Pagina 3 | Baggio: Juve? Non volevo lasciare la Fiorentina. E quel rigore... Oggi Guardiola, Inzaghi o De Zerbi

Roberto Baggio è stato ospite del podcast Passa dal BSMT di Gianluca Gazzoli. Il Divin Codino si è raccontato in una lunga intervista in cui ha ripercorso la sua carriera da calciatore che lo ha portato a vestire le maglie dei club italiani più importanti a vincere il Pallone d'Oro nel 1993. Il passaggio dalla Fiorentina alla Juventus, il rigore non calciato contro la viola e quello sbagliato a Pasadena contro il Brasile a USA '94. Il fuoriclasse italiano ha raccontato tanti passaggi della sua vita, anche quelli più delicati come gli infortuni o l'aggressione subita in casa.

Baggio e l'incontro con Del Piero

La chiacchierata è iniziata con l'attività più recente che ha visto protagonista Baggio, ovvero l'ultima finale di Coppa Italia tra Bologna e Milan in cui ha portato il trofeo in campo: "E' stata stata un'esperienza ovviamente molto bella, ho avuto l'onore di portare la coppa in campo e mi ha reso particolarmente felice perché c'erano due squadre con cui io ho avuto la fortuna di giocare che sono il Bologna e il Milan. Ho anche ritrovato un sacco di di ex compagni dopo tanto tempo, per cui è stato veramente bello. Io ho avuto la fortuna di giocare con tantissimi ragazzi e credo che la cosa più bella è che io sono sempre andato d'accordo con tutti. Forse è questo che alla fine riemerge dopo tanto tempo. Magari è più difficile quando giochi perché i ruoli, la squadra, magari diventi rivale anche se non vuoi. Adesso che è tutto fermo invece riemergono magari quelle quelle simpatie e quegli affetti che prima erano un po' oscurati. Ho rivisto tutti volentieri perché io come sai non è che sono stato per tanto tempo nel mondo del calcio, anzi mi sono proprio staccato per cui ho rivisto un sacco di amici come Del Piero, Totti, Toni... Insomma tutti quanti, adesso ne dimentico qualcuno. Però li ho rivisti tutti con grande gioia e con grande affetto. Siamo invecchiati ma non ce ne rendiamo conto, perché noi abbiamo la testa ancora di quando giocavamo e ci vediamo forse ancora così".

 

 

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"Qualsiasi attività per me è un danno fisico"

Baggio ha poi parlato della sua quotidianità dopo il ritiro dal calcio giocato: "Intanto non mi alleno da da non so quanti anni perché purtroppo per me fare qualunque tipo di attività vuol dire crearmi dei problemi fisici e dunque evito. A parte le ginocchia mi ritrovo a volte con problemi alla schiena. A casa insomma ho la fortuna di vivere un posto nel verde e ovviamente devo tagliare l'erba, sistemare ogni 7-10 giorni con il tempo che c'è. Di conseguenza quello diciamo è il mio sfogo è il mio allenamento perché per il resto purtroppo non lo posso più fare. E' un lavoro che mi gratifica e mi ripaga perché poi sai vivendoci vedere in ordine, pulito, l'erba tagliata, le piante a posto... La mia giornata tipo? Vivo in collina e ovviamente c'è il bosco, c'è il giardino, ci sono tante cose da da seguire. Ho il brutto difetto che vorrei vedere finiti i lavori ancora prima di iniziarli. Questo mi spinge a darmi da fare e soprattutto non mi fermo fino a quando non arrivo proprio al limite. Purtroppo è stata è stata da una parte la mia fortuna perché se non fossi stato così avrei mollato le volte che mi sono fatto male. Mi è stato insegnato da mio padre e dalla mia famiglia e per fortuna mi è rimasto bene dentro.

