Nevio Scala: «Ora a Parma il calcio è gioia»

Il presidente racconta la rinascita di una città: «Lavoro e niente false promesse, la gente è felice»

PARMA - Allora mister... Anzi, presidente: scusi, Nevio Scala, ci viene ancora difficile chiamarla così...

«Ah - sorride - Non si preoccupi: capita ancora a molti, ma le assicuro che sono due cose completamente differenti. Anche se quando il Parma mi ha chiamato per offrirmi questo ruolo pensavo di non provare più certe emozioni o di vivere le tensioni, invece sono perfino maggiori. E’ un incarico che richiede impegno mentale e psichico».

Tante responsabilità?

«Sento, verso la città, quella di riportare il Parma ai livelli che gli competono. E poi ho scelto io tutta la parte tecnica: dal tecnico Luigi Apolloni a Lorenzo Minotti (responsabile generale, ndr) al ds Andrea Galassi fino al capo del settore giovanile, Fausto Pizzi. Gente di cui mi fido ciecamente e che sta facendo un lavoro splendido in grande sintonia. La parte amministrativa e gestionale, invece, fa tutta capo a coloro che qui in città chiamano “i magnifici sette”, gli imprenditori che hanno impedito la definitiva scomparsa del Parma».

Ecco, ma quando guarda la partita dalla tribuna non le viene mai voglia di discutere su una sostituzione o su una scelta tecnica del suo tecnico?

«No no! Primo perché ho la massima fiducia in Gigi. Non ho mai chiesto chi gioca o chi non gioca, anche perché non volevo che lo facessero quando allenavo io! E, così come Tanzi, anche io mi limito a informarmi della squadra e a chiedere se serve qualcosa».

E lui, Apolloni, i consigli glieli chiede?

«Molto spesso: vuol che vada a vedere gli allenamenti, che ci si confronti, che pranzi con la squadra: “mister - mi dice - abbiamo bisogno di lei”. E so che la mia presenza serve per dare un contributo psicologico, una carica in più».

Anche perché contro di voi giocheranno tutti alla morte: non capita tutti i giorni, in D, di sfidare il Parma...

«E per di più in diretta tv su Sky! Questo è il nostro vero problema: noi siamo un’ottima squadra, ma contro di noi tutti si impegnano alla morte per ottenere un risultato che sarebbe per loro storico. Ma è giusto così: lo sappiamo, accettiamo questa difficoltà supplementare e ci diamo dentro ancora di più».

Ci racconti della città: l’entusiasmo iniziale resiste?

«E’ incredibile avere 10.500 abbonati tra i dilettanti. Ma l’aspetto più emozionante è sentire la gente che mi ferma per strada e che mi dice di essere tornata al “Tardini” dopo tanto tempo solo perché ci siamo noi. Capisci che cosa gli hanno portato via in questi anni e, al contempo, che spirito eravamo riusciti a costruire dalla promozione in A dell’89 fino alle vittorie in Europa».

Ma, senta, lei si è dato una spiegazione su come sia potuto succedere tutto questo? Come mai la città non abbia avuto gli anticorpi per evitare lo scempio del club?

«Ma la città non ha responsabilità... Non voglio dare giudizi perché non sono documentato nei dettagli su quella vicenda, ma ancora non riesco a capire come sia stato possibile che si sia verificata una tale assenza di controlli. Sono successe cose assurde con una facilità estrema. Però adesso basta. Ai tifosi, che pure ogni domenica fanno cori contro i vecchi dirigenti, l’ho detto chiaro: archiviamo il passato perché ora abbiamo voltato pagina».

Più difficile vincere una Coppa Uefa da allenatore con il Parma che “gioca come in paradiso” o la Serie D da presidente con il Parma risorto?

«La Serie D, senza dubbio! Anche per il modo in cui tutto è iniziato: il 5 agosto avevamo tre giocatori in prova. Le prime riunioni le abbiamo fatte a casa mia, poi al baretto del Barilla Center. Eravamo senza sede, telefoni, computer. Lo stadio sprangato e il centro sportivo sotto sequestro...».

Per la verità lo è ancora.

«Sì, ora siamo in affitto e a gennaio ci sarà l’asta giudiziaria: speriamo che gli imprenditori che hanno reso possibile questo miracolo abbiano la forza di mettere anche questo importante tassello per la rinascita».

Non la prenda male, presidente Scala, ma vien da dire che, vista la situazione incancrenita che si era creata, forse è meglio essere ripartiti da zero...

«Già, sembra incredibile e paradossale dire “ben vengano queste cose”, eppure... Intendiamoci, i tifosi hanno sofferto, hanno perso la Serie A e c’è stato il concreto rischio di sparire del tutto. E se non è accaduto il merito è di Marco Ferrari, il vicepresidente: l’anima e il motore inesauribile di questo progetto».

E che, non a caso, aveva mollato Ghirardi nel 2014... Insomma, rischiare di morire per salvarsi e capire la necessità di riscoprire i valori del calcio vicino alla gente: retorica o realtà, a Parma?

«Il calcio, a tutti i livelli, sta vivendo una fase davvero brutta per come è travolto dagli scandali. Noi abbiamo voluto dare un messaggio: lealtà, impegno. Chi non ci sta è fuori. Il risultato è che alla domenica al “Tardini“ vengono più di 10 mila persone in Serie D. Ci sono le famiglie con i bambini e si respira un’atmosfera di festa».

Anche i risultati, però, contano...

«Certo, gliel’ho detto: noi abbiamo l’impegno di riportare in alto il Parma e stiamo già pensando al prossimo campionato. Però vogliamo guadagnarci tutto sul campo senza privilegi e senza sotterfugi. E soprattutto nessuno potrà accusarci di aver fatto promesse: impegno massimo, ma nessuna scadenza. Anche perché vogliamo mantenere equilibri sportivi e gestionali».

E per lei: questa con il Parma sarà la sua ultima avventura nel calcio?

«Ah, il futuro non lo può sapere nessuno. Però ho subito detto che quando il Parma camminerà da solo, io me ne tornerò a fare l’agricoltore. E loro lo sanno bene, visto il regalo che mi hanno fatto a Natale...»

Cosa le hanno regalato?

«Un bellissimo trattore per le vigne! Sto aumentando gli ettari di Garganega, ma è un lavoro che portiamo avanti con giudizio e senza fare il passo più lungo della gamba. Sì, come con il Parma».

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