Fabregas esclusivo: "Il segreto di Morata è l'ambiente Juve"

Il centrocampista del Monaco: "Pirlo è un genio, Sarri troppo rigido e superstizioso"
Fabregas esclusivo: "Il segreto di Morata è l'ambiente Juve"

Le auto sportive dei giocatori si mischiano alle ruspe. A La Turbie è tempo di lavori: c’è in cantiere un nuovo centro sportivo, avveniristico. Il Monaco è di rientro dalla trasferta di Lilla, dove l’assist di Fàbregas e il gol di Pellegri non sono bastati a evitare una immeritata sconfitta. Oleg Petrov, il vicepresidente, fa gli onori di casa. «Buongiorno Tuttosport. Siamo pronti per il Golden Boy?». Da Monte-Carlo il premio internazionale del nostro giornale, assegnato al miglior Under 21 protagonista in Europa, è passato nel 2017, anche se poi Kylian Mbappé lo ha sollevato al cielo dopo essersi trasferito dal Principato al PSG. Ma un Golden Boy lo ha tuttora, il Monaco. È Cesc Fàbregas. Il catalano ha trionfato ai tempi dell’Arsenal, nel 2006, raccogliendo l’eredità di un certo Lionel Messi. Quella con il 33enne centrocampista ex Chelsea e Barcellona è una “carrambata” più che un semplice incontro. Sono passati 14 anni dal suo trionfo e nel frattempo Fàbregas ha arricchito la bacheca con ogni tipo di trofeo, a partire dall’Europeo (2 volte) e dal Mondiale con la Spagna. Eppure il centrocampista del Monaco, oggi 33enne, sembra accarezzare il Golden Boy con la stessa felicità di allora. «È davvero così – racconta Fàbregas – Mi avete fatto un grandissimo regalo a farmi a riavere un trofeo a cui tengo molto, ma che purtroppo nel 2011 mi è stato derubato dalla mia casa di Londra».

Se ripensa al suo Golden Boy?

«Quando ero un giovane talento, vivevo questo prestigioso riconoscimento come il Pallone d’Oro delle promesse. E per le nuove generazioni sarà identico e forse anche qualcosa di più visto che in questi anni hanno trionfato fior di campioni. Ricordo come fosse ora l’orgoglio che provai io, nel 2006, ma anche la felicità del mio grande amico Leo Messi, che trionfò dodici mesi prima».

Quest’anno ha vinto Haaland: concorda con l’esito dei voti della nostra giuria internazionale?

«Sì, perché Haaland è cresciuto molto ed è forte. Parliamo di un bomber che segna tantissimo. Lui e Mbappé sono gli attaccanti del futuro».

Pronostico per l’edizione 2021?

«Ci sono diversi talenti interessanti, ma penso che se tornerà al top dopo l’infortunio, il grande favorito sarà Ansu Fati. È un giocatore rapido e segna sempre: a tutto per essere un punto di riferimento del Barcellona nei prossimi anni».

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Il suo coetaneo Messi, dopo il caos estivo, resterà in blaugrana o se lo immagina altrove?

«Il Barcellona è casa sua, è la sua squadra da quando è piccolo. Sono scelte molto personali, non mi intrometto».

Cosa racconterebbe a un bambino curioso di sapere chi è Messi al di là dei gol e delle magie?

«Quello che io stesso dico spesso a lui: “Leo, tu non ti rendi conto di quanto sei grande”. Messi non ha proprio la percezione di essere un Dio del calcio, è un ragazzo molto umile, solare. Ama vivere come le persone normali tanto che, pur essendo una star, vorrebbe muoversi senza gli uomini della sicurezza. Ha anche un gran cuore, è sempre pronto ad aiutare i bambini malati e le persone più povere».

Consiglierebbe a Messi il Monaco come ultima tappa della carriera?

«Considerata la situazione, mi sembra difficile immaginarlo qui. Ma di sicuro io sono felice e mi trovo molto bene a Monte-Carlo».

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Lei cosa ha trovato di speciale nel Principato?

«Innanzitutto stabilità, che era la mia priorità quando nel 2019 ho deciso di lasciare il Chelsea perché volevo giocare di più. Di offerte ne avevo parecchie, ma il Monaco è stato la società che mi ha mostrato più interesse. Anche la durata del contratto ha influito sulla mia decisione perché non volevo obbligare la mia famiglia a cambiare città ogni anno. Qui c’è un progetto interessante. Quest’anno sono il più esperto in squadra, sono attorniato da talenti e mi piace questo ruolo. Abbiamo un gruppo giovane, ma di qualità, e la squadra, al di là della sconfitta col Lilla, sta ottenendo buoni risultati».

La qualificazione alla prossima Champions è un obiettivo concreto per questo Monaco?

«La priorità è tornare nelle Coppe. Se continueremo a giocare con questo spirito e a crescere, potremmo raggiungere anche questo obiettivo. In questa stagione senza Europa, giocando una volta a settimana, abbiamo la possibilità di lavorare tanto, preparare bene i nostri impegni in Ligue 1 e trarne un piccolo vantaggio».

Il nuovo tecnico croato Niko Kovac le ricorda più Mourinho o Guardiola?