La mia fortuna è di essere una persona umile. L'umiltà ti porta a fare qualunque cosa senza vergogna, credo che alla fine sia anche una sfida contro noi stessi. Inventarsi qualcosa per comunque sentirsi appagati. Non ci sono solo traguardi che si raggiungono attraverso lo sport, ma nella vita ogni giorno se uno vuole ha un obiettivo da raggiungere, per quanto umile possa essere. Io vengo da una terra umile, il Veneto è gente tranquilla che lavora e che non ha paura di sporcarsi le mani. Credo che questo sia anche frutto di queste radici che abbiamo, per noi l'importante è vivere bene, darsi da fare, realizzare i nostri obiettivi e di conseguenza gioire di questo. L'affetto della gente per me? Rimango stupito anch'io perché insomma ho smesso da da più di due decenni. Avere ancora così tanta gente che viene per chiedermi la foto o per chiedermi non so di firmare la maglietta mi riempie di gioia e felicità. Spero sempre di mandarli a casa felici e contenti e di avergli regalato qualcosa che che li possa gratificare".

Baggio, l'incontro con Sinner e l'ammirazione per LeBron

Poi sul recente incontro con Jannik Sinner proprio alla finale di Coppa Italia: "E' stato strano perché l'avevo sentito, cioè avevamo fatto una videochiamata tramite il suo allenatore che era stato a casa mia a farmi un saluto. Lui si stava allenando nel periodo che era fermo e ci siamo dati appuntamento magari per una grigliata insieme. Poi a Roma c'è stato un incontro casuale, per cui quando l'ho visto sono andato a salutarlo e abbiamo parlato. Il primo post che ha fatto mia figlia Valentina su Instagram è stato dedicato a lui. Io inizialmente non lo conoscevo, però poi ho sentito alcune sue interviste e devo dire che mi ha colpito profondamente. Credo che sia oggi un esempio meraviglioso per i giovani perché nonostante tutto quello che lui sta vivendo mi dà l'idea che sia veramente una persona umilissima. Per cui io l'augurio che posso fargli è che possa rimanere così perché il mondo ne ha bisogno. Mi auguro che venga preso proprio a modello da tanti giovani". Invece sugli altri sport a cui è interessato: "Mi piace seguire il basket, l'NBA. Devo dire la verità che dopo la pandemia ho smesso un po' di guardare la televisione perché non mi piacevano certe cose e ho iniziato a vedere più YouTube. Guardo tutto quello che parla di sport tra calcio, basket, football americano. Sportivo che ammiro? LeBron James, penso di non dire niente di nuovo. C'è un'ammirazione incredibile, a 40 anni è ancora a quei livelli. Il fatto che non abbia mai avuto infortuni credo dipenda dalla sua forza, ma anche tanti sacrifici in allenamento perché insomma arrivare alla sua età così vuol dire che è uno che ha lavorato sempre in maniera incredibile".

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La presenza in Holly e Benji

L'ex calciatore è tornato anche sulla sua presenza in Holly e Benji: "Sì ovviamente era erano altri anni, è stata una sorpresa anche per me perché figurati io avevo i miei figliì che guardavano sempre il cartone. Quella cosa lì è stata inaspettata e veramente mi ha lasciato senza parole. Giappone e Cina sono stati due Paesi che mi hanno veramente sorpreso, ci sono stato anche qualche anno fa e devo dirti che l'affetto che ho trovato è stato incredibile. In tantissimi avevano le mie maglie di qualunque squadra, sono veramente tifosissimi del nostro calcio e questa cosa mi ha sorpreso. Ho smesso da più di 20 anni, faccio fatica a darmi una spiegazione".

"Giocare? Non sono in grado, provo invidia"

Poi ha parlato anche delle ultime partite disputate, come quelle per gli eventi di Operazione Nostalgia: "Purtroppo mi piacerebbe giocare sempre però ormai devo devo dire assolutamente che non posso più far niente. Non sono più in grado, sarebbe troppo rischioso un po' per l'età e un po' per tutti gli interventi che ho avuto. Cosa provo quando vedo il campo? E' una delle pochissime volte in cui provo invidia per qualcuno. Il campo è stato qualcosa di meraviglioso, devo combattere il fatto di abituarmi a non aver più quella fortuna di poterci correre sopra. Forse questa è stata la cosa più difficile. Evito di riguardare le mie vecchie partite altrimenti mi viene un po' di nostalgia e ovviamente poi sto male. Penso sia una cosa normale che accade a tutti gli sportivi".

