"Perché Sartori non è andato alla Juve o a Milan o Inter": la rivelazione di Pellissier

L’ex bomber del Chievo rivela: "Non è solo questione di scoprire talenti, lui capisce che elemento serve in uno specifico contesto"

"Come fai a stupirti, ormai? C’è il Bologna, ma c’è anche quello che Sartori ha fatto all’Atalanta, al Chievo... Dove va, gli devi lasciare 6 mesi o un anno per riuscire a portare i suoi giocatori, le sue idee. Poi i risultati li vedi". Pensieri e parole di Sergio Pellissier, classe 1979, bomber, leader e simbolo di quel Chievo dei miracoli che proprio Sartori aveva pazientemente assemblato a partire dal 1992 con exploit negli Anni 2000. Pellissier conserva un gran ricordo di quell’avventura (ed è presidente della Clivense, che sogna di ribattezzare Chievo: tribunali e Campedelli permettendo). Così come conserva un rapporto di amicizia con Sartori. "Giovanni pensa solo ed esclusivamente al lavoro, al bene della società per cui lavora. Non c’è distrazione che tenga: bisticcia anche con i suoi amici, con le persone a cui vuole bene, se di mezzo c’è il bene del club. È diretto, se deve dire qualcosa te la dice in faccia. Lo so bene io, che avevo un ottimo rapporto con lui... Beh, adesso il rapporto è ancora migliore! Proprio perché prima litigavamo in continuazione. Si discuteva di problematiche economiche e di tutti i generi. Non c’era amicizia che tenesse: lui stava dalla parte della società e ragionava in quell’ottica senza spostarsi di un millimetro. A dimostrazione del fatto che prima viene il lavoro. Adesso siamo veramente legati, è un piacere chiacchierare e confrontarsi con lui".

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Qual è il punto di forza di Sartori?

"Il suo talento è trovare il giocatore giusto per quel determinato allenatore in quella determinata società. Non è detto che chi fa bene in un club possa rendere altrettanto bene in un altro. Ci sono variabili che bisogna valutare. Sartori riesce a leggere ciò che ad altri sfugge".

Chi le piace del Bologna?

"In rossoblù ci sono tanti giocatori bravissimi e che la gente non sapeva manco chi fossero. Un nome su tutti: Zirkzee. Mi piace perché è un attaccante, l’avevo visto l’anno scorso e non avrei mai pensato potesse diventare così forte. Mi piace anche Freuler, che Giovanni si è riconquistato dopo averlo avuto all’Atalanta".

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Perché non abbiamo mai visto Sartori all’opera alla Juve, al Milan, all’Inter?

"Credo che fondamentalmente dipenda dal fatto che se vai in grandi squadre inizi a dover gestire cose diverse. Giovanni ama andare a vedere le partite, scovare i giocatori. È attento alle questioni economiche, certo: anzi, se gli dai un importo da spendere lui ti spenderà sicuramente meno. Ma non credo che abbia intenzione di andare a crearsi lui il budget e controllare lui i conti".

Ci regala un ricordo che renda l’idea del Sartori all’opera?

"Il primo contratto che ho firmato quando sono rientrato dalla Serie C. Mi sono trovato nella sede del Chievo con Oscar Damiani, che era il mio procuratore, e con Giovanni. Il ds mi aveva offerto meno di quello che prendevo in serie C! Glielo feci notare: direttore, ma così firmo al ribasso... Lui non fece una grinza: 'Certo, ma io ti offro l’opportunità di esordire in Serie A'. Quel modo di fare mi rimase impresso".

Come andò a finire?

"Eh, come andò a finire... Tra le qualità di Giovanni c’è il saperti portare sempre dove vuole lui! Riuscii a contrattare un po’ e, anziché un ingaggio fisso, spuntai una cifra più alta in caso di permanenza in A e invece molto più bassa in caso di retrocessione. Decisi di essere ottimista e credere in me, insomma. Feci bene. Ma quell’anno finii comunque per guadagnare meno di quello che percepivo alla Spal".

Quali insegnamenti le ha dato Sartori?

"Mi ha insegnato tanto nella gestione delle situazioni, anche agli estremi. Ora sta cercando di cambiare il suo modo di pensare per adattarsi alle nuove generazioni, ma di base resta un ds veramente tutto d’un pezzo, molto severo. Ricordo che veniva raramente al campo. Quando si presentava, voleva dire che c’era qualche problematica e la si faceva notare. Altrimenti no: era in giro a vedere partite, aveva i suoi pensieri".

