"Occhio, se sbagli al derby diventi un poster": l'Inter-Milan di Collovati

Intervista all'ex difensore sulla partita tra nerazzurri e rossoneri: "Bisogna viverla per capire cos’è"
"Occhio, se sbagli al derby diventi un poster": l'Inter-Milan di Collovati© www.imagephotoagency.it

«Tutti ti possono parlare del derby, ma bisogna viverlo per capire cos’è». Fulvio Collovati, lei lo ha vissuto prima al Milan poi all’Inter, come lo spiegherebbe ai tanti debuttanti protagonisti sabato? «Il derby è una partita in cui ai miei tempi, se sbagliavi, venivi marchiato. Quando salivi gli scalini che portavano in campo, la gente era molto più vicina rispetto a ora e ti urlava di tutto. E tu sentivi tutto: insulti, incitamenti, tutto. Giocare il derby porta responsabilità: a me sono quasi quarant’anni, dicasi quaranta, che mi parlano di quel gol di Hateley...».

Già, si torna sempre lì. «Io non penso di non aver mancato il centravanti ma lui è stato bravissimo e questo gli va riconosciuto. Però in quella foto ci sono io e dal 1984 me lo ricordano. Quindi chi va in campo sabato si metta in testa che il derby è questo: basta un errore e a vita finisci nei manifesti».

Lei ha lasciato il Milan in B, per giunta da campione del mondo, per andare all’Inter. Come è andata? «Oggi queste cose non fanno più scalpore, allora lo fece eccome. Tutto è nato perché accadde una cosa che capita una volta nella vita: dopo il primo anno in B per il calcioscommesse eravamo tornati in Serie A ma retrocedemmo di nuovo. All’epoca la Serie B non si fermava quando giocavano le Nazionali e io dovevo scendere in campo sabato e domenica: ricordo che una volta, dopo una partita di qualificazione a Spagna ‘82 ad Atene, presi un volo privato per essere in campo il giorno dopo col Milan... Fu così che Bearzot un giorno in ritiro mi prese da parte e mi disse che non poteva continuare così. Quindi andai all’Inter che fu la squadra che mi volle con più insistenza».

Ricorda il suo primo derby da avversario del Milan? «Come faccio a non ricordarmelo.... fui insultato per tutta la partita. Io lasciai il Milan da capitano e la fascia andò a Franco (Baresi, ndr). Quel giorno feci finta di nulla, ma a San Siro non è facile perché si sente tutto e poi, all’epoca, si potevano portare dentro pure gli striscioni... Ma anche questo è il derby».

A proposito, tra i suoi compagni chi sentiva più la partita? «Quando ero al Milan, in un derby marcavo Altobelli che poi mi sarei ritrovato per cinque anni come compagno all’Inter. Spillo era un grandissimo centravanti e tra noi non furono complimenti. Arbitrava Michelotti: lui a un certo punto fece un gesto e io - le devo dire la verità - esagerai nel buttarmi a terra e fu espulso. Tutt’ora, a distanza di quarant’anni, me lo rinfaccia... Tu dimmi un po’».

E giù una risata. San Siro non perdona: questa pressione si sente ancora di più nel derby? «Oggi non è più così. Prima il pubblico era impietoso e intransigente: bastava sbagliassi la prima partita e venivi marchiato, mentre ora i giocatori si aspettano di più. Ed è giusto che sia così, si intenda, ma io rimpiango il calcio di allora dove quei fischi ti aiutavano comunque a crescere».

Cosa prova all’idea che questi siano ormai gli ultimi derby a San Siro? «Non capisco proprio perché debba essere buttato giù: ristrutturiamolo e utilizziamolo per i grandi eventi. San Siro è un’istituzione per Milano, non comprendo proprio chi dice che vada dismesso.... Londra ha dieci stadi e a Milano facciamo fatica a utilizzare un impianto così?».

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