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"Nella mia carriera ho solo un rimpianto"

Un bilancio personale sua carriera da calciatore: "Ho la fortuna di non avere rimpianti a parte ovviamente quel rigore di Pasadena. Ho fatto ho fatto tutto quello che potevo fare, forse anche di più. Mi sento molto sereno e tranquillo, poi è chiaro che mi sarebbe piaciuto giocare di più, ma quando ho smesso ero arrivato al limite. E' stata quasi una liberazione perché gli ultimi anni giocavo e poi il lunedì e il martedì dovevo assolutamente rimanere fermo perché mi si gonfiavano tutte e due le ginocchia per cui diventava un calvario. L'ho fatto sempre solo perché ero animato da una passione infinita, però dopo devi fare la scelta e l'ho fatta nel momento in cui ero ancora a un certo livello".

Baggio, gli inizi e la passione per il calcio

Baggio è tornato sui suoi inizi e la passione per il calcio: "Sono nato in una famiglia numerosa, avevo due fratelli più grandi di me Walter e Giorgio che mi hanno introdotto al calcio. Io avevo il desiderio di giocare appena ho iniziato a camminare perché mi ricordo da piccolissimo che giocavamo con la pallina da tennis nel corridoio di casa. Poi crescendo la cosa è peggiorata, per me non esisteva nient'altro che giocare e voleva dire farlo in qualunque posto: in corridoio, in officina da mio papà, per strada, al campetto dell'oratorio. Qualunque posto andava bene per allenarmi, ho capito che tutto il resto era inutile. Ovviamente questa cosa più cresci più più diventa insistente. Mio padre era sportivo, andava in bici e i miei fratelli giocavano per cui questa passione era vista vista bene. Il problema è che io mi dimenticavo di mangiare, di tornare a casa, di fare i compiti. Io avevo dentro di me un sogno che faccio ancora fatica a capire, ovvero di giocare una finale del Mondiale contro il Brasile. E' sempre stato il mio il mio obiettivo. A volte mi chiedo se avesse qualcosa a che fare con quella finale che l'Italia aveva perso nel '70. Sono nato con questa idea per cui quello era il mio obiettivo, il percorso non mi interessava. E' stata la forza trainante per tutto, anche per uscire fuori da tutti gli infortuni che purtroppo ho avuto". 

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Il primo grave infortunio

Sugli inizi al Vicenza in Serie C: "Ho fatto le giovanili lì. Ho incontrato Sacchi che in quel periodo allenava il Rimini. Mancavano tre giornate alla fine del campionato e andiamo a giocare a Rimini con un punto di vantaggio in classifica, per cui se pareggiavamo o vincevamo avevamo quasi la Serie B in tasca. Mi ricordo che faccio il gol dell'1-0, poi dopo pochissimi minuti faccio una scivolata per togliere il pallone a un avversario e lì purtroppo mi sono infortunato. Lì ho capito che tutte le certezze che teoricamente avevo sì erano frantumate in un secondo. Erano anni particolari, in cui chi aveva questo tipo di infortunio smetteva, diciamoci la verità. Purtroppo ci sono stati tanti esempi e chi tornava aveva sempre qualche problema. Avevo da poco compiuto 18 anni, ero ovviamente nel momento più bello anche perché è un'età in cui le pressioni non non le senti perché sei talmente attratto dal piacere di giocare che tutto il resto non ti interessa.

