Inzaghi con il joystick: il triennio che lo avvicina ai grandi dell'Inter

Il tecnico nerazzurro ha raggiunto un altro “status” rispetto all’allenatore che, nella prima stagione e mezza, aveva sì vinto Supercoppa e Coppa Italia, ma aveva perso uno scudetto anche per scelte molto criticate

Se l’Inter, come ha scritto ieri su instagram Marcus Thuram, è «un po’ più vicina alle stelle», molto del merito va dato a chi da tre anni è al comando della nave, vale a dire Simone Inzaghi. Il quale (proprio come la sua squadra), ha tratto linfa dalla cavalcata di una stagione fa in Champions, chiusa con la finale persa ma giocata alla pari contro il Manchester City. Oggi Inzaghi ha raggiunto un altro “status” rispetto all’allenatore che, nella prima stagione e mezza all’Inter, aveva sì vinto Supercoppa e Coppa Italia, ma aveva perso uno scudetto anche per scelte molto criticate nella gestione delle partite e mostrato sempre lo stesso difetto, calando vistosamente per 6/7 partite dopo la pausa invernale. L’Inzaghi di oggi ha trovato continuità e omogeneità di rendimento, manovra la sua squadra con il joystick, fa vedere soluzioni tattiche che ricordano quanto fa Pep Guardiola a Manchester (l’utilizzo dei difensori centrali come centrocampisti aggiunti e Dimarco che, partendo da sinistra, svaria su tutto il fronte d’attacco per far perdere riferimenti agli avversari) e, lunedì a Udine, ha mostrato quell’irrazionale genialità mista a follia che aveva il primo Mourinho, quello vero, non la copia sbiadita dell’originale vista a Roma.

La mentalità di Inzaghi

La vittoria in rimonta sull’Udinese ha ricordato quella con il Siena, 9 gennaio 2010, gara risolta al minuto 93 con il gol del 4-3 firmato da Walter Samuel nelle vesti da centravanti. Filo rosso tra le due partite la presenza di Arnautovic in campo (pure allora l’austriaco mise il piede nell’azione del gol partita) e le scelte lucidamente fuori dall’ordinario fatte da chi era in panchina. A Udine Inzaghi ha chiuso con Sanchez dietro alle due punte, Buchanan ala sinistra, Frattesi incursore e sul pallone spinto in porta dal centrocampista i più vicini per provare il tap-in erano Acerbi e Pavard - ovvero due dei tre centrali -, tanto per fotografare il baricentro altissimo tenuto dalla squadra nel finale. Il rifiuto, non solo della sconfitta, ma pure dell’idea di pareggiarla una partita, appartiene al dna dei grandi e Inzaghi, al termine del triennio all’Inter può guardare dritti negli occhi tutti gli allenatori che hanno fatto la storia dell’Inter.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...