Ok il contesto, che non va dimenticato: il fatto che nei rossoneri mancassero la bellezza di 7 giocatori (tra cui Zlatan Ibrahimovic) non è dettaglio marginale. Ma c’è anche - e soprattutto - il risultato: neanche un 3-1 in casa della capolista è un dettaglio di poco conto. A maggior ragione se si tratta della prima vittoria in un big match di campionato di una squadra che, sia pure reduce da 9 scudetti consecutivi, veleggiava al di fuori dall’euro-zona. Dunque è comprensibile il mix di entusiasmo e soddisfazione che trabocca dagli ambienti bianconeri. Anche perché al netto delle considerazioni di cui sopra, quelle legate al “cosa” ha fatto la Juve (vincere un big match) e al “contro chi”, ci sono altri due aspetti forse ancor più nodali e propedeutici alla visione d’un roseo futuro.
Due aspetti
Due aspetti legati al “come”. Come la Juventus ha battuto il Milan. Cioè: 1) Con una mossa tattica magistrale, rivelatasi chiave dell’incontro, quale la scelta di puntare su Federico Chiesa in zona Theo Hernandez, in modo da limitare l’estro offensivo del rossonero e sfruttarne le manchevolezze in fase di copertura. 2) Con un atteggiamento generale, con uno spirito di gruppo e sacrificio che sino ad ora s’erano visti soltanto a tratti e con poca convinzion. In campionato ancor meno che in Champions League. Se quindi è vero che non in tutte le partite trovi un Theo Hernandez da aggredire, è altrettanto vero che se ci metti - di tuo - un certo tipo di atteggiamento propositivo e battagliero, beh, allora puoi diventare a prescindere artefice del tuo destino. Tutto questo Andrea Pirlo (che ha parlato di «spirito di chi vuol comandare») lo sa bene, come lo sanno alla perfezione il direttore tecnico Fabio Paratici, il vicepresidente Pavel Nedved, il presidente Andrea Agnelli. Tutti convinti che - questa volta sì, per davvero - il successo possa rappresentare una scintilla, oltre che una conferma di aver azzeccato un tot di scelte e/o azzardi: in primis l’avvicendamento Pirlo-Sarri.