Plusvalenze: la Figc riapre l’inchiesta. Ma così fa figli e figliastri

Sarà anche un atto dovuto, ma è anche un atto di profonda e surreale ingiustizia. Il procuratore Figc Giuseppe Chinè ha chiesto la revoca della sentenza di assoluzione sul caso plusvalenze e la possibilità di ricelebrare il processo alla luce delle «nuove evidenze», contenute nelle carte dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Torino. Ma non per tutte le squadre già assolte due volte nel precedente procedimento: Napoli e Chievo restano fuori, perché non coinvolte in affari con la Juventus. Il Napoli, per esempio, era stato messo sotto inchiesta per l’operazione Osimhen con il Lille e, quindi, non indagato nell’operazione dei pm torinesi (in teoria ci sarebbe su quell’operazione un faldone aperto dalla Procura di Napoli, ma chissà dov’è finito).

Si crea quindi il paradosso che si riapra solo parzialmente un procedimento che aveva visto coinvolte undici società per le stesse identiche imputazioni, ma solo nove sono finite nell’indagine della magistratura e quindi solo per quelle si richiede un nuovo processo. Oltretutto per una pratica, quella delle plusvalenze derivanti da scambi di giocatori, che viene utilizzata dalla stragrande maggioranza delle squadre di Serie A, B e C, così come è ampiamente diffusa in ambito internazionale. Come può essere giuridicamente accettata una simile disparità di trattamento? Ci sono i buoni, che non hanno concluso affari con la Juventus che si tengono l’assoluzione, e i cattivi che sono finiti nell’inchiesta: tutti, però, hanno commesso, anzi in realtà non commesso visto che sono stati assolti, la stessa violazione. Tutto tecnicamente giusto, ma come si fa a rappacificare questa stortura con il buon senso? Chinè non si è posto il problema, ha compulsato le quindicimila pagine dell’inchiesta torinese, intercettazioni comprese, alla ricerca di qualcosa di più solido del suo castello accusatorio, costruito sulle valutazioni dei siti Internet di calciomercato e franato di fronte ai due tribunali federali. Cosa ha trovato di così decisivo lo scopriremo qualora venisse data la possibilità di ricelebrare il processo (cosa altamente probabile, anche in considerazione del clima giustizialista che si respira nelle ultime settimane). Due punti fermi però li possiamo mettere. Primo: un giudice, il Gip che ha analizzato le richieste di misure cautelari della Procura di Torino (basate su quelle stesse carte), si è già espresso in modo molto scettico sulla possibilità di condannare per le plusvalenze da scambio di giocatori. Secondo: inizia a esserci una consistente giurisprudenza che sulle plusvalenze si è arresa di fronte all’impossibilità di dare una valutazione oggettiva di un giocatore, senza la quale non si può configurare la violazione e/o misurarne con esattezza l’entità (perché anche dimostrata una supervalutazione di un calciatore, è indispensabile indicare a quanto ammonta per giudicarne la gravità). Tuttavia, come sempre in questi casi, c’è una sola strada da seguire: attendere con pazienza il lavoro della giustizia (in questo caso sportiva) e valutare in aula, non altrove, i fatti.

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