Morte Maradona, Luque: "Mi ferisce sentir dire che l'ho ucciso"

L'ultimo dottore del Diez riavvolge il nastro e torna a quel tragico 25 novembre: "Ho sempre cercato di aiutarlo. Non ho paura di andare in prigione"
Morte Maradona, Luque: "Mi ferisce sentir dire che l'ho ucciso"

BUENOS AIRES (ARGENTINA) - Sono ormai passati più di sei mesi da quel terribile 25 novembre, giorno della morte del Pibe de Oro: Diego Armando Maradona. Il fuoriclasse argentino ha lasciato un vuoto incolmabile nel cuore di tutti gli appassionati di calcio e non solo. Una morte prematura, arrivata a soli 60 anni in un giorno d'autunno. Mentre tutto il mondo lottava per la pandemia da Coronavirus, Diego si è preso la scena come faceva in campo, abbandonando la Terra con uno dei suoi coup de théâtre. Leopoldo Luque, suo ultimo medico, è tornato sulla morte del Pibe de Oro parlando ai microfoni del quotidiano sportivo argentino Olé. "Ho conosciuto Diego quattro anni fa, dovevo vederlo per un disturbo del sonno. Il rapporto vero è iniziato nel 2019. Ho provato a mettermi in contatto con il suo precedente medico di famiglia, Cahe, ma non ci sono riuscito. Anche Diego non voleva che comunicassi con lui perché il loro rapporto si era chiuso male. Mi sono imbattuto in un paziente con una storia di dipendenze e scompenso cardiaco acuto legato al consumo di cocaina. Tuttavia, mentre lo curavo, non ne faceva uso. Nel 2019, quando si è stabilito qui e dopo l'inizio della quarantena, il problema della dipendenza da alcol si è accentuato".

Luque: "Sono orgoglioso di quello che ho fatto per Maradona"

Tornando a quei giorni difficili prima della morte spiega: "La necessità dell'intervento era indiscutibile. In ogni caso, mi pento della triste frase che ho detto. Ho già chiesto scusa e continuerò a farlo. Il cuore di Diego era ingrossato, sfinito. Per quanto riguarda il ricovero domiciliare, è stato elaborato dall'assistenza sociale e regolato dalla legge. Non ho mai avuto il potere di controllarlo. Ho visto infermieri e medici e non mi hanno segnalato nulla. Avevano l'ordine di non parlare con noi. Ho vissuto situazioni umilianti, parlato con persone che non avrei neanche mai voluto vedere o conoscere, ma ho voluto aiutare Diego. Mi è sembrato un uomo molto solo. Vorrei che prendessero i cellulari di tutti come fatto con il mio. Sono orgoglioso di quello che ho fatto, non mi sono mai staccato da Diego e ho sempre cercato di aiutarlo. Non ho paura di andare in prigione né ci penso. Il futuro è incerto, non so cosa succederà, ma sembra che il principio di innocenza non esista più. Mi rattristo quando dicono che ho ucciso Diego".

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