Mi ricordo che ero in ospedale a Vicenza e mi è stata fatta l'artroscopia. Il risultato era che avevo il crociato completamente rotto e avevo poi un problema al menisco, al collaterale, alla capsula. La prima cosa che ho chiesto al dottore erano i tempi per tornare in campo. Lui, in maniera molto tranquilla, mi disse 'Eh almeno un anno'. Lì fu tragica perché ero andato a fare l'artroscopia convinto di giocare la domenica successiva. Lì ho scoperto la realtà, anche se andai ad operarmi in Francia che c'era un professore che era considerato il migliore per questo tipo di interventi. Mi è stato ricostruito il crociato con il vasto mediale, che è questo muscolo che tutti abbiamo nella parte sopra il ginocchio. Mi è stato tolto un pezzo di muscolo per cui tanti problemi che io avevo avuto dopo erano dovuti a questa mancanza di stabilità".

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Baggio e la Fiorentina: "Non volevo andare alla Juve"

Sul rapporto con la Fiorentina: "Sono stato molto grato a Firenze, alla città ai tifosi, la gente mi voleva bene anche se ho fatto praticamente 2 anni senza giocare. Andavo a prendere lo stipendio e non avevo il coraggio di mettere i soldi in banca, mi sentivo in colpa. Mi vergognavo. Tutto questo è durato per sei mesi, fino a quando un giorno mi chiama il segretario che voleva sapere dove avessi messo tutto quegli assegni. A un certo punto ho dovuto metterli in banca, ma se fosse stato per me... Dare tutto per la Fiorentina era un atto dovuto. Mi sentivo veramente amato da questa gente nonostante non avessi ancora giocato, questa cosa mi è rimasta dentro. Per quello è stato così difficile poi andare per me".

"Io non volevo andarmene",  ha confessato senza giri di parole Baggio parlando del suo trasferimento dalla Fiorentina alla Juventus. "È stato visto come un rifiuto della Juve, ma non era così. Non volevo lasciare Firenze, mi sentivo in debito verso quella città, quella gente, quella tifoseria. Sarei magari andato via dopo, ma non in quel momento." Il passaggio alla Vecchia Signora fu traumatico, tanto per lui quanto per i tifosi viola. Il malcontento esplose in proteste violente. "Ci furono incidenti per tre giorni. Mi toccò profondamente", ricorda. Eppure, Baggio non ha mai rinnegato il rispetto per la viola. Lo dimostrò, seppur inconsapevolmente, anche in un gesto che fece scalpore: "Quando presi quella sciarpa viola e la baciai... fu un gesto spontaneo, era il minimo che potessi fare per ringraziare Firenze, senza mancare di rispetto alla Juve."

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Baggio e il Buddismo come salvezza

Ma prima del clamore mediatico, prima del Pallone d’Oro e della fama internazionale, c’è stato il buio. Quello dell’infortunio a 18 anni, quando tutto sembrava potersi fermare per sempre. "Ero da solo, in una città nuova, lontano dalla mia famiglia numerosa. Non vedevo una via d’uscita. E sì, ho pensato anche di mollare. Ma non volevo fare altro nella vita." Fu in quel periodo che avvenne l’incontro che cambiò tutto. Un negozio di dischi, l’amore per gli Eagles e un commesso di nome Maurizio Boldrini che gli parlò per la prima volta del buddismo. "All’inizio ero scettico, mamma mia come no. Ma la mia situazione non cambiava. Stavo male, mi sentivo vittima. E lui mi disse: ‘Se è successo a te, devi cambiare qualcosa dentro la tua vita.’ Mi colpì." Fu così che, il 1° gennaio 1988, Baggio iniziò a praticare. "Mi dissi: ‘Anno nuovo, vita nuova.’ E non ho mai smesso. Mattina e sera, in qualunque posto del mondo fossi. È stata la fortuna più grande della mia vita." Il buddismo divenne non solo rifugio ma bussola. "Prima davo la colpa agli altri. Poi ho capito: tutto dipende da me. Era un atto di vigliaccheria per non affrontare le mie responsabilità. Il buddismo mi ha insegnato che se cambi tu, cambia anche ciò che ti circonda." Un pensiero che, negli anni Ottanta, era tutt’altro che comune nel mondo del calcio. "All’epoca sembravi uno stregone se parlavi di queste cose. Oggi per fortuna è diverso, ma allora si parlava di moda, di strategia mediatica. A me invece interessava solo una cosa: tirare fuori quello che avevo dentro".