Ha chiesto qualche consiglio per la sua Clivense?

"Ogni tanto gli chiedo qualche consiglio, sì. Se ho un dubbio, una questione da risolvere lo chiamo per capire cosa farebbe lui: si impara sempre da chi è più bravo di te".

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C’è uno spiraglio per rivedere “il Chievo” in campo?

"Lo spiraglio c’era già 3 anni fa quando ho chiamato Chievo la mia società, solo che chi gestiva prima il club mi ha messo i bastoni tra le ruote e mi ha proibito di evitare che quel nome scomparisse del tutto. Ora il marchio è all’asta e stiamo aspettando per capire come recuperarlo. Mi piacerebbe ridare ai tifosi almeno il ricordo di quello che è stato. Il mio legame con quella realtà è fortissimo. Ho rinunciato a molte offerte, ai tempi, pur di restare lì: nonostante Giovanni magari mi avrebbe venduto volentieri per raccattare il più possibile! Ma i tifosi credevano in me, io avevo la possibilità di crearmi qualche record e rimanere nella storia di questa società. Ho scelto con il cuore, più che con il conto in banca. Anche per questo cerco di recuperare il marchio. Mi spiace pensare all’idea che tra 30 anni un mio nipotino possa chiedere a qualcuno dove ha giocato il nonno e poi, alla risposta “nel Chievo”, debba replicare: che? Dove?"

Pensa che in futuro potrebbe coinvolgere anche Sartori?

"Io glielo sto dicendo da anni! Solo che finché farà così bene nel professionismo vero difficilmente potrà abbandonarlo per venire da noi. Ma mi auguro di tornare presto tra i professionisti e spero che lui possa dire: basta con questo stress, torno a casa. Mi farebbe piacere perché più persone ci sono che hanno amato quel nome e più io sono contento. Questa società è di tutti quelli che hanno amato quei colori, quella favola. Ho aperto un crowdfunding, ho aperto ai soci. La società non è mia: io ci ho messo la faccia e mi prenderò 'le parole' per tutto quello che accadrà, ma per me ciò che conta è ridare a tante persone quello che meritano".

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"Come fai a stupirti, ormai? C’è il Bologna, ma c’è anche quello che Sartori ha fatto all’Atalanta, al Chievo... Dove va, gli devi lasciare 6 mesi o un anno per riuscire a portare i suoi giocatori, le sue idee. Poi i risultati li vedi". Pensieri e parole di Sergio Pellissier, classe 1979, bomber, leader e simbolo di quel Chievo dei miracoli che proprio Sartori aveva pazientemente assemblato a partire dal 1992 con exploit negli Anni 2000. Pellissier conserva un gran ricordo di quell’avventura (ed è presidente della Clivense, che sogna di ribattezzare Chievo: tribunali e Campedelli permettendo). Così come conserva un rapporto di amicizia con Sartori. "Giovanni pensa solo ed esclusivamente al lavoro, al bene della società per cui lavora. Non c’è distrazione che tenga: bisticcia anche con i suoi amici, con le persone a cui vuole bene, se di mezzo c’è il bene del club. È diretto, se deve dire qualcosa te la dice in faccia. Lo so bene io, che avevo un ottimo rapporto con lui... Beh, adesso il rapporto è ancora migliore! Proprio perché prima litigavamo in continuazione. Si discuteva di problematiche economiche e di tutti i generi. Non c’era amicizia che tenesse: lui stava dalla parte della società e ragionava in quell’ottica senza spostarsi di un millimetro. A dimostrazione del fatto che prima viene il lavoro. Adesso siamo veramente legati, è un piacere chiacchierare e confrontarsi con lui".

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Qual è il punto di forza di Sartori?

"Il suo talento è trovare il giocatore giusto per quel determinato allenatore in quella determinata società. Non è detto che chi fa bene in un club possa rendere altrettanto bene in un altro. Ci sono variabili che bisogna valutare. Sartori riesce a leggere ciò che ad altri sfugge".

Chi le piace del Bologna?

"In rossoblù ci sono tanti giocatori bravissimi e che la gente non sapeva manco chi fossero. Un nome su tutti: Zirkzee. Mi piace perché è un attaccante, l’avevo visto l’anno scorso e non avrei mai pensato potesse diventare così forte. Mi piace anche Freuler, che Giovanni si è riconquistato dopo averlo avuto all’Atalanta".

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