In queste settimane, segnate anche dallo sfogo di Rocchi nella conferenza di metà stagione, chiunque si è sentito in dovere di dire la sua sul VAR. Bisognerebbe chiedersi se questo “allargamento” sia giusto, o se sia un problema: non solo gli addetti ai lavori, i giornalisti e gli stakeholder, tutti sembrano diventati “professori” in materia. Proviamo allora a tornare al campo: d'altro canto se un arbitro fa bene il suo mestiere e prende le giuste decisioni, inevitabilmente anche il VAR viene facilitato.
Prima di andare a vedere chi si è distinto positivamente in questa prima parte di stagione, ma anche i cluster dei bocciati e degli emergenti, serve una considerazione. Un arbitro è pagato per prendere decisioni: un po’ come un medico, gli servono attitudine e sicurezza, ma deve anche saper ascoltare la pancia, avere istinto. Ovviamente l'esperienza è fondamentale, serve tempo e anzianità per raggiungere i vertici. Ma al netto di ciò ci sono due caratteristiche che distinguono gli arbitri che faranno carriera dagli altri. Il primo requisito è la conoscenza del gioco: gli arbitri devono essere degli appassionati, vedere anche centinaia di clip alla settimana per poter diventare esperti. Il secondo: lavorare intensamente sui propri errori, per quanto difficile possa risultare, per provare a migliorarsi sempre. Ebbene, a mio avviso queste due componenti stanno un po’ mancando ad alcuni direttori di gara.
Inter, tre punti in più per errori VAR: lo certificano anche gli arbitri