere con le parole immagini semplici ma efficaci come sapeva fare lui quando, cuffia in testa, portava il microfono alla bocca. Per questo Roberto Bortoluzzi, cui era stata affidata la conduzione di “Tutto il calcio minuto per minuto”, era andato a cercarlo quando aveva dovuto costruire la squadra dei radiocronisti.
L’idea era stata di Guglielmo Moretti, un giornalista appassionato di rugby, che in Francia aveva ascoltato una trasmissione in cui si dava la linea a svariati campi di gioco. Aveva proposto alla Rai di realizzare una trasmissione analoga, ma dedicata al calcio, sostenuto da Sergio Zavoli e dallo stesso Bortoluzzi. Così era nato “Tutto il calcio”, dove Ameri fu presente fin dal 10 gennaio 1960 quando era stato la quarta voce dopo Nicolò Carosio, Piero Pasini ed Amerigo Gomez. Fin da subito Ameri si era fatto apprezzare. E dopo il passaggio di Carosio alla televisione, era diventato il primo inviato del programma.
Il giorno di San Silvestro, come sempre, era arrivato allo stadio con un paio d’ore d’anticipo. Fino a quel momento, tutto era andato secondo copione, con l’Inter in attacco e con la Roma che si difendeva come poteva. Poi però Piedone aveva trovato la zampata vincente e quel gol aveva riaperto il campionato a favore della Fiorentina e del Milan.

La rigidissima scaletta

La trasmissione aveva una scaletta piuttosto rigida. Vi era un conduttore in studio, un campo centrale ed altri tre o quattro campi collegati. Parlava un inviato e la linea tornava allo studio dove Bortoluzzi, solo lui, poteva dare la parola a un altro inviato. Non erano ammesse interruzioni, neanche per le reti messe a segno.

Trasgressione vincente

Quel giorno, invece, Ameri infranse la regola. Si scusò, ma interruppe il giornalista collegato da Catania. Ci fu un momento di smarrimento. Poi Ameri prese forza e raccontò il gol di Manfredini. Dopodiché, scusandosi nuovamente, restituì la linea, tra l’incredulità degli addetti ai lavori e il gradimento dei “gentili radioascoltatori”.
Ameri per molti anni ha alternato le cronache sportive ad avvenimenti di altro genere. Nel dicembre 1959 aveva narrato il conferimento del Nobel per la letteratura a Salvatore Quasimodo e nel luglio 1969 raccontò in diretta da Houston lo sbarco sulla Luna. Solo negli anni Settanta prese ad occuparsi quasi soltanto di calcio. Suo fu il commento della partita del secolo, quella in cui l’Italia sconfisse la Germania Ovest ai Mondiali di Messico del 1970, suo il racconto della vittoria degli Azzurri ai Mondiali di Spagna del 1982, sua la descrizione della tragedia dell’Heysel nel 1985, sue innumerevoli cronache di gare della Nazionale e delle squadre di club italiane impegnate nelle coppe europee ed internazionali. In tutte le occasioni dimostrò sempre una professionalità fuori dal comune. A Catanzaro, il 30 gennaio 1972, mantenne un aplomb a dir poco britannico quando, al vittorioso gol di Angelo Mammì contro la Juventus, si trovò la cabina invasa da tifosi locali in visibilio. Senza mai perdere il filo del discorso, commentò: “D’altronde c’è da capire l’entusiasmo dei tifosi. La loro squadra non segnava da molto tempo”. Il 26 maggio 1991, giorno in cui chiuse la carriera con la radiocronaca della gara tra Genoa e Juventus, commentò con altissimo rigore etico, lui che era genoano, la vittoria dello scudetto da parte della Sampdoria. Unico neo, quella parola di troppo detta fuori onda nei confronti del suo alter ego professionale, Sandro Ciotti, altro gigante del giornalismo radiofonico, “reo” di averlo interrotto durante un collegamento. Era il 27 aprile 1975. Non sapeva che i microfoni erano ancora aperti. I due, poi, si chiarirono e tornarono al loro amichevole e titanico raffronto via etere.

Fu una svolta definitiva

Ameri ha avuto una vita ricca di intuizioni e grandi successi, una voce suadente e una capacità cristallina. Ma il suo colpo di genio rimane, in ogni caso, quello dell’ultimo dell’anno del ‘61. Interrompendo il collega, scompaginando l’assetto, mostrò che dare la notizia di un gol in diretta dava alla trasmissione quel qualcosa in più che l’avrebbe consacrata a simbolo delle domeniche calcistiche degli italiani, cambiando per sempre il modo di narrare il football alla radio.

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