Esclusiva con Rafaela Pimenta: “Pogba è uscito dall’incubo. Trascinerà la Juve”

Dal centrocampista francese ad Haaland, la grande agente si racconta: “Io e Mino, affari e tante risate. Perché Paul non si è operato al ginocchio? Credeva di tornare prima con la terapia conservativa"
Esclusiva con Rafaela Pimenta: “Pogba è uscito dall’incubo. Trascinerà la Juve”

Fino a quest’estate Rafaela Pimenta era un nome solo per gli esperti e gli addetti ai lavori. La sua grande alleanza con Mino Raiola, infatti, si basava su una ferrea divisione dei compiti. E quello che appariva doveva essere lui. L’avvocato Pimenta ha dribblato i riflettori con la stessa abilità con cui stilava contratti, curava ogni esigenza dei calciatori, tesseva rapporti e inventava nuovi progetti. Quest’estate i riflettori se li è trovati addosso e il suo nome è entrato nei titoli e negli articoli più volte negli ultimi mesi che negli oltre vent’anni di carriera. Haaland al City, De Ligt al Bayern, Pogba alla Juventus e un’altra decina di operazioni sono state brillanti dimostrazioni che, ancora una volta, Mino Raiola aveva azzeccato un colpo ed era sincero quando raccontava: «Guardate che quello bravo non sono io, ma è Rafaela». Ritrovarsi tutta l’agenzia sulle spalle non è stato facile, ma Rafaela lo fa sembrare con il sorriso che punteggia sempre le sue frasi. «Sapete qual è il segreto di Mino e mio? Che ci siamo sempre divertiti un mondo». E anche lei sembra sincera. Si commuove due volte e usa sempre in modo meravigliosamente naturale il presente quando parla del suo amico e socio.

È stata un’estate intensa. Come l’ha vissuta?

«Bene. Direi che è andata bene: quando i giocatori realizzano i loro desideri vuol dire che abbiamo fatto bene il nostro lavoro. Haaland voleva andare al City, Pogba alla Juventus... tutto è andato bene».

Si è divertita?

«A mio modo sì, anche se c’è un velo su tutto che è la mancanza di Mino».

Lavoravate bene insieme?

«Era fantastico lavorare con lui. Ci siamo sempre divisi i compiti, ma siamo sempre andati nella stessa direzione. Sono stati anni bellissimi, in cui è cambiato il modo di fare il nostro lavoro e noi ci siano adeguati».

Come è cambiato il mestiere dell’agente?

«Una volta c’era meno da fare: tutto era imperniato sul calciomercato, sui trasferimenti. Ora c’è la gestione del calciatore a 360 gradi, perché provvedi a ogni dettaglio, dalla crioterapia in casa al fisioterapista personale, dal cuoco al nutrizionista. Bisogna curare i social media e media tradizionali, che una volta avevano meno esigenze di oggi. Non uscivano tremila notizie al giorno, molte delle quali fasulle o quasi. E poi c’è la tutela del giocatore di fronte al bombardamento di amici e parenti: ognuno dei quali vuole proporgli un affare o fare qualche lavoro per lui. Tutte cose che vanno vagliate e valutate, perché a volte possono essere dannose».

Pogba ha vissuto una brutta avventura proprio per questioni legate ad amici e parenti.

«Già. Un problema non raro fra i calciatori, quello di vivere situazioni di tensione o di ricatto. Vengono minacciati perché sono soggetti molto esposti. Ho visto di tutto, soprattutto ricatti: i giocatori hanno paura a denunciare queste cose perché temono il danno di immagine o si vergognano. Così tacciono e vivono situazioni di stress incredibile, rischiando di compromettere le prestazioni o addirittura di infortunarsi. Tacendo peggiorano la situazione perché un buon agente li può sempre aiutare. Quando Paul finalmente ha deciso di farsi aiutare ha migliorato la situazione e ha capito che c’era una soluzione».

Ora com’è la situazione?

