Pato: "Alzavo il Golden Boy con la testa intrappolata nel futuro"

L'ex attaccante del Milan ricorda il premio di Tuttosport vinto nel 2009: "Quando riuscivo a pensare al presente ero inarrestabile..."

"Perché Pato non ha vinto il Pallone d’Oro? Perché Pato era sempre infortunato? Mah. Avrei dovuto rispondere a queste domande tempo fa. C’erano tantissime voci, specialmente a Milano. Facevo troppo festa. Non avevo voglia. Vivevo nel mondo delle favole. Quando volevo parlare mi veniva detto di pensare al calcio. Ero troppo giovane per controbattere. Davvero, ero solo un bambino. Quindi credo sia arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza. Ora ho 32 anni. Sono felice e in forma. Non provo risentimento nei confronti di niente e di nessuno. Se volete credere alle voci, non sono qui per farvi cambiare idea".

L'ex talento del Milan Alexandre Pato, tornato lo scorso maggio dopo l'esperienza all'Orlando City e l'ennesimo infortunio della propria carriera, si racconta a 'The Players Tribune', ricordando il premio assegnato da Tuttosport, il Golden Boy, ricevuto nel 2009.

Pato e l'addio all'Orlando City

Pato e il Golden Boy di Tuttosport vinto nel 2009

"Amavo le attenzioni. Volevo che si parlasse di me. Ma sapete cosa è successo? Ho iniziato a sognare troppo. Anche se continuavo a lavorare duro, la mia fantasia mi portava in posti di tutti i tipi. Nella mia testa avevo già il Pallone d’Oro in mano. Non potevo evitarlo. È davvero difficile non lasciarsi travolgere. Avevo sofferto tanto per arrivare lì. Quindi perché non godersela? Quando vinsi il Golden Boy che mi consacrava come miglior giovane d’Europa nel 2009, non pensavo al Pallone d’Oro. Mi stavo solo divertendo e wow... un premio. Quando vivevo nel presente ero inarrestabile. Ma la mia mente rimaneva incastrata nel futuro. Poi nel 2010 ho iniziato a essere infortunato tutto il tempo. Non avevo più fiducia nel mio corpo. Aveva paura di quello che la gente potesse dire di me. Andavo ad allenarmi pensando 'Non posso infortunarmi'. Se mi infortunavo non lo dicevo a nessuno. Una volta mentre stavo recuperando da un problema muscolare ebbi una distorsione alla caviglia e continuai a giocare. Era gonfia come un pallone ma non volevo lasciare la squadra. Uno dei miei difetti era che volevo accontentare tutti", prosegue Pato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pato e il suo passaggio al Milan

"Sarei potuto andare al Barcellona, all’Ajax, al Real Madrid. Perché il Milan? Beh, lasciate che vi faccia una domanda. Avete mai giocato con quel Milan alla PlayStation? Erano incredibili! Kaká, Seedorf, Pirlo, Maldini, Nesta, Gattuso, Shevchenko… Sheva era inarrestabile! Il Fenomeno, il vero Ronaldo. Avrei potuto giocare con lui. Che formazione! Avevano appena vinto la Champions League. Il Milan in quei tempi era 'La' squadra. Pensavo, quando è il prossimo volo? Quando sono atterrato a Milano, una parte delle visite mediche era un esame della vista. Come uno stupido premei troppo forte il palmo della mano contro l’occhio e quando lo aprii vedevo a malapena. Il dottore mi mise delle gocce dilatanti, ma quando uscii dalla stanza ero praticamente cieco. E chi si presenta? Il grande Ancelotti. Mi dice: 'Tutto bene?' Dissi: 'Tutto bene', ma riuscivo a malapena a vederlo. Abbiamo fatto una foto insieme in cui i miei occhi erano praticamente chiusi. Carlo mi portò nella sala da pranzo. 'Questo è Pato, il nostro nuovo attaccante'. Si alzarono tutti in piedi per stringermi la mano. Uno ad uno. Ronaldo, Kakà, Seedorf. Wow. Quello fu il mio primo giorno al Milan. Il videogioco era diventato realtà", ricorda Alexandre Pato.

