MILANO - Una vita da mediano. In campo e pure da dirigente quando ha affiancato Mancini e Mourinho negli anni della Grande Bellezza nerazzurra. Oggi Gabriele Oriali, 61 anni, ben portati, si diverte come (apprezzato) opinionista Mediaset nell’attesa che arrivi l’occasione per riprendere il lavoro lasciato in sospeso dalla notte di Madrid, quella della Champions alzata al cielo del Bernabéu.
Perché Oriali è ancora tanto amato dai tifosi?
«Me lo chiedo anch’io... (ride divertito Lele) Perché credo di aver fatto qualcosa di buono prima come giocatore, per diciassette anni partendo dal settore giovanile; quindi da dirigente per altri tredici. Penso sia questo il motivo per cui gran parte dei tifosi interisti gradirebbe un mio ritorno in società».
Se Thohir glielo chiedesse, accetterebbe?
«Dopo trent’anni, l’Inter è diventata la mia seconda famiglia. Quindi, se ci fosse una chiamata da parte di Thohir, accetterei più che volentieri. Altrimenti, continuerò a fare il tifoso».
Qual è stata la sua trattativa più difficile?
«Quella con la Juve per Ibrahimovic. Si sapeva che avrebbero dovuto cederlo, anche per la volontà del giocatore, però c’era sotto pure il Milan. Andai a Torino con Branca, c’era Blanc col quale trovammo un accordo per il trasferimento di Ibra e rimasi fino alle undici di sera finché non me lo firmarono. Furono due giorni tirati, con alle spalle la pressione del Milan che lo voleva a tutti i costi».
Un colpo da ricordare?
«Cambiasso preso a costo zero: io e Branca fummo inizialmente criticati perché non giocava nel Real. E poi Maicon: lo vedemmo la prima volta con Mancini e ce ne innamorammo subito».
Il flop?
«Quando si lavora, si può anche sbagliare: è successo a noi e, per esempio, è successo anche alla Juventus tre-quattro anni fa. Poi sia loro che noi siamo stati bravi a imparare dagli errori, perché abbiamo puntato più sulla qualità che sulla quantità. Comunque la Juve già da qualche anno è la squadra da battere e lo sarà anche per i prossimi, così come lo siamo stati noi per diversi anni».
Perché lo dice?
«Per i vantaggi dati dallo stadio di proprietà, perché hanno idee innovative, per la bravura della proprietà e dei dirigenti nella scelta dei giocatori e perché hanno un tecnico che, in questo momento, nel nostro campionato è il migliore».
Cosa manca all’Inter per raggiungere la Juventus?
«Quest’anno si è chiusa una pagina storica per il club e, in una stagione così, è chiaro che la squadra un po’ subisca sul piano psicologico il passaggio di proprietà. Non è un caso che, dopo un avvio in cui è stato espresso un buon calcio, ci sia stato un calo, non solo fisico, ma anche mentale e forse inconscio. Adesso ci si sta riprendendo, ma il gap con la Juve c’è: per colmarlo ci vuole lavoro, pazienza e tempo».
Ausilio ha le spalle abbastanza larghe per essere responsabile dell’area tecnica?
«L’esperienza nel condurre trattative se l’è già fatta con me e Branca, in più conosce bene il settore giovanile ed è esperto di calcio internazionale, quindi è una scelta che ci può stare. Anche se ritengo che in un grande club come l’Inter forse dovrebbe avere qualcuno all’interno della società col quale potersi confrontare quotidianamente. Se poi interista ancora meglio».
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Perché Oriali è ancora tanto amato dai tifosi?
«Me lo chiedo anch’io... (ride divertito Lele) Perché credo di aver fatto qualcosa di buono prima come giocatore, per diciassette anni partendo dal settore giovanile; quindi da dirigente per altri tredici. Penso sia questo il motivo per cui gran parte dei tifosi interisti gradirebbe un mio ritorno in società».
Se Thohir glielo chiedesse, accetterebbe?
«Dopo trent’anni, l’Inter è diventata la mia seconda famiglia. Quindi, se ci fosse una chiamata da parte di Thohir, accetterei più che volentieri. Altrimenti, continuerò a fare il tifoso».
Qual è stata la sua trattativa più difficile?
«Quella con la Juve per Ibrahimovic. Si sapeva che avrebbero dovuto cederlo, anche per la volontà del giocatore, però c’era sotto pure il Milan. Andai a Torino con Branca, c’era Blanc col quale trovammo un accordo per il trasferimento di Ibra e rimasi fino alle undici di sera finché non me lo firmarono. Furono due giorni tirati, con alle spalle la pressione del Milan che lo voleva a tutti i costi».
Un colpo da ricordare?
«Cambiasso preso a costo zero: io e Branca fummo inizialmente criticati perché non giocava nel Real. E poi Maicon: lo vedemmo la prima volta con Mancini e ce ne innamorammo subito».
Il flop?
«Quando si lavora, si può anche sbagliare: è successo a noi e, per esempio, è successo anche alla Juventus tre-quattro anni fa. Poi sia loro che noi siamo stati bravi a imparare dagli errori, perché abbiamo puntato più sulla qualità che sulla quantità. Comunque la Juve già da qualche anno è la squadra da battere e lo sarà anche per i prossimi, così come lo siamo stati noi per diversi anni».
Perché lo dice?
«Per i vantaggi dati dallo stadio di proprietà, perché hanno idee innovative, per la bravura della proprietà e dei dirigenti nella scelta dei giocatori e perché hanno un tecnico che, in questo momento, nel nostro campionato è il migliore».
Cosa manca all’Inter per raggiungere la Juventus?
«Quest’anno si è chiusa una pagina storica per il club e, in una stagione così, è chiaro che la squadra un po’ subisca sul piano psicologico il passaggio di proprietà. Non è un caso che, dopo un avvio in cui è stato espresso un buon calcio, ci sia stato un calo, non solo fisico, ma anche mentale e forse inconscio. Adesso ci si sta riprendendo, ma il gap con la Juve c’è: per colmarlo ci vuole lavoro, pazienza e tempo».
Ausilio ha le spalle abbastanza larghe per essere responsabile dell’area tecnica?
«L’esperienza nel condurre trattative se l’è già fatta con me e Branca, in più conosce bene il settore giovanile ed è esperto di calcio internazionale, quindi è una scelta che ci può stare. Anche se ritengo che in un grande club come l’Inter forse dovrebbe avere qualcuno all’interno della società col quale potersi confrontare quotidianamente. Se poi interista ancora meglio».
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