Il rigore non calciato contro la Fiorentina

E dentro, Baggio aveva tanto. Anche il coraggio di rifiutare di calciare un rigore contro la Fiorentina per evitare equivoci. "Lo doveva battere De Agostini, l’avevamo deciso prima. Ma quando sbagliò, dissero che mi ero tirato indietro apposta. Montarono un caso. All’epoca bastava un titolo di giornale. E tu non potevi neanche replicare. Oggi con i social, puoi rispondere. Allora subivi." E lui ha subito molto. Ma ha anche raccolto tanto. Il punto più alto? Forse quel Pallone d’Oro del 1993, arrivato mentre era a Coverciano, poco prima di Natale. "Mi dissero: 'Guarda che ci sta che hai vinto il Pallone d’Oro.' Io non ci credevo finché non l’ho visto. Ero felice, felicissimo. Forse non me ne rendevo neanche conto." Una storia di fede, forza interiore e gratitudine. Una storia profondamente umana, come quell’uomo che, nel calcio dei riflettori, ha sempre cercato qualcosa di più. "Noi abbiamo dentro un potenziale enorme. Ma non lo attiviamo mai. Io ho trovato un modo. E da allora, non ho mai smesso di crederci".

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Il Mondiale e il rigore a Pasadena

Nel racconto pacato ma intenso di Roberto Baggio, ogni parola porta con sé il peso della memoria e della responsabilità. L’ex fuoriclasse azzurro, protagonista indiscusso del Mondiale di USA ’94, è tornato a parlare della finale contro il Brasile, dell'errore dagli undici metri che segnò una generazione e di quel rapporto mai semplice con l’allora commissario tecnico Arrigo Sacchi. Dopo la stagione d’oro coronata dal Pallone d’Oro nel 1993, Baggio ha guidato l’Italia verso i Mondiali americani, trascinando gli Azzurri fino all’ultimo atto. Eppure, dietro al cammino epico, si nasconde un percorso irto di ostacoli. In primis, il difficile rapporto con il ct: "Credo che lui sia stato assolutamente un innovatore per il calcio di quegli anni. Abbiamo portato un calcio nuovo, bello da vedere. Ero felice di seguirlo". Ma ha poi aggiunto: "È venuto fuori un po’ di ego che era inutile. Sono nate delle incomprensioni. A volte si riduce tutto a quello. Bastava un po’ più di chiarezza, un po’ più di sensibilità."

Parole misurate, le sue, mai cariche di rancore, anche se il nodo resta evidente. "Io non ho fatto quello che ho fatto da solo. C’era una squadra, c’era un’identità. Ma certi episodi… beh, non ho voglia di raccontarli. È passato tanto tempo. Ad Arrigo oggi auguro il meglio." Poi, inevitabile, arriva il momento più doloroso: la finale persa ai rigori. "Io ho perso il Mondiale. Ho sbagliato il rigore, abbiamo perso. Mi prendo la mia responsabilità", ha affermato con cruda onestà. Ma il peso, per lui, fu triplo: "Tu pensa che in un colpo solo ho perso tre cose: il Mondiale, il secondo Pallone d’Oro consecutivo e il sogno che rincorrevo fin da bambino. Non tornano più." L’immagine di quel tiro che vola sopra la traversa è impressa nella memoria collettiva. Ma per Baggio, è una ferita che ancora brucia: "Se avessi avuto un badile, mi sarei sotterrato. Non doveva succedere." Eppure, il rigore sbagliato lo ha reso ancora più vicino al cuore degli italiani. Ha abbattuto la distanza tra il campione e la gente, rendendolo umano. "Tanti tifosi mi hanno detto: 'Guarda, non ti preoccupare'. Lo fanno per affetto. Ma quella cosa… me la porto dentro. Oggi, domani, fino a quando non ci sarò più". Sul percorso: "Siamo arrivati stanchissimi. Le partite precedenti a temperature assurde. Avevo una contrattura all’adduttore… Purtroppo è il mio punto debole: quando sto per raggiungere qualcosa, inevitabilmente succede qualcosa." Eppure, nella sua voce non c’è vittimismo. Solo la consapevolezza di un destino che l’ha messo alla prova, e che forse lo ha temprato anche nel cammino spirituale che ha intrapreso. "La fede mi ha aiutato a gestire momenti come questo. Ma non è facile. Perché quello era il sogno di una vita. E quando sei lì, a un passo dal traguardo, qualcuno te lo tira via".

