Juventus, Di Livio e Calciopoli: “Moggi colpito per far tacere tutti”

L'ex leggenda racconta il mondo bianconero tra aneddoti, momenti topici e l'ultima stagione: "Non avrebbero potuto fare meglio"
Juventus, Di Livio e Calciopoli: “Moggi colpito per far tacere tutti”© LaPresse

Angelo Di Livio, 269 partite, 3 scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Supercoppa europea e 1 Coppa Intercontinentale nella Juventus: che cosa significa farne parte?

«La Juve è grande responsabilità e grande orgoglio: queste sono le due parole che voglio mettere dentro al grande calderone bianconero. Grande responsabilità perché vesti una maglia importante: se non dai tutto quello che devi dare ti mandano via. Grande orgoglio perché sei altamente competitivo e giochi sempre per vincere».

Qual è il ricordo più significativo della sua carriera per spiegare che cos’è la Juventus?
«E’ molto semplice, il concetto di Juventus te lo inculcava Boniperti: “se arriviamo secondi abbiamo perso” era il benvenuto che dava a tutti i nuovi arrivi in casa bianconera. E poi lo ripeteva a tutti pressoché ogni giorno... Immaginatevi la responsabilità che sentivi, però erano parole che ti caricavano tantissimo».

Che cosa ha di differente la Juventus dalle altre società?
«È difficile spiegare le differenze perché per me quando ero alla Juventus tutto era magico, tutto brillava d’oro: la maglia che indossavi, l’ambiente, l’organizzazione, il gruppo, straordinario, guidato prima da Trapattoni e poi da Lippi. Senza dimenticare i tifosi: in ogni luogo dove tu andassi trovavi sempre tifosi del posto che ti seguivano. L’insieme di tutte queste cose creava un mondo particolare e unico. A livello invece di qualità, ai miei tempi soltanto il Milan di Berlusconi si avvicinava alla nostra Juve: ci somigliava un po’ perché era vincente, ma era ancora un gradino al di sotto».

Qual è il dirigente della Juventus che ne ha più incarnato lo spirito?
«Per me rimane Moggi, è stato il dirigente che incarnava la cattiveria agonistica della Juve. E con lui tutta la triade, Giraudo e Bettega: sono stati formidabili per competenza, professionalità, unione, erano perfettamente amalgamati come dirigenti. Davano un segnale forte alla squadra. Mi spiace per Calcipoli: hanno voluto colpire Moggi per fare tacere tutti, il sistema era sbagliato, ma Moggi non era certo l’unico a farlo e tutti lo sapevano».

Che cosa non deve fare mai un giocatore, un dirigente e un allenatore della Juventus?
«Non deve mai comportarsi male, deve essere sempre un professionista, arrivare un’ora prima all’allenamento e rimanere in campo un’ora dopo la fine della seduta, curare i particolari, avere un rendimento costante. Poi il giudice sarà il campo. Alla Juve ti danno tantissimo, ma giustamente pretendono tantissimo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


I tifosi della Juventus sono più difficili di altri tifosi in termini di aspettative e severità di giudizio?
«Sono dei buongustaio perché nella loro storia hanno sempre vinto. Dopo i 9 scudetti consecutivi, adesso fanno polemice perché arrivano da queste due ultime stagioni senza titoli. C’è da capirli perché sono abituati bene».

Che cosa significa in termini di responsabilità avere la famiglia Agnelli alle spalle?
«Avere la famiglia Agnelli alle spalle è sicuramente un orgoglio perché è un privilegio per pochi, non per tutti. Una famiglia che ha legato il suo nome anche a quello della Juventus e che ti supporta in tutto e per tutto».

Che cosa ne pensa di questa stagione?
«Chiunque avesse guidato quest’anno la Juve non avrebbe potuto fare meglio. Bisogna però distinguere tra l’aspetto psicologico e quello del gioco. Sul primo Allegri è stato bravissimo perché ha saputo tenere unito il gruppo, compito assai complicato tra penalizzazioni, sentenze, punti tolti, ridati e ritolti. Per quanto riguarda il gioco, anche Allegri deve capire che bisogna fare un calcio diverso. Mi auguro la prossima stagione di vedere una squadra rinnovata nel gioco: la Juve deve andare in campo ad azzannare gli avversari, non può aspettare che gli altri facciano la partita e poi puntare sulle ripartenze, questo è un gioco da provinciale».

Giusto continuare con Allegri anche se arriva da due stagioni senza titoli?
«Conosco l’ambiente juventino, si vuole sempre vincere. Per come è andata la stagione, è vero che la Juve non ha vinto nulla, ma senza penalizzazione sarebbe arrivata terza e quindi sarebbe in Champions League. Penso che Allegri sarà riconfermato soprattutto per via del contratto che pesa tanto: la società si sarà guardata attorno ma non può permettersi, senza Champions, di esonerare Allegri e prenderne un altro».

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Angelo Di Livio, 269 partite, 3 scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Supercoppa europea e 1 Coppa Intercontinentale nella Juventus: che cosa significa farne parte?

«La Juve è grande responsabilità e grande orgoglio: queste sono le due parole che voglio mettere dentro al grande calderone bianconero. Grande responsabilità perché vesti una maglia importante: se non dai tutto quello che devi dare ti mandano via. Grande orgoglio perché sei altamente competitivo e giochi sempre per vincere».

Qual è il ricordo più significativo della sua carriera per spiegare che cos’è la Juventus?
«E’ molto semplice, il concetto di Juventus te lo inculcava Boniperti: “se arriviamo secondi abbiamo perso” era il benvenuto che dava a tutti i nuovi arrivi in casa bianconera. E poi lo ripeteva a tutti pressoché ogni giorno... Immaginatevi la responsabilità che sentivi, però erano parole che ti caricavano tantissimo».

Che cosa ha di differente la Juventus dalle altre società?
«È difficile spiegare le differenze perché per me quando ero alla Juventus tutto era magico, tutto brillava d’oro: la maglia che indossavi, l’ambiente, l’organizzazione, il gruppo, straordinario, guidato prima da Trapattoni e poi da Lippi. Senza dimenticare i tifosi: in ogni luogo dove tu andassi trovavi sempre tifosi del posto che ti seguivano. L’insieme di tutte queste cose creava un mondo particolare e unico. A livello invece di qualità, ai miei tempi soltanto il Milan di Berlusconi si avvicinava alla nostra Juve: ci somigliava un po’ perché era vincente, ma era ancora un gradino al di sotto».

Qual è il dirigente della Juventus che ne ha più incarnato lo spirito?
«Per me rimane Moggi, è stato il dirigente che incarnava la cattiveria agonistica della Juve. E con lui tutta la triade, Giraudo e Bettega: sono stati formidabili per competenza, professionalità, unione, erano perfettamente amalgamati come dirigenti. Davano un segnale forte alla squadra. Mi spiace per Calcipoli: hanno voluto colpire Moggi per fare tacere tutti, il sistema era sbagliato, ma Moggi non era certo l’unico a farlo e tutti lo sapevano».

Che cosa non deve fare mai un giocatore, un dirigente e un allenatore della Juventus?
«Non deve mai comportarsi male, deve essere sempre un professionista, arrivare un’ora prima all’allenamento e rimanere in campo un’ora dopo la fine della seduta, curare i particolari, avere un rendimento costante. Poi il giudice sarà il campo. Alla Juve ti danno tantissimo, ma giustamente pretendono tantissimo».

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