«È in mano agli avvocati. Paul adesso ha fatto tutto quello che doveva fare. Sì, forse poteva dirmelo prima ma lo capisco. Perché non è facile parlare di queste cose e spesso cerchi di risolverle da solo, perché ti vergogni, perché hai paura. Ma quando Paul ha deciso di parlare, le cose si sono avviate verso la soluzione. Succede molto più spesso di quanto voi immaginiate e infatti con Paul abbiamo pensato a un progetto: sviluppare una piattaforma di dialogo e appoggio per la salute mentale di un calciatore, anonimo per dare consigli, perché non sempre i calciatori sono in grado di superare certi problemi».

Al di là dell’infortunio lui adesso come sta?

«È entusiasta. Il superpotere di Paul è quello di superare le difficoltà con una forza incredibile e una grande positività. C’è stato un momento, qualche settimana fa, nel quale mi ha detto: “Rafaela, basta. Io non voglio pensare più a niente, mi concentro sul mio ginocchio e sul recupero, perché voglio tornare a giocare”. E così ha fatto: sono sicura che non ha più ascoltato nessuno e non ha più sentito niente, perché lui è capace di escludere il mondo e concentrarsi solo su un obiettivo».

Pogba la considera una seconda madre: tornare alla Juventus è stata più un’idea di Paul o Rafaela?

«Guardi, è successo tutto ad aprile, quando Arrivabene e Nedved sono venuti a Monte-Carlo a vedere il Masters 1000 di tennis. Sono passati qui in ufficio, abbiamo chiacchierato un po’ e io ho detto loro: perché non fate Pogba? E loro hanno detto: “Certo! Per noi si può fare domani, lui verrebbe?”. E io ho risposto: “Chiamiamolo”. E così è andata...».

E Paul cosa ha risposto quando lo hai chiamato?

«Era felice. Lui ci tiene alla Juve. Aveva altre ipotesi in ballo, ma quando ha sentito la parola Juve le ha messe immediatamente da parte. Lui ama questo club e ama l’Italia. Questo perché la Juventus gli ha dato momenti meravigliosi e le più grandi felicità. Poi sa, il giocatore rimarrà sempre legato al club dove compie il salto da sconosciuto a grande giocatore, per Paul la Juventus significa tantissimo. Da quando è andato via dalla Juventus ha sempre guardato le partite della Juventus e soffriva ed esultava per loro. Non ho mai sentito Paul parlare male della Juventus, tranne che per due cose».

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Parliamo di un altro grande vostro assistito: Ibrahimovic. Cosa farà da grande?

«Secondo me non lo sa ancora nemmeno lui, perché è ancora un grande giocatore e pensa ancora da calciatore. Uno come lui può fare di tutto».

Perché De Ligt parla male della Juventus?

«Io non sono convinta che lui parli male della Juventus, io credo che Mathjis fa tanta autoanalisi e fa tanta autocritica. Quando ho conosciuto Mathjis, aveva 18 anni e non aveva una carta di credito e un portafoglio, in compenso aveva sempre con sé un libro, leggeva voracemente le biografie. Lui pensa sempre al calcio e ripensa a quello che fa. Quindi credo che non stia parlando male della Juventus, club nel quale si è trovato benissimo, ma faccia una analisi di cosa è andato storto negli ultimi anni e lo esprima senza filtri come fa lui, che è una ragazzo molto trasparente. Bisognerebbe capire che tipo di domande gli vengono poste, alcune forse sono un po’ maliziose. Quando era alla Juventus non mi ha mai parlato male del club».

Donnarumma tornerà in Italia prima o poi?

«Io so che a Parigi le cose vanno bene e Gigio si trova magnificamente, ma il futuro non lo conosce nessuno».

Gravenberch è il nuovo Pogba?

«È un paragone che fanno spesso, spero per lui ovviamente. Forse non sono proprio lo stesso tipo di giocatore, ma io mi auguro che abbiano lo stesso percorso. Ha grande talento».