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"Davo fastidio perché la gente mi voleva bene"

L’eco di quella finale lo ha inseguito a lungo, anche nei mesi successivi. "Non è stato facile riprendere. Era un macigno nella testa. Ma sai, i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli", riflette. "Io ho perso tre Mondiali ai rigori: in semifinale con l’Argentina nel '90, la finale col Brasile nel '94, e poi di nuovo fuori contro la Francia nel '98. Quando vedo oggi una partita che finisce ai rigori... cambio canale." Eppure, nel 2006, l’Italia vince il Mondiale proprio ai rigori. "Che culo! Almeno una volta… noi avevamo già dato", commenta ironicamente. Ma il rapporto complesso con gli allenatori resta una costante. Con Sacchi, con Lippi all’Inter, con altri tecnici che faticavano a gestire una figura tanto amata dal pubblico. "Mi sono reso conto col tempo che davo fastidio perché la gente mi voleva bene", ha spiegato. "Quando la squadra andava bene, si diceva 'la squadra di Baggio'. E forse a qualcuno questo dava fastidio. Ma io non ho mai avuto problemi coi compagni. Mi allenavo sempre bene". E non era solo una questione di personalità, ma anche di ruolo. In un’epoca dominata dal 4-4-2, fantasisti come lui e come Gianfranco Zola facevano fatica a trovare spazio. "Zola per giocare è dovuto andare in Inghilterra. Era un calcio in cui sembrava che potessero giocare solo gli allenatori. Ma per fortuna, il calcio lo fanno ancora i calciatori".

"Avrei voluto allenatori come Guardiola, De Zerbi e Inzaghi"

Alla domanda su quali allenatori attuali gli sarebbe piaciuto avere in carriera, Baggio non ha avuto dubbi: Sicuramente mi sarebbe piaciuto giocare per Pep Guardiola, De Zerbi e forse anche per Simone Inzaghi. Perché giocano a calcio, cercano di divertire. È quello che facevo io in campo. Io giocavo con la speranza di far divertire la gente”. Poi sull'evoluzione del calcio: “Oggi appena ti tirano la maglia è ammonizione. Quando giocavamo noi, la prima scarpata era dalle anche in su e non sapevi se l’arbitro guardava o meno”. Sul VAR ha un’opinione lucida: “Credo sia importante. Dimostra quanto sia difficile prendere decisioni in un secondo. A volte si fa fatica anche con il VAR, ma almeno togli molte polemiche inutili. Dobbiamo imparare dallo sport americano”.

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"Carletto Mazzone era un puro. Avrei dato la vita per lui"

Nel ricordo degli allenatori più importanti, Baggio si è soffermato con emozione su Carlo Mazzone, scomparso nel 2023. “A me interessava la persona. E Carletto era un puro. Se doveva mandarti a fanculo, te lo diceva in faccia. Non era uno che diceva una cosa e ne faceva un’altra. Per questo lo rispettavo: avrei dato la vita per lui”. Il loro rapporto a Brescia fu speciale. Baggio arrivò dopo essersi svincolato dall’Inter, allenandosi da solo per mesi nella speranza di una chiamata. “Mi allenavo nel campo dove avevo mosso i primi passi, sperando nel Vicenza. Ma non arrivò nessuna chiamata. Poi a settembre arrivò Carletto”.