«Kovac è molto preparato, intelligente. È un tecnico esperto, che ha già vinto tra Bayern e Eintracht Francoforte. Come stile assomiglia più a Guardiola, ma parliamo di tre allenatori diversi. Anche se...».

Anche se?

«Tutti pensano che Guardiola e Mourinho siano opposti. In realtà di opposto praticano soltanto il tipo di gioco. Ma come allenatori e modo di vivere i calcio sono identici: sono maniacali. E soprattutto vincenti. Mou e Pep hanno segnato un’epoca, ultimamente si è aggiunto a loro anche Klopp. Se penso ai migliori allenatori degli ultimi venti anni, assieme a loro metto anche Wenger, Ferguson, Lippi e Ancelotti».

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Le fa effetto vedere Pirlo sulla panchina della Juventus al debutto assoluto da allenatore?

«Non sono stupito, anche perché la vita è fatta di opportunità che vanno colte. Guardiola, Zidane e Arteta hanno fatto molto bene pur non avendo alle spalle una gavetta. Pirlo è stato un genio in campo e i giocatori con queste caratteristiche diventano grandi allenatori. Senza contare che è stato allenato da top tecnici come Ancelotti, Lippi, Conte... Non ho dubbi: Pirlo diventerà un grandissimo allenatore».

Immagina anche per lei un futuro in panchina?

«Può essere una opzione. Di sicuro mi vedo di più come tecnico che che come dirigente. A me piace il campo, non stare al telefono, dietro a una scrivania».

Ha ancora tempo per pensarci visto come si sta allungando la carriera dei top: Cristiano Ronaldo ha 35 anni, Ibrahimovic 39...

«Cristiano non lo conosco personalmente, ma tutti mi raccontano che è super professionale e possiede una mentalità incredibile. Non sarà più il CR7 che salta gli uomini in dribbling, però segna tantissimo. E vince. Io spero di arrivare fino ai 36 anni, così da aver fatto 20 anni di carriera. Adesso è meno complicato rispetto al passato perché noi giocatori abbiamo più informazioni e ci gestiamo meglio: dal riposo al recupero, fino all’alimentazione. Io, ad esempio, non bevo mai alcolici e bevande gassate. L’unico strappo è una birretta in vacanza».

Barcellona e Juventus si giocano il primato nel girone di Champions: pronostico?

«All’andata i blaugrana hanno giocato molto bene, però è stata una partita più equilibrata di quello che ho sentito dire in giro... A Morata sono stati annullati 3 gol per fuorigioco millimetrico».

Lei che è molto amico di Morata, ha capito qual è il segreto della sua rinascita?

«Negli ultimi anni gli è mancata un po’ di regolarità, ne abbiamo parlato spesso quando eravamo compagni nel Chelsea. Adesso l’ha ritrovata: merito della Juve e della famiglia, che in Italia si trova molto bene. L’ho sentito da poco, è molto felice. Álvaro e Ronaldo sono una bella coppia d’attacco, si compensano e segnano entrambi».

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Anche la Juventus ha un Golden Boy: De Ligt.

«Mi piace tanto, possiede una grandissima personalità. Può diventare un numero uno, come Sergio Ramos. Tra i top degli ultimi anni metto anche Piqué e Puyol».

Vedremo Fàbregas in Serie A prima o poi?

«Sono stato vicino a tre squadre italiane prima di venire al Monaco. Ho parlato con Ancelotti, quando allenava il Napoli, e anche con Gazidis, quando è passato al Milan. Ma ho preferito scegliere il Monaco».

Un po’ d’Italia l’ha assaggiata al Chelsea prima con Conte e poi con Sarri, dal quale ha divorziato dopo solo mezza stagione nel 2018-19. Perché?

«Sarri voleva puntare su Jorginho, che aveva avuto al Napoli ed era arrivato al Chelsea per 60 milioni. A me non bastava giocare l’Europa League e Coppa di Lega, io sono sempre stato titolare... Volevo essere sempre protagonista in Premier. Così alla fine sono andato via. Sarri è un buon allenatore e una persona di cuore. Però ha convinzioni molto forti a livello tattico, è superstizioso ed è molto difficile fargli cambiare idea. Se ripenso alla storia degli allenamenti...».

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Cioè?

«Sarri ci fissava gli allenamenti sempre alle 3 del pomeriggio. Chi aveva famiglia come me, in quel modo non vedeva i figli tutto il giorno. La mattina andavano a scuola e quando rientravo la sera dopo l’allenamento, loro erano già a letto. Così un giorno abbiamo chiesto a Sarri di spostare le sedute al mattino. Ma ci disse che dovevamo allenarci alle 15 perché una studiosa di Pisa aveva provato scientificamente che quello è l’orario migliore per il corpo. Mah, sarà... Io so solo che per qualsiasi giocatore è molto importante anche il tempo in famiglia».

Se chiude gli occhi e pensa a Maradona?

«Mi torna in mente quando avevo dieci anni mi regalarono un cd su Diego: la cosa che mi impressionò di più di quel video fu il suo riscaldamento prima di una sfida europea contro il Bayern. Maradona palleggiava all’infinito e in tutti i modi. Rimasi a bocca aperta, paralizzato da così tanta spettacolarità». 

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