Dumfries sta emergendo alla grande nell’Inter.

«Professionista esemplare, vuole emergere, vuole giocare. Si programma gli obiettivi e li raggiunge: mi piace tantissimo come giocatore e mi piace la sua attitudine concreta e positiva»

Kean invece fatica un po’.

«È un ragazzo, è emerso a sedici anni, ha guadagnato tanti soldi e può averlo confuso, ma ha talento ed è bravo. Alla Juventus tutti concordano sul fatto che è un professionista, non gli rimproverano comportamenti sbagliati. È un ragazzo che adesso ti chiede solo di giocare. A volte ci si dimentica che è un 2000, ma perché ha iniziato presto. Adesso sta diventando un adulto, glielo dico sempre»

Pinamonti sembra aver trovato la strada giusta.

«Mi è piaciuto come ha affrontato quest’estate, Gli ho chiesto: qual è la tua ambizione? E lui non mi ha detto: voglio andare in Premier, ma mi ha detto: “Voglio andare in una squadra che mi vuole veramente e quindi che mi faccia giocare. io ho bisogno di giocare e dimostrare quello che valgo”. Era felice quando abbiamo chiuso con il Sassuolo, aveva un sorriso solare, perché sapeva che lì avrebbe avuto spazio. È un ragazzo molto saggio».

I social hanno cambiato in meglio o in peggio il suo lavoro?

«Mino li odiava, io non li amo, ma so che non possiamo prescindere dalla loro esistenza. Noi abbiamo una ragazza dedicata a leggere tutto quello che viene scritto sui social dei nostri giocatori. Purtroppo sui social media la notizia viene trattata senza cura e professionalità. Può succedere che un allenatore in una conferenza stampa un allenatore faccia un ragionamento di tre minuti, qualche scemo su Twitter lo taglia e ne fa una frase di 15 secondi stravolgendone il significato. Quel video lo vede un amico del calciatore che lo manda alla nonna del calciatore che lo manda alla fidanzata che chiama il giocatore, un’ora prima di una partita, dicendogli: “Guarda che l’allenatore parla di te, c’è un video”. Ecco il nostro mestiere è prevenire queste cose, facendo in modo di avere tutto sotto controllo, verificando ciò che circola sui social e tranquillizzando i giocatori».

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Un lavoraccio.

«Ma è indispensabile. Un altro difetto dei social media è che i giocatori spesso fanno la ricerca con il loro nome, anche dieci volte al giorno. Questo sapete cosa provoca? Che l’algoritmo inizia a fornire solo contenuti su quell’argomento e improvvisamente i giocatori si convincono di essere al centro del mondo e invece sono solo al centro della bolla che loro stessi hanno creato. Un disastro! In compenso c’è una lato positivo: i social media danno voce ai giocatori che possono esprimere la loro posizione, soprattutto quando sono coinvolti in controversie. Se la sai usare con calma e intelligenza è utile. E poi con messaggi ispirazionali possono aiutare la vita di molte persone per le quali la loro voce ha un peso molto importante. Puoi far passare messaggi di valore sociale».

Insomma, il procuratore non è solo quello che intasca la percentuale milionaria...

(ride) «Lo so che molti pensano sempre ai soldi, all’avidità del nostro mondo. Ma io credo che la demonizzazione del nostro mestiere sia sbagliata. I procuratori non sono il male del calcio come qualcuno vuole sostenere. Ci sono sicuramente degli agenti poco professionali, non lo nego, ma un buon agente è un valore aggiunto perché porta nell’ecosistema calcio qualcosa che non può essere garantito dalla Fifa, dall’Uefa, dai club. Siamo parte di quel sistema e siamo una parte utile, soprattutto per la tutela dei calciatori, altrimenti esposti a qualsiasi cosa, noi tuteliamo i protagonisti dello spettacolo».

Molti ragazzi vogliono fare i procuratori. Cosa serve?