Il sogno infranto del Mondiale 2002

Nel 2002, dopo un infortunio gravissimo, Baggio è riuscito in un’impresa che ha del miracoloso: “Sono tornato a giocare dopo un’operazione al crociato anteriore in soli 77 giorni. Ma non è un miracolo. È la testa che fa la differenza”. Fece tre gol nelle ultime tre partite di campionato. Ma Trapattoni non lo convocò per i Mondiali. “Mi chiamò a casa e mi disse che aveva paura che mi facessi male. Io gli risposi: 'Mister, mi posso far male anche scendendo dall’autobus. Se mi faccio male, smetto. Ma questa non è una scusa'”. Dopo quella telefonata, mai più contatti tra i due. Il Divin Codino ha parlato anche dell’amore di una vita, sua moglie Andreina, conosciuta a 15 anni e mezzo: “È ancora qua che mi sopporta. Se non è un fenomeno lei...”. La loro forza è l’unione: “Anche nei momenti difficili, cercavo di tenere il dolore fuori casa. Non volevo rovinare la vita anche a loro”. Il momento più bello della carriera? “Difficile dirlo. Ma quando torni da un grave infortunio è come rinascere. È un misto di pensieri e sentimenti che si intrecciano. Ritornare a vivere, fare gol. È ingestibile quanta gioia ci sia”.

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Il trauma dell'aggressione: "Pistola puntata"

Nel finale, Baggio ha spiegato il trauma dell’aggressione subita nella sua casa: “Quando ti mettono una pistola in testa, a tuo figlio, e ti dicono ‘se trovo la cassaforte ti ammazzo’, non è una cosa che passa. Ti rimane la rabbia dentro. Oggi capisco chi fa giustizia da solo”. Il racconto è crudo, senza retorica: “Erano in sei. Uno l’ho affrontato, istintivamente. Gli ho tirato un pugno. Ma cosa puoi fare contro sei uomini mascherati? Ti devastano la casa e la vita”. A chi gli chiede se oggi riesce a guardare la sua carriera con orgoglio, Baggio ha risposto con la semplicità di sempre: “Dobbiamo farci accompagnare dalla speranza in tutto. Anche quando si riparte da zero”. E forse è proprio questa la lezione più grande che il Divin Codino ci lascia: l’eleganza della speranza, anche quando tutto sembra perduto.

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La presenza in Holly e Benji

L'ex calciatore è tornato anche sulla sua presenza in Holly e Benji: "Sì ovviamente era erano altri anni, è stata una sorpresa anche per me perché figurati io avevo i miei figliì che guardavano sempre il cartone. Quella cosa lì è stata inaspettata e veramente mi ha lasciato senza parole. Giappone e Cina sono stati due Paesi che mi hanno veramente sorpreso, ci sono stato anche qualche anno fa e devo dirti che l'affetto che ho trovato è stato incredibile. In tantissimi avevano le mie maglie di qualunque squadra, sono veramente tifosissimi del nostro calcio e questa cosa mi ha sorpreso. Ho smesso da più di 20 anni, faccio fatica a darmi una spiegazione".

"Giocare? Non sono in grado, provo invidia"

Poi ha parlato anche delle ultime partite disputate, come quelle per gli eventi di Operazione Nostalgia: "Purtroppo mi piacerebbe giocare sempre però ormai devo devo dire assolutamente che non posso più far niente. Non sono più in grado, sarebbe troppo rischioso un po' per l'età e un po' per tutti gli interventi che ho avuto. Cosa provo quando vedo il campo? E' una delle pochissime volte in cui provo invidia per qualcuno. Il campo è stato qualcosa di meraviglioso, devo combattere il fatto di abituarmi a non aver più quella fortuna di poterci correre sopra. Forse questa è stata la cosa più difficile. Evito di riguardare le mie vecchie partite altrimenti mi viene un po' di nostalgia e ovviamente poi sto male. Penso sia una cosa normale che accade a tutti gli sportivi".

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