Pato: "Al Milan mi sentivo così solo"

"La gente si aspettava che segnassi più di 30 gol a stagione, ma non potevo nemmeno entrare in campo. Potevo accettare che gli altri dubitassero di me. Ma quando il dubbio viene da dentro? È un’altra cosa. E allora sapete cosa succede? Che scopri chi ti ama davvero. Un sacco di gente intorno a me pensava 'Dopo tutto questo non credo che ce la farà'. Mi sentivo così solo. All’Internacional sono sempre stato super protetto. Tutti facevano qualsiasi cosa per me. Non sapevo niente di infortuni, preparazione fisica o dieta, perché non ne avevo bisogno. Dovevo solo pensare a giocare. Quindi quando ero in difficoltà al Milan, non avevo idea di cosa fare. Oggi ogni giocatore ha un team che lo segue no?! Dottore, fisioterapista, preparatore. All’epoca solo Ronaldo ce lo aveva. Non avevo parenti vicino. La mia famiglia era ancora in Brasile. Avevo un agente, ma non si occupava di tutto come fanno gli agenti ora. Chiaramente il Milan aveva i medici e lo staff, ma dovevano seguire 25-30 giocatori. Non potevano stare con me tutto il tempo", conclude Pato.

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"Perché Pato non ha vinto il Pallone d’Oro? Perché Pato era sempre infortunato? Mah. Avrei dovuto rispondere a queste domande tempo fa. C’erano tantissime voci, specialmente a Milano. Facevo troppo festa. Non avevo voglia. Vivevo nel mondo delle favole. Quando volevo parlare mi veniva detto di pensare al calcio. Ero troppo giovane per controbattere. Davvero, ero solo un bambino. Quindi credo sia arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza. Ora ho 32 anni. Sono felice e in forma. Non provo risentimento nei confronti di niente e di nessuno. Se volete credere alle voci, non sono qui per farvi cambiare idea".

L'ex talento del Milan Alexandre Pato, tornato lo scorso maggio dopo l'esperienza all'Orlando City e l'ennesimo infortunio della propria carriera, si racconta a 'The Players Tribune', ricordando il premio assegnato da Tuttosport, il Golden Boy, ricevuto nel 2009.

Pato e l'addio all'Orlando City

Pato e il Golden Boy di Tuttosport vinto nel 2009

"Amavo le attenzioni. Volevo che si parlasse di me. Ma sapete cosa è successo? Ho iniziato a sognare troppo. Anche se continuavo a lavorare duro, la mia fantasia mi portava in posti di tutti i tipi. Nella mia testa avevo già il Pallone d’Oro in mano. Non potevo evitarlo. È davvero difficile non lasciarsi travolgere. Avevo sofferto tanto per arrivare lì. Quindi perché non godersela? Quando vinsi il Golden Boy che mi consacrava come miglior giovane d’Europa nel 2009, non pensavo al Pallone d’Oro. Mi stavo solo divertendo e wow... un premio. Quando vivevo nel presente ero inarrestabile. Ma la mia mente rimaneva incastrata nel futuro. Poi nel 2010 ho iniziato a essere infortunato tutto il tempo. Non avevo più fiducia nel mio corpo. Aveva paura di quello che la gente potesse dire di me. Andavo ad allenarmi pensando 'Non posso infortunarmi'. Se mi infortunavo non lo dicevo a nessuno. Una volta mentre stavo recuperando da un problema muscolare ebbi una distorsione alla caviglia e continuai a giocare. Era gonfia come un pallone ma non volevo lasciare la squadra. Uno dei miei difetti era che volevo accontentare tutti", prosegue Pato.

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