© ANSAC’è una sinistra analogia tra il modo in cui la Juventus gioca e Thiago Motta parla, soprattutto dopo le partite. È tutto molto ragionevole e composto, ma anche tremendamente privo di carattere e di impatto emotivo. È una squadra anestetizzata da concetti troppo pacati, sedata dall’overdose dei dodici pareggi in diciannove partite di campionato, sette nelle ultime dieci. Una serie inaudita che ha sbiadito fino a renderlo illeggibile il libretto delle istruzioni di come si fa a vincere, una volta stampato nella coscienza collettiva bianconera. Sì, va bene, gli infortuni. Sì, va bene, la rosa corta anche prima che iniziasse l’epidemia dei guai muscolari e dei crociati che saltano. Sì, va bene tutto, perché - bisogna essere onesti - non mancano le attenuanti. Tuttavia, la squadra di Motta, che si è rinforzata senza lesinare (disavanzo di 80 milioni sul mercato), non può non riuscire a vincere almeno la metà delle partite contro avversari tecnicamente molto inferiori come Empoli, Cagliari, Parma, Lecce, Venezia e Toro. E non può farsi rimontare per cinque volte. Sono chiari segnali di un guasto nei meccanismi della Juventus che Motta deve trovare il modo di aggiustare. Anche se il mercato gli regalerà, quasi certamente qualche elemento in più per barcamenarsi con gli infortuni, il tecnico non può limitarsi a quanto visto finora: deve risolvere molti equivoci (Koopmeiners, Cambiaso,
Vlahovic) e non può pensare sul serio di continuare a esprimere soddisfazione per il fatto di non aver mai perso.
Juve, troppi pareggi
Perché se per assurdo avesse davvero perso la metà delle partite che ha pareggiato e vinto l’altra metà, oggi avrebbe 6 punti in più e, a 39, avrebbe tutta un’altra visuale sulla seconda parte della stagione. Il problema, di questi tempi, è però ritrovare l’importanza del pensiero critico equilibrato e non fazioso. Dire che la Juventus della prima parte del campionato ha qualcosa che non funziona, non significa sostenere che Motta sia un cretino, che è tutto sbagliato, tutto da rifare (tirando fuori, immancabilmente, Allegri). Finora si è, senza dubbio, visto qualcosa di buono (anche ieri, per esempio, la Juventus ha creato, non ha giocato male e ha goduto del cristallino talento di Yildiz). Un qualcosa che lascia aperta la porta alla possibilità di veder funzionare meglio e più concretamente il progetto. Quindi Motta ha pieno diritto di continuare a lavorare, ma ha contestualmente il dovere di farlo cambiando marcia, perché - siamo chiari - questa non è Juventus. Non lo è nei risultati (mai così pochi punti dai nefasti tempi di Delneri), non lo è nella cattiveria agonistica, non lo è nell’anima. Anzi, l’anima non sembra averla proprio.
