Motta da santone a reietto: smettiamo di considerare i tecnici dei guru?

Illusioni e imbarazzi: l’emblematica parabola Juve di Thiago in pochi mesi

Fino a qualche mese fa era un mix di Guardiola, Mourinho e Van Gaal, ma di quando erano belli in tiro, giovani affascinanti e sdottoreggianti, mica come adesso che sono mezzi pensionati o pensionandi. Il tutto con un tocco di Velasco in qualità di mastro psicologo, perché la sua scienza infusa andava oltre il banale dispiegarsi di meri concetti calcistici. Poi - vuoi mettere – lo stile, l’eleganza, la calma. Molto in linea con le cose di Famiglia. La capacità di ottimizzare e gestire le risorse umane, di coltivare la serenità del gruppo, anche quando il pallone cominciava a rotolare sinistramente storto, o inspiegabilmente lento, o decisamente a muzzo. Quel suo modo algido di prepararci al futuro, rivoluzionando il presente e dando una pedata al passato. Tranqui, raga: abbiamo battuto il Lipsia e il Psv, il Verona e il Monza. Che domande fate? Che problemi ponete? Quali dubbi vi assillano? Andremo a comandare, e con l’organico valorizzato, i giocatori rivalutati, i bilanci risanati. Oggi, invece, Thiago Motta è non soltanto un allenatore esonerato, tra il sollievo e le contumelie del mondo juventino, roba che manco Allegri quando gli davano del parcheggiatore di pullman davanti alla porta, ma uno che ti chiedi: chi mai potrebbe assumerlo, dopo uno scatafascio del genere? Forse una squadra di metà classifica del campionato francese, o portoghese. Ma forse. Magari come vice, per imparare il mestiere, là dove vincere effettivamente non sia un’ossessione.

 

Juve, che sbandata con Thiago Motta!

Tacconi gli dà addirittura del Maifredi, rendiamoci conto. Perché si levasse al cielo una voce in suo favore - diciamo consolatoria, via - è dovuta intervenire la moglie: "La delusione di oggi può essere la benedizione di domani, ti aspettano tante cose belle", ha scritto sui social, rivolgendosi a un generico "bambino". Il suo Thiago, preso per la pargoletta mano. Ora - al di là dei sarcasmi, ma pure della solidarietà umana (perché sicuramente in questo momento Motta sta soffrendo e non è mai bello sapere che qualcuno soffre, per quanto parco dispenser di empatia lui si sia rivelato nei suoi rapporti con la squadra e con l’ambiente) - la verità è che, nella sua storia, uno sfondone così la Juventus non l’aveva mai preso: non già a a livello di risultati, ma d’immagine, di diseconomie, di disillusioni. E di imbarazzi, contagiosi e forse condivisi, perché la scelta di Motta non è stata frutto di circostanze o di emergenze, ma postulato filosofico di un preciso piano aziendale, con relative assunzioni di responsabilità dirigenziali e manageriali che potrebbero ampliare il terreno minato delle conseguenze.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

Basta ritenere gli allenatori dei santoni

L’immagine più emblematica di questo fallimento non è tanto la classifica della Juventus; è quella del Bologna. Più in alto con Italiano - e senza i Calafiori, gli Zirkzee, i Saelemaekers - di quanto non siano arrivati i bianconeri con Motta e adesso in condizione di replicare la sua stessa impresa (la qualificazione alla Champions) che l’anno scorso sembrò un miracolo (e forse lo era, ma soprattutto del dt Sartori, omologo rossoblù di Giuntoli). E in fondo una morale c’è: non già per Motta, ma in generale. Finiamola di considerare (o trasformare in) santoni i tecnici. Magari torniamo a chiamarli allenatori. Trainer, come si diceva una volta. Chissà che anche loro non inizino a prenderla più bassa.

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Fino a qualche mese fa era un mix di Guardiola, Mourinho e Van Gaal, ma di quando erano belli in tiro, giovani affascinanti e sdottoreggianti, mica come adesso che sono mezzi pensionati o pensionandi. Il tutto con un tocco di Velasco in qualità di mastro psicologo, perché la sua scienza infusa andava oltre il banale dispiegarsi di meri concetti calcistici. Poi - vuoi mettere – lo stile, l’eleganza, la calma. Molto in linea con le cose di Famiglia. La capacità di ottimizzare e gestire le risorse umane, di coltivare la serenità del gruppo, anche quando il pallone cominciava a rotolare sinistramente storto, o inspiegabilmente lento, o decisamente a muzzo. Quel suo modo algido di prepararci al futuro, rivoluzionando il presente e dando una pedata al passato. Tranqui, raga: abbiamo battuto il Lipsia e il Psv, il Verona e il Monza. Che domande fate? Che problemi ponete? Quali dubbi vi assillano? Andremo a comandare, e con l’organico valorizzato, i giocatori rivalutati, i bilanci risanati. Oggi, invece, Thiago Motta è non soltanto un allenatore esonerato, tra il sollievo e le contumelie del mondo juventino, roba che manco Allegri quando gli davano del parcheggiatore di pullman davanti alla porta, ma uno che ti chiedi: chi mai potrebbe assumerlo, dopo uno scatafascio del genere? Forse una squadra di metà classifica del campionato francese, o portoghese. Ma forse. Magari come vice, per imparare il mestiere, là dove vincere effettivamente non sia un’ossessione.

 

Juve, che sbandata con Thiago Motta!

Tacconi gli dà addirittura del Maifredi, rendiamoci conto. Perché si levasse al cielo una voce in suo favore - diciamo consolatoria, via - è dovuta intervenire la moglie: "La delusione di oggi può essere la benedizione di domani, ti aspettano tante cose belle", ha scritto sui social, rivolgendosi a un generico "bambino". Il suo Thiago, preso per la pargoletta mano. Ora - al di là dei sarcasmi, ma pure della solidarietà umana (perché sicuramente in questo momento Motta sta soffrendo e non è mai bello sapere che qualcuno soffre, per quanto parco dispenser di empatia lui si sia rivelato nei suoi rapporti con la squadra e con l’ambiente) - la verità è che, nella sua storia, uno sfondone così la Juventus non l’aveva mai preso: non già a a livello di risultati, ma d’immagine, di diseconomie, di disillusioni. E di imbarazzi, contagiosi e forse condivisi, perché la scelta di Motta non è stata frutto di circostanze o di emergenze, ma postulato filosofico di un preciso piano aziendale, con relative assunzioni di responsabilità dirigenziali e manageriali che potrebbero ampliare il terreno minato delle conseguenze.

 

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