Giuntoli, metodo e segreti del ds spiegati da chi lo conosce bene

Intervista a Roberto Canepa, dirigente del Derthona ed ex collaboratore del possibile prossimo direttore sportivo della Juventus

L’uomo del momento del calcio italiano è Cristiano Giuntoli, ds del Napoli fresco campione d’Italia e finito nel mirino della Juventus. Dopo 8 stagioni sotto il Vesuvio, l’idea di una nuova sfida lo sta tentando non poco e così si accende intorno a lui grande curiosità. Per conoscerlo meglio ecco i ricordi di Roberto Canepa, suo uomo di fiducia ai tempi del Carpi in cui il club salì dalla D alla A (dal 2011 al 2015). Da sempre uomo di calcio, giocatore dilettante, allenatore ai margini del professionismo anche se con patentino da Uefa A e quindi ds, ora del Derthona in D, Canepa, tecnico della polizia di stato, racconta così il suo Giuntoli.

Quando conobbe per la prima volta Giuntoli?

«Io ero allenatore in seconda del Savona, stagione 2005/06 e lui venne a giocare come difensore, ma era già allora un ds fatto e finito. Ricordo che andammo insieme a Marassi per vedere un partita di C tra Spezia e Genoa: io da anni facevo l’allenatore e guardare una partita con lui mi cambiò il modo di vedere il calcio. Rimasi sconvolto. Era troppo avanti, il calcio lo vive in maniera lungimirante. Parlo di letture tecniche ma non solo. Grazie alla sua passione che continua ad avere si sveglia di notte e si mette a vedere i video dei calciatori e poi è competente in tutti i settori del mondo del pallone. Un valore aggiunto mica da poco. È vero che si appoggia a bravissimi scout ma alla fine guarda e decide lui. Vive di calcio 36 ore su 24. Avrebbe potuto fare anche l’allenatore ma sarebbe stato uno spreco limitarlo a quell’aspetto».

Qual è la sua qualità migliore?

«Io gli dico sempre che se fosse stato un venditore di Folletto sarebbe stato quello che ne vendeva di più al mondo! Appena incontra una persona la pesa, la sa leggere. E queste cose non le insegnano a Coverciano».

Lei è stato uno degli uomini di fiducia di Giuntoli nell’exploit di Carpi. Poi sul più bello cambiaste. Come mai?

«Sì, annate fantastiche. Era uno staff affiatato, il capostipite Giandomenico Costi, poi Giuseppe Valentino quindi il sottoscritto, Roberto Perrone, Andrea Nuti, poi Matteo Scala, Giuseppe Pompilio e altri. Quando poi si andò in A restare sarebbe stato problematico dal punto di vista organizzativo e logistico anche per via dei miei impegni di lavoro. Io tornai al Savona mentre Giuntoli andò al Napoli. Siamo rimasti in contatto, ci sentiamo spesso. A volte mi fa una sorpresa e passa al campo a Tortona per vedere un allenamento della squadra di cui ora sono ds».

Giuntoli che tipo di calcio predilige e quali allenatori preferisce?

«Da Carpi a Napoli c’è una linea comune, si adatta alle situazioni che incontra, è molto camaleontico. Ha principi gestionali più che di gioco. Si è trovato bene con Castori che è un contropiedista incontrista, con Ancelotti, Sarri che è un costruttore di gioco dal basso e Spalletti che è un mix. A Carpi avevamo budget morigerati per le categorie ma riuscimmo nella scalata. La sua grande capacità è quella di essere un amplificatore: esalta le qualità di chi lavora con lui o gioca per le sue squadre».

Se dovesse approdare alla Juve come si troverebbe?

«Lui ha un background e un curriculum tale per cui con tutto il rispetto della storia della Juve si saprebbe adattare in fretta proponendo concetti nuovi. Anche di gestione tecnica non comune. Un esempio? La gestione dello staff, grazie alla condivisione di conoscenze con i vari responsabili dei settori. Al Napoli non è un caso che ci siano pochi infortuni. Sa parlare in maniera competente con tutti: allenatore, presidente, massaggiatore, dottore. Ha conoscenze allargate che sono un valore assoluto perché non prevarica i ruoli, è sempre rispettoso».

Che rapporto potrebbe nascere tra due toscani come lui e Allegri?

«Lui mantiene le sue caratteristiche toscane ma ha giocato 13 anni in Liguria e vive a Genova. Le radici con il suo territorio sono comunque rimasti forti. Come è successo con Spalletti, anche lui toscano, saprà trovare un rapporto virtuoso. Allegri lo conosce da tempo, come allenatore della Juve ad Agliana, paese di Giuntoli, ricevette un premio insieme a Cristiano per il suo lavoro al Carpi. E Allegri finì di giocare a calcio ad Agliana, segno del destino».

Il suo fiuto per i giocatori come si concretizza?

«La parola giusta è proprio quella, fiuto. Ricordo un sacco di occasioni in cui arriva, vede la mia squadra e in 10 secondi individua il migliore. Respira il calcio e il pallone come nessun altro. Con lui ho imparato a riconoscere il Dna: da me sono passati Cambiaso, Kallon, Giovannini e Lipani».

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