L’Avvocato, Platini, Bonini e Pizzolato

Pubblichiamo un estratto da “Juventus, il secolo degli Agnelli” di Guido Vaciago, in libreria da oggi. Quando Gianni Agnelli si innamora di Michel...
L’Avvocato, Platini, Bonini e Pizzolato© LaPresse
Pubblichiamo un estratto del nono capitolo di “Juventus, il secolo degli Agnelli” ...di Guido Vaciago (Sperling & Kupfer), da oggi disponibile in tutte le librerie.

All’ottantunesimo minuto di Italia-Francia scocca la scintilla. È l’8 febbraio 1978, siamo allo stadio San Paolo di Napoli, Michel Platini si aggiusta la palla al limite dell’area per battere un calcio di punizione e inganna Dino Zoff con una traiettoria che aggira la barriera e poi piega verso l’interno per infilarsi in un angolo dove il portiere azzurro non riesce ad arrivare. Gianni Agnelli sta guardando la partita da casa e sobbalza: quel giocatore potrebbe essere un genio. 

Il giorno dopo chiama Romeo Benetti, che lo ha marcato, e gli chiede la sua impressione. Le parole del coriaceo centrocampista lo affascinano: «Avvocato, è freddo, è tecnico, non è veloce ma pensa velocemente: sa sempre dove va il pallone e sa sempre dove farlo andare». Tardelli, ai microfoni del dopopartita, è meno entusiasta, snobbando Michel: «È bravo, ma non paragonatelo ancora a Cruijff». Tuttavia Platini ha ormai rapito la curiosità dell’Avvocato e la terrà in ostaggio per quattro anni. Lo segue, si informa, chiama il direttore dell’Équipe, il quotidiano sportivo francese, e si fa raccontare tutto di lui. È un comportamento tipico dell’Avvocato, l’uomo che ha concesso centinaia di interviste, ma ha quasi sempre fatto più domande lui. È il suo modo compulsivo di conoscere il mondo: fare domande, anzi fare domande a tutti quelli che, nella sua visione, potrebbero saperne più di lui e rubare loro quella conoscenza, facendola rapidamente sua. In Italia, nel 1978, c’è però il blocco degli stranieri. E quindi Platini resta un sogno proibito per Agnelli (cosa di per sé ancora più eccitante per la sua fantasia calcistica).

Nel 1980, quando riaprono le frontiere, Platini ha vissuto una stagione meno brillante e Boniperti è molto più convinto di prendere Brady: il centrocampista, con l’Arsenal, ha eliminato la Juventus dalla Coppa delle Coppe dell’anno precedente, e per Boniperti è il regista che serve a organizzare il gioco della Juventus. L’Avvocato approva, ma togliergli dalla testa Platini non è possibile, così nella primavera del 1982 torna alla carica. Stimola Boniperti su Platini, lo stuzzica in continuazione, lo porta a vederlo in Francia in una rocambolesca trasferta al Parco dei Principi con fuga dai giornalisti annessa. Boniperti fa resistenza. La Juventus, e l’Avvocato lo sa bene, ha già preso il polacco Zibì Boniek, attaccante eclettico che gioca a ?ódz e per il quale ha impostato una trattativa di alta diplomazia geopolitica, appoggiandosi ai dirigenti della sede polacca della FIAT, perché, con la Cortina di Ferro, spostare un calciatore dall’Est Europa all’Italia è una questione che finisce sul tavolo dei governi (e si dice che, per Boniek, la Juventus tratti anche con Solidarnosc, il leggendario sindacato polacco). Ora, siccome i posti per gli stranieri sono due e l’acquisto di Boniek è cosa fatta, prendere anche Platini significa mandare via Brady, un gesto doloroso per Boniperti. 
Alla fine, però, si deve convincere anche lui, intanto perché il volere dell’Avvocato, soprattutto se innamorato, si discute solo fino a un certo punto. Inoltre, dopo averlo visto un paio di volte, Boniperti deve ammettere che Platini è veramente un fenomeno e forse vale il sacrificio del buon Liam (che piangerà quando Boniperti gli comunicherà la decisione del club), il quale riceverà dall’Avvocato un orologio d’oro in segno di riconoscenza eterna della Juventus. La trattativa con il Saint-Étienne non è particolarmente complicata, né particolarmente onerosa, come l’Avvocato ricorderà con una delle sue leggendarie battute: «Platini l’abbiamo preso per un tozzo di pane. Poi abbiamo aggiunto sopra molto caviale, ma perché se lo meritava», facendo sorridere Michel. D’altronde, il bello del francese, per l’Avvocato, è che non si tratta solamente di un giocatore strepitoso, ma di un uomo intelligente e di grande spirito. La sintonia con Gianni Agnelli è immediata, e crescerà nel corso dei cinque meravigliosi anni di Le Roi (il re, come viene immediatamente soprannominato dai tifosi) a Torino.
L’inizio tuttavia non è scintillante. Platini fatica nel calcio italiano e nella Juventus di Trapattoni. Da una parte le marcature più ruvide, se non proprio cattive, dall’altra la tattica speculativa del Trap, che non prevede un giocatore così libero di agire come deve essere Platini, mai troppo attivo nella fase difensiva. Il nocciolo della questione sembra essere il modo in cui si sviluppa il gioco, che tende a lasciare ai margini il francese, tant’è che proprio Agnelli, a un certo punto, prorompe con un’altra scudisciata verbale: «Non ho comprato Platini per vedere impostare il gioco a Furino». È una sentenza: Trapattoni capisce e introduce il giovane centrocampista Bonini al posto dell’esperto capitano, e tutto cambia. Bonini è duttile e moderno, comprende che Platini deve essere il fulcro del gioco e sfrutta tutte le sue capacità atletiche per aiutarlo. In sostanza: corre anche per lui. Ci sono due famose battute di Platini a proposito del suo fondamentale compagno. All’Avvocato che, alla vigilia di una partita, gli rimprovera una sigaretta di troppo, Michel risponde: «Avvocato, l’importante è che non fumi Bonini, i miei polmoni sono i suoi». E quando, a un evento di uno sponsor tecnico, Michel viene chiamato a premiare Orlando Pizzolato, vincitore della Maratona di New York, guarda l’atleta con il suo sorriso ironico e gli dice: «Complimenti, ma l’hai vinta solo perché non si è iscritto Bonini». 

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