"Allegri certezza nell'incerta Serie A. Inter, Juve e l'anomalia decisiva"

Semplici: "Guardo e studio calcio ogni giorno. La Premier League è il torneo con più spettacolo. Arabi e Superlega le variabili. Come vedo il campionato italiano"

Leonardo Semplici, quanto calcio sta vedendo in questo periodo di sosta forzata?
«Più che sosta forzata, lo chiamerei un periodo di consapevole apprendimento e formazione. Vedo molto calcio in televisione, ma ho avuto modo di girare parecchio per gli stadi, non solo in Italia ma anche all’estero. Recentemente sono stato in Inghilterra, ho visto alcune partite di Premier League e Championship, ho fatto visita a Enzo Maresca al Leicester. Nel calcio, come nella vita, non si finisce mai di imparare».

La Serie A presenta qualche novità interessante?
«Senza dubbio si sta dimostrando un torneo incerto ed equilibrato, dove il retaggio del calcio cosiddetto all’italiana sta lasciando gradualmente spazio a idee, coraggio e maggiore spirito propositivo. Le partite sono più imprevedibili, sia in cima alla classifica che nella zona più calda che lotta per la salvezza».

Lo scudetto è una questione tra Inter e Juventus o può rientrare ancora qualcuno?
«L’osservatore non può che confermare l’assoluto valore delle due rose, numeri alla mano si stanno confermando le due principali contendenti per il titolo. Ma gennaio storicamente è un mese particolare, con il mercato a rappresentare una costante incognita».

Si aspettava una ripartenza del genere da parte della Juventus pur senza mercato?
«Ogni stagione fa storia a sé, L’ultima per la Juventus è stata molto tribolata e non ha permesso alla squadra di lavorare con la necessaria serenità. Quest’anno credo che si veda la differenza, al di là degli avvicendamenti in società, è rimasta una certezza che risponde al nome di Massimiliano Allegri. La Juventus è ripartita da lui e penso che i risultati confermino la statura di questo grande professionista».

Per i bianconeri c’è questa anomalia di giocare solo una volta la settimana: aiuta?
«Sicuramente è un anomalia dal punto di vista economico perché priva la società di introiti importantissimi, ma dal punto di vista tecnico rappresenta la grande opportunità di rimettersi in piena corsa per il campionato, potendo gestire le risorse in maniera più strategica. A lungo andare, questo può rivelarsi un fattore decisivo».

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Ma in generale c’è il problema delle troppe partite? I giocatori si lamentano…
«I dati confermano che il numero di infortuni stanno aumentando in maniera spropositata: considerando che la qualità dei campi di gioco è nettamente migliorata, la spiegazione più logica punta verso il progressivo aumento del numero di partite da giocare. I calciatori non sono automi: l’alimentazione, il recupero e il riposo sono tre fattori chiave per mantenere un equilibrio psicofisico ideale. Oggi i tempi di recupero sono drasticamente ridotti e ne stiamo vedendo le conseguenze sulla salute fisica e mentale dei calciatori. Se poi ci mettiamo le pressioni a livello mediatico e gli abusi che spesso subiscono sui social, il quadro diventa davvero preoccupante».

Com’è cambiato il ruolo dell’allenatore da quando ha iniziato il suo percorso?
«Oggi la parola d’ordine è “flessibilità”: tecnica, tattica, mentale e gestionale. Il calcio è cambiato, bisogna essere bravi a inserirsi e adattarsi al contesto tecnico e ambientale, cercando di gestire al meglio le risorse umane, il rapporto con il club e i media. Ma sono cambiati soprattutto i calciatori, che necessitano di essere gestiti in modo differente. I club sono aziende e hanno la necessità di valorizzare le caratteristiche rappresentano il loro patrimonio tecnico ed economico: è fondamentale instaurare con questi ragazzi un dialogo più umano e consapevole per metterli nelle condizioni tecniche e mentali per sfruttare al meglio il loro potenziale».

Tornando alla Serie A: la lotta salvezza si è allargata a molti club, Sassuolo compreso. Se lo aspettava?
«Come dicevo, il torneo è decisamente più equilibrato e quasi tutta la seconda metà della classifica si trova in una situazione di incertezza. Club come Sassuolo e Udinese sono meno abituati di altri a lottare nelle retrovie: ma hanno organici di valore, a volte bastano un paio di risultati consecutivi per rimettersi in carreggiata».

