TORINO - Avvocato Sergio Santoro, da esperto giurista e da ex presidente della Corte federale d’Appello, alla Juventus converrebbe patteggiare?
«No, se fossi il difensore del club lo sconsiglierei sia a livello sportivo che penale perché non ci sono i presupposti. Siamo ancora in una fase embrionale: il giudice penale avrà mandato a quello sportivo la mole di intercettazioni senza alcun commento, però soltanto la sentenza accerta in via defi nitiva il carattere illecito delle plusvalenze e della manovra stipendi. Purtroppo le due giustizie hanno tempi diversi ed è stato inopportuno penalizzare in questo campionato perché la questione è sub iudice».
Si attendono a breve anche le motivazioni del Collegio di Garanzia che daranno indicazioni alla Corte federale d’Appello per una nuova valutazione.
«E la Corte federale d’Appello stavolta dovrà andare a fondo. Quando il Collegio ti dice di motivare impone di andare a cercare le ragioni di quegli illeciti, ma quelle ragioni nella motivazioni della sentenza di revocazione non c’erano. Del resto, mi chiedo come si possa togliere 15 punti sulla base di intercettazioni: nella mia carriera ne ho lette tante, ci sono errori nell’ascolto e quindi nella sbobinatura, vanno rilette e interpretate in un contradditorio con la parte per capirne il senso, molte volte ho riscontrato interpretazioni completamente distorte. Penso che la Corte federale d’appello sia andata molto oltre le proprie possibilità: la giustizia deve usare logica e buon senso».
Il giudice Torsello ha stabilito la sanzione sportiva sulla base di una natura afflittiva...
«E’ un concetto da medioevo del diritto e della civiltà perché la pena non deve essere afflittiva ma rieducativa: l’ho scritto in decine di sentenza, spiegando che la pena non deve far chiudere la società o l’azienda ma deve servire a rieducare affinché in futuro non vengano commessi ulteriori comportamenti illeciti. Mi sono occupato per anni della Consip che consentiva le offerte a scacchiera e in 12 sentenze ho dato ragione all’Antitrust dicendo che era stato commesso un grande illecito. Traducendo questo principio nella giustizia sportiva, se ci sono stati illeciti sul piano delle plusvalenze le sanzioni non devono essere afflittive ma devono tendere a migliorare il mondo del calcio e non a metterlo fuori uso. E’ veramente vergognoso per un giurista moderno il concetto di afflittività: va respinto, è indice di arretratezza della giurisprudenza. Se una vicenda come questa avesse coinvolto un club meno importante della Juve rischiava di portarlo al fallimento. Il club bianconero ha le spalle forti e riuscirà a superare il momento anche meglio di quando fu fatto retrocedere d’autorità in serie B. E poi mi chiedo come le plusvalenze e la manovra stipendi siano ritenuti illeciti sull’attività sportiva».
Eppure sia il Procuratore federale sia la Corte federale d’appello hanno tirato in ballo l’articolo 4 sulla lealtà sportiva...
«Allora, l’articolo 4 è una norma in bianco. Fanno bene gli avvocati della Juve a insistere sulla necessità di una tipizzazione dell’illecito. Come si fa a dire che una plusvalenza possa avere effetti sul campionato? Siamo al paradosso. Io ho giudicato la storia dei biglietti dello stadio venduti a organizzazioni criminali: noi abbiamo penalizzato le società, ma non sul punteggio perché quegli atti illeciti non attenevano ai risultati sportivi bensì al fatto di vendere i biglietti a persone non affidabili. Anche in questo caso, le plusvalenze sono fatti contabili come le manovre stipendi e non hanno inerenza sul piano sportivo».
Lei consiglierebbe agli ex dirigenti della Juve il cui ricorso non è stato accolto dal Collegio di Garanzia di rivolgersi al Tar del Lazio?
«Sono delle partite a scacchi, ma io da avvocato lo farei per chiudere il discorso a monte perché ci sono molti elementi a favore per ottenere l’annullamento. Il fatto che abbiano separato le responsabilità degli ex dirigenti dalla società avvalora il principio di non ammissibilità della responsabilità oggettiva».
In che senso?
«Separare i due profili significa che la responsabilità del dirigente non incide su quella della società che va valutata autonomamente».