Messi e Mbappé, l’apoteosi di un regno e l’inizio di un altro

Messi e Mbappé, l’apoteosi di un regno e l’inizio di un altro© Fabio Ferrari/LaPresse

Grazie calcio. Sì, è vero, a volte ci fai arrabbiare, talvolta pure schifare, ogni tanto purtroppo annoiare, ma poi riesci sempre a farti amare. Una finale così è un romanzo che solo il pallone riesce a scrivere, un film che solo il football, ieri futbol, riesce a girare. E anche chi ha provato a fare il distaccato di fronte a questi strani e controversi Mondiali non può non essersi emozionato di fronte all’elettrizzante magia della finale più palpitante dell’era moderna e alla vittoria di un uomo che ha inseguito per tutta la vita quel trofeo come si insegue un vero amore e poi, come un vero amore, lo ha baciato. Ieri Re Messi ha completato le sue conquiste e sistemato i conti con il destino e la predestinazione. E lo ha fatto proprio nel giorno in cui il suo regno gloriosamente finisce e inizia quello di Kylian Mbappé, il dominatore del prossimo decennio. Nella stessa meravigliosa partita abbiamo assistito all’apoteosi di Lionel Messi e a una delle più sfavillanti dimostrazioni di talento del francese, che un Mondiale lo ha già vinto e con la tripletta di ieri si è prenotato una carriera altrettanto mostruosa. Ha tutto: il fisico di un centometrista, la tecnica di un fenomeno (vedi il secondo gol), il carattere d’acciaio che serve per battere il secondo rigore della sua incredibile notte, a due minuti dalla fine dei supplementari, con il pallone che era una sfera di piombo.

Grazie calcio, niente è mai scritto

Sì, caro calcio, ieri ti abbiamo amato tutti, non solo Messi che ha ricevuto quello che gli avevi sempre promesso e finalmente hai mantenuto. E ti abbiamo amato perché ci hai ricordato quello che hai di più bello: niente è mai scritto, niente è mai scontato, tutto può sempre succedere, tutto può essere ribaltato quando si crede di essere spacciati. Quale fantastica lezione di vita, quale prodigioso spettacolo riesci a offrire. Che concentrato di dramma, estasi, agonismo, tecnica, istinto e magia è racchiuso nell’irreale parata di Martinez al 120’. Quanta umanità c’è nell’espressione pietrificata di Mbappé, con in mano il più frustrante dei trofei (la Scarpa d’oro del capocannoniere) davanti a flash che avrebbe voluto incenerire, o nelle lacrime di Angel Di Maria, proprio lui, veterano delle finali, sopraffatto dall’emotività. Grazie calcio, riesci quasi a farci dimenticare tutto il resto. Quasi. La veste che Messi è stato obbligato a indossare prima della premiazione, il Bisht, indumento cerimoniale arabo, resterà come un oltraggio all’universalità dello sport. Infantino ci aveva detto che dovevamo pensare solo al calcio nelle ore della finale. Ebbene a calcio si gioca con la divisa regolamentare e i colori della propria nazionale, con la stessa divisa si riceve la Coppa del Mondo per quelle immagini che diventano globali. Nessun Paese ospitante aveva mai invaso la sacra neutralità di quel momento, mentre ieri si è infranta e macchiata una liturgia laica come la premiazione del Mondiale per compiacere chi paga con un inchino che chi ama il calcio non si meritava.

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