Allargando l’orizzonte oltre l’Italia: che idea si è fatto dell’ingresso dell’Arabia sul mercato calcistico e del progetto Superlega?
«È un mondo nuovo, sicuramente da approfondire e conoscere meglio, l’impressione è quella di un movimento calcistico più solido rispetto a quello cinese di qualche anno fa: credo che ciò che abbiamo visto finora sia solo l’inizio di un percorso. Quanto alla Superlega, per chi ha fatto la gavetta vincendo tutti i campionati dai dilettanti fino a meritarsi la Serie A, il concetto suona un po’ strano. Anche questo sistema, comunque, andrà valutato con attenzione ma l’importante è non perdere la genuinità del calcio per cui anche Davide può battere Golia: a me è successo e vi assicuro che è un’emozione forte, che non si dimentica».

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Il top resta la Premier?
«Senza dubbio. Il campionato inglese si è conquistato il primato a livello mondiale grazie a una visione imprenditoriale. Oggi è un modello di riferimento per tutti e mantiene la sua leadership perché ha coniugato sport e intrattenimento: offre uno spettacolo calcistico di altissimo livello e garantisce a protagonisti e spettatori strutture di prim’ordine. La Premier è bella da giocare e da vedere».

Il calcio sta cambiando anche nella percezione del pubblico: che futuro si aspetta?
«Le nuove generazioni vanno coinvolte e intrattenute con dei contenuti adeguati al loro livello di interesse e attenzione. Il calcio resta lo sport più seguito al mondo, ma deve sapersi adeguare ai nuovi linguaggi e alle nuove modalità di diffusione e condivisione. Anche per questo ritengo importante per noi protagonisti riuscire a migliorare il nostro modo di comunicare e interagire con i tifosi».

A proposito di cambiamenti, l’espulsione a tempo può essere una buona idea per prevenire i falli tattici?
«Il calcio ha il dovere di evolversi senza snaturare i suoi principi. Questa innovazione potrebbe creare differenti dinamiche all’interno della stessa partita, stimolando a gestire l’inferiorità o superiorità numerica come una fase di gara e non più come un’emergenza. Mi incuriosisce molto, soprattutto dal punto di vista professionale».

Ecco: lei che programmi ha per il futuro?
«Negli ultimi sei mesi ho focalizzato l’attenzione su aspetti che prima non consideravo così fondamentali. Ci sono state alcune richieste, non solo in Italia, ma per ora ho preferito declinare. Oggi il progetto e la sintonia con il club sono più importanti della categoria. E ho rivalutato anche la possibilità di un’esperienza all’estero, tanto che ho ripreso a studiare l’inglese».

Quindi la prossima intervista la faremo all’estero?
«Il calcio italiano resta la mia priorità, ma la vita è piena di sorprese, chissà...».

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Leonardo Semplici, quanto calcio sta vedendo in questo periodo di sosta forzata?
«Più che sosta forzata, lo chiamerei un periodo di consapevole apprendimento e formazione. Vedo molto calcio in televisione, ma ho avuto modo di girare parecchio per gli stadi, non solo in Italia ma anche all’estero. Recentemente sono stato in Inghilterra, ho visto alcune partite di Premier League e Championship, ho fatto visita a Enzo Maresca al Leicester. Nel calcio, come nella vita, non si finisce mai di imparare».

La Serie A presenta qualche novità interessante?
«Senza dubbio si sta dimostrando un torneo incerto ed equilibrato, dove il retaggio del calcio cosiddetto all’italiana sta lasciando gradualmente spazio a idee, coraggio e maggiore spirito propositivo. Le partite sono più imprevedibili, sia in cima alla classifica che nella zona più calda che lotta per la salvezza».

Lo scudetto è una questione tra Inter e Juventus o può rientrare ancora qualcuno?
«L’osservatore non può che confermare l’assoluto valore delle due rose, numeri alla mano si stanno confermando le due principali contendenti per il titolo. Ma gennaio storicamente è un mese particolare, con il mercato a rappresentare una costante incognita».

Si aspettava una ripartenza del genere da parte della Juventus pur senza mercato?
«Ogni stagione fa storia a sé, L’ultima per la Juventus è stata molto tribolata e non ha permesso alla squadra di lavorare con la necessaria serenità. Quest’anno credo che si veda la differenza, al di là degli avvicendamenti in società, è rimasta una certezza che risponde al nome di Massimiliano Allegri. La Juventus è ripartita da lui e penso che i risultati confermino la statura di questo grande professionista».

Per i bianconeri c’è questa anomalia di giocare solo una volta la settimana: aiuta?
«Sicuramente è un anomalia dal punto di vista economico perché priva la società di introiti importantissimi, ma dal punto di vista tecnico rappresenta la grande opportunità di rimettersi in piena corsa per il campionato, potendo gestire le risorse in maniera più strategica. A lungo andare, questo può rivelarsi un fattore decisivo».

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