«Ci vuole passione e cuore, molti ragazzi provano a fare il procuratore perché pensano ai soldi, dicono: “prima o poi faremo dieci milioni”, ma è sbagliato, perché non sempre è così e soprattutto non è così quando manca il cuore e la passione. Devi entrare in questo mondo con l’idea che potresti fare zero euro e fare tutto perché ti piace e perché hai passione».

Parliamo di studi: cosa consiglia a un aspirante procuratore sportivo?

«Tutto quello che si può imparare è utile: economia e finanza, giurisprudenza, ma servono anche conoscenze di scienze motorie e nutrizione. Fondamentale la conoscenza delle lingue: più ne conosci e più puoi espandere il tuo business. Queste sono le competenze di base che si devono acquisire. Se vuoi essere famoso, comunque, vai a fare il rapper. Il procuratore non deve avere ego, perché deve lavorare per gli altri, non per se stesso. Il procuratore di successo è un mezzo che trasporta il giocatore verso il suo obiettivo: avere successo. Devi pensare a tutto per lui, cosa è meglio per lui, anticipare le sue esigenze... devi vivere per gli altri».

Ma lei è appassionata di calcio??

«Sì, ho sempre praticato sport, dal nuoto alla corsa, ma soprattutto mi ha sempre appassionato andare a vedere le partite. Io avrei dovuto essere uno scout, anche se non capisco tanto come uno scout, ma amo da morire andare a vedere le partite. Mino meno, perché allo stadio lo infastidivano, gli parlavano tutti. Io lo pregavo: andiamo in Russia? Andiamo a vedere Paul che gioca la finale dell’Europeo? E lui mi accontentava. Una volta sono atterrata in Brasile da un viaggio e c’era una finale del campionati Under 13 Corinthians-San Paolo. Potevo perdermela? Ovviamente no! E mi sono divertita anche lì. Lo stadio è magico: due ore in cui il telefono non prende, ti concentri sul campo, non pensi a niente. È la parte più bella del nostro lavoro».

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Fino a quest’estate Rafaela Pimenta era un nome solo per gli esperti e gli addetti ai lavori. La sua grande alleanza con Mino Raiola, infatti, si basava su una ferrea divisione dei compiti. E quello che appariva doveva essere lui. L’avvocato Pimenta ha dribblato i riflettori con la stessa abilità con cui stilava contratti, curava ogni esigenza dei calciatori, tesseva rapporti e inventava nuovi progetti. Quest’estate i riflettori se li è trovati addosso e il suo nome è entrato nei titoli e negli articoli più volte negli ultimi mesi che negli oltre vent’anni di carriera. Haaland al City, De Ligt al Bayern, Pogba alla Juventus e un’altra decina di operazioni sono state brillanti dimostrazioni che, ancora una volta, Mino Raiola aveva azzeccato un colpo ed era sincero quando raccontava: «Guardate che quello bravo non sono io, ma è Rafaela». Ritrovarsi tutta l’agenzia sulle spalle non è stato facile, ma Rafaela lo fa sembrare con il sorriso che punteggia sempre le sue frasi. «Sapete qual è il segreto di Mino e mio? Che ci siamo sempre divertiti un mondo». E anche lei sembra sincera. Si commuove due volte e usa sempre in modo meravigliosamente naturale il presente quando parla del suo amico e socio.

È stata un’estate intensa. Come l’ha vissuta?

«Bene. Direi che è andata bene: quando i giocatori realizzano i loro desideri vuol dire che abbiamo fatto bene il nostro lavoro. Haaland voleva andare al City, Pogba alla Juventus... tutto è andato bene».

Si è divertita?

«A mio modo sì, anche se c’è un velo su tutto che è la mancanza di Mino».

Lavoravate bene insieme?

«Era fantastico lavorare con lui. Ci siamo sempre divisi i compiti, ma siamo sempre andati nella stessa direzione. Sono stati anni bellissimi, in cui è cambiato il modo di fare il nostro lavoro e noi ci siano adeguati».

