Conte, l'Inter e le domande sul passato

Il calcio-business giustifica qualsiasi scelta professionale?
Conte, l'Inter e le domande sul passato© Marco Canoniero

Sono i giorni degli allenatori, con una serie di uscite e di ingressi senza precedenti. Il segnale di un diffuso malcontento, o forse la spia di una voglia di rinnovamento che passa dal gioco più ancora che dai giocatori. Anche perché, parliamoci chiaro, si fa prima a sostituire il pilota piuttosto che a mettere pesantemente le mani in una rosa con troppe spine. Tra tutti, non c’è dubbio, a fare più rumore è l’arrivo all’Inter di Antonio Conte. Non solo per il valore dell’allenatore, per le cifre del suo ingaggio, per le assicurazioni che sicuramente avrà ottenuto sul rafforzamento della squadra, ma anche e soprattutto per le modalità e l’indirizzo della scelta. Un discorso che sicuramente non riguarda l’interessato, a cui bisogna comunque riconoscere il dono della chiarezza e della coerenza. Magari estrema.

Era infatti il marzo del 2013, quando Antonio Conte saldamente allenatore della Juventus campione d’Italia sorprese in conferenza stampa con una frase a effetto che sembrava soltanto una provocazione. «Sono un professionista e come tale allenerei qualunque squadra in Italia. Anche l’Inter». In quella battuta - «anche l’Inter» - c’era a leggerla bene tutta la rivalità che ieri come oggi esiste tra bianconeri e nerazzurri, anche per gli effetti di Calciopoli e uno scudetto che Moratti avrebbe fatto bene a non accettare. A distanza di sei anni, però, quella che sembrava una profezia impossibile - come la famosa missione di Tom Cruise - si è invece avverata e a ore diventerà realtà: Conte con la tuta e il simbolo del biscione, magari pronto ad accendere San Siro con le sue gestualità in occasione della prossima partita con la Juve. Succederà e si scatenerà il dibattito: davvero nel calcio del professionismo non ci devono più essere bandiere e, nel pieno rispetto della propria carriera, si può passare dall’essere capitano di una squadra, condottiero della stessa squadra per poi guidare l’avversaria storica? L’interrogativo c’è e terrà banco - sin dalla prima conferenza - per tutto l’anno. Conte sarà chiamato a rispondere - più ancora che sulle scelte sulla formazione - del suo passato e delle sue convinzioni juventine. Il confronto è aperto e non può bastare la solita e banale frase - il calcio ormai è un business - per spegnerlo sul nascere. Certo, alla fine decideranno i risultati e orienteranno - magari capovolgendoli - anche i commenti di oggi. Una sola domanda, al momento è lecita, per contestualizzarla all’attualità: ma se Daniele De Rossi, capace di commuovere uno stadio e particolare non trascurabile messo bruscamente alla porta dalla sua Roma, annunciasse tra dieci giorni di aver firmato per la Lazio, verrebbe considerato semplicemente un interprete di questo calcio-business o agiterebbe le coscienze di due tifoserie? E comunque: c’è ancora un limite al professionismo che indirizza e prova a razionalizzare tutte le scelte?

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