TORINO - No: le dimissioni di Roberto Mancini, comunicate alla Figc nella tarda serata di sabato tramite posta certificata, non sono state un fulmine a ciel sereno ma il punto finale di malesseri e incomprensioni che hanno pian piano assunto le dimensioni di una valanga non più sostenibile.
Non per Mancini che ormai si sentiva a disagio nel ruolo di ct e a cui non è bastato, per ritrovare l’antico entusiasmo, il nuovo progetto a cui l’ha messo a capo Gabriele Gravina non più in là del 4 agosto: coordinatore delle tre Nazionali più importanti (la maggiore e le due Under, 21 e 20, immediatamente a ridosso) in un arco temporale dilatato fino al Mondiale del 2028 e non più solo del ‘24.
Mancini, la rivoluzione e la spinta dell'Arabia Saudita
Una rivoluzione che, contestualmente, ha però anche portato alla rottura del “cerchio magico” di Mancini con l’uscita dallo staff di Evani e di Lombardo, passato all’Under 20. E già quella sera il ct si lamentò con alcuni amici del fatto che gli avessero «tolto troppi uomini», “suoi” uomini, ovviamente. Il tarlo, evidentemente, ha continuato a lavorare. Tanto è vero che le voci sul suo malessere erano giunte allo stesso Gravina che lo ha contattato per capire e ha sì ricevuto la conferma del disagio, ma non l’intenzione di mollare tutto come invece ha poi deciso di fare pochi giorni dopo. Complice l’immancabile spinta dell’Arabia Saudita che gli ha offerto un triennale da 20 milioni a stagione per guidare la panchina della Nazionale.