Come è cambiato il mestiere dell’agente?

«Una volta c’era meno da fare: tutto era imperniato sul calciomercato, sui trasferimenti. Ora c’è la gestione del calciatore a 360 gradi, perché provvedi a ogni dettaglio, dalla crioterapia in casa al fisioterapista personale, dal cuoco al nutrizionista. Bisogna curare i social media e media tradizionali, che una volta avevano meno esigenze di oggi. Non uscivano tremila notizie al giorno, molte delle quali fasulle o quasi. E poi c’è la tutela del giocatore di fronte al bombardamento di amici e parenti: ognuno dei quali vuole proporgli un affare o fare qualche lavoro per lui. Tutte cose che vanno vagliate e valutate, perché a volte possono essere dannose».

Pogba ha vissuto una brutta avventura proprio per questioni legate ad amici e parenti.

«Già. Un problema non raro fra i calciatori, quello di vivere situazioni di tensione o di ricatto. Vengono minacciati perché sono soggetti molto esposti. Ho visto di tutto, soprattutto ricatti: i giocatori hanno paura a denunciare queste cose perché temono il danno di immagine o si vergognano. Così tacciono e vivono situazioni di stress incredibile, rischiando di compromettere le prestazioni o addirittura di infortunarsi. Tacendo peggiorano la situazione perché un buon agente li può sempre aiutare. Quando Paul finalmente ha deciso di farsi aiutare ha migliorato la situazione e ha capito che c’era una soluzione».

Ora com’è la situazione?

«È in mano agli avvocati. Paul adesso ha fatto tutto quello che doveva fare. Sì, forse poteva dirmelo prima ma lo capisco. Perché non è facile parlare di queste cose e spesso cerchi di risolverle da solo, perché ti vergogni, perché hai paura. Ma quando Paul ha deciso di parlare, le cose si sono avviate verso la soluzione. Succede molto più spesso di quanto voi immaginiate e infatti con Paul abbiamo pensato a un progetto: sviluppare una piattaforma di dialogo e appoggio per la salute mentale di un calciatore, anonimo per dare consigli, perché non sempre i calciatori sono in grado di superare certi problemi».

Al di là dell’infortunio lui adesso come sta?

«È entusiasta. Il superpotere di Paul è quello di superare le difficoltà con una forza incredibile e una grande positività. C’è stato un momento, qualche settimana fa, nel quale mi ha detto: “Rafaela, basta. Io non voglio pensare più a niente, mi concentro sul mio ginocchio e sul recupero, perché voglio tornare a giocare”. E così ha fatto: sono sicura che non ha più ascoltato nessuno e non ha più sentito niente, perché lui è capace di escludere il mondo e concentrarsi solo su un obiettivo».

Pogba la considera una seconda madre: tornare alla Juventus è stata più un’idea di Paul o Rafaela?

«Guardi, è successo tutto ad aprile, quando Arrivabene e Nedved sono venuti a Monte-Carlo a vedere il Masters 1000 di tennis. Sono passati qui in ufficio, abbiamo chiacchierato un po’ e io ho detto loro: perché non fate Pogba? E loro hanno detto: “Certo! Per noi si può fare domani, lui verrebbe?”. E io ho risposto: “Chiamiamolo”. E così è andata...».

E Paul cosa ha risposto quando lo hai chiamato?

«Era felice. Lui ci tiene alla Juve. Aveva altre ipotesi in ballo, ma quando ha sentito la parola Juve le ha messe immediatamente da parte. Lui ama questo club e ama l’Italia. Questo perché la Juventus gli ha dato momenti meravigliosi e le più grandi felicità. Poi sa, il giocatore rimarrà sempre legato al club dove compie il salto da sconosciuto a grande giocatore, per Paul la Juventus significa tantissimo. Da quando è andato via dalla Juventus ha sempre guardato le partite della Juventus e soffriva ed esultava per loro. Non ho mai sentito Paul parlare male della Juventus, tranne che per due cose».

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