Juve, infortuni e preparazione: l’unità anticrisi studia il dossier dei ko

I tanti problemi agli adduttori impongono un’analisi sulle metodologie di lavoro. Il dottor Tencone: "Bassa intensità? Nel caso, guai a partire con dei picchi"
Juve, infortuni e preparazione: l’unità anticrisi studia il dossier dei ko© /Ag. Aldo Liverani Sas

TORINO - Non potendo lavorare più di tanto sulla squadra, vista la diaspora nazionale... in casa Juventus si lavora (anche) sullo staff. Staff medico, staff atletico. Da che la crisi bianconera ha iniziato a prendere consistenza, del resto, la preparazione atletica e la gestione degli infortuni sono diventati temi caldi, caldissimi, scottanti. Oggetto di riflessioni e ragionamenti, financo di interventi che si sono concretizzati in qualche ridefinizione di responsabilità e compiti. Un nome su tutti (in senso letterale, su tutti): quello di Giovanni Andreini. Il responsabile delle performance ha assunto ancor più peso ed un ruolo di coordinatore, supervisor. Collettore, tra l’area più prettamente medica e quella più specificatamente atletica.

Le domande

Ci si sta interrogando, in casa Juventus, sul livello di intensità da tenere. S’è preso atto del fatto che un problema c’è. Massimiliano Allegri ha chiesto di preparare un dossier con il numero di infortunati, con le cause degli infortuni, con il numero di partite saltate dai suoi calciatori a causa di problemi fisici. E’ emerso che il numero di ko è tutto sommato analogo a quello dello scorso anno, ma è stato riscontrato che la gestione di alcune situazioni potrebbe non essere stata adeguata. Vengono in mente le ricadute di Szczesny, gli acciacchi di Rabiot, gli stop ripetuti di Di Maria. Ecco, appunto, Di Maria: è uno dei casi più emblematici e spinosi. Al debutto contro il Sassuolo era sceso in campo in non perfette condizioni e ne era uscito in pessime (lesione di basso grado de muscolo adduttore della coscia sinistra) poi un nuovo ko, a Firenze, il 3 settembre.  
Ma di interessante, su quel dossier c’è anche scritto che rispetto allo scorso anno è cambiata la tipologia di infortuni. «L’anno scorso abbiamo avuto problemi sui flessori, quest’anno sugli adduttori». Bisogna intervenire, si sta cercando di capire come e perché.

L’opinione

Il dottor Fabrizio Tencone, direttore di Isokinetic Torino ed ex medico e responsabile del settore medico bianconero, ci aiuta a capire la situazione. I muscoli in questione, innanzitutto. «I flessori sono i muscoli posteriori della coscia, quelli che piegano il ginocchio. Sono tre: il bicipite femorale, il semitendinoso e il semimembranoso. Gli adduttori sono invece i muscoli interni della coscia: in particolare il muscolo più sollecitato giocando a calcio è l’adduttore lungo». 
Pensando agli allenamenti, alla preparazione, si può sottolineare che ciascuna delle due tipologie di muscolo è maggiormente “chiamata in causa” da specifici tipi di esercitazioni e movimenti. «In generale i flessori sono molto sollecitati negli scatti e soprattutto negli allunghi. Pensate alla classica situazione in cui il giocatore sta correndo sulla fascia, poi comincia a saltellare e si mette la mano sula coscia. Poi si butta a terra. Ecco, questo è un caso tipico di infortunio ai flessori». Gli adduttori invece «sono più sollecitati nei cambi di direzione, nei lavori di uno contro uno: in questi casi è molto sollecitato l’inguine». 
Ma, domanda al dottore: perché può aumentare il numero di infortuni proprio agli adduttori? «Beh, in linea teorica le spiegazioni possono essere sostanzialmente due: vengono fatte molte esercitazioni che sollecitano la zona pubica inguinale oppure non vengono effettuati esercizi di prevenzione sufficienti a livello degli adduttori. Detto in altre parole, se ti infortuni è perché o hai fatto più di quello che eri preparato a fare oppure hai svolto meno esercizi del dovuto per rinforzare le zone delicate».

Picchi

Tornano alla memoria le frasi del tecnico del Bayern Monaco, Julian Nagelsmann, ad inizio stagione, dopo il primo allenamento di De Ligt con i bavaresi: «Matthijs mi ha detto che l’allenamento è stato il più duro degli ultimi quattro anni. Allo stesso tempo, è stato duro, ma non così duro. Ho sentito che in Italia poi non è facile tenersi in forma. Dobbiamo lavorare duramente con lui...». 
Dottor Tencone, qualora mai, davvero, ci fosse un problema di bassa intensità di lavoro, ci sarebbe modo di intervenire? «Sì, ma in maniera graduale. Non si potrebbe di certo ripartire a intensità altissima! Con dei picchi improvvisi, si rischia molto. La parola chiave è “progressione”, se si vuole salvaguardare la situazione infortuni».

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