Sermonti, Boris, Juve e Stanis: le Champions col Var e la Top 11 dolorosa “Tevez out per i 2 angeli”

Molto bianconero prima di "molto italiano". L'attore ha parlato del suo amore per la Vecchia Signora fin da quando era bambino raccontando diversi aneddoti riguardanti la sua vita

Un attore "molto italiano", come direbbe il suo Stanis La Rochelle in Boris, ma soprattutto molto... juventino. Pietro Sermonti è stato ospite a Small Talk, il podcast prodotto dal club bianconero. Un'occasione per parlare del suo rapporto con la Vecchia Signora fin da quando era bambino e per raccontare i tanti aneddoti divertenti della sua vita legati proprio ai bianconeri. 

Sermonti e il legame con la Juve

“Ho ancora il “tremorino” solo ad aver visto i campi di allenamento. Ognuno ha il suo rapporto con le divinità, c’è chi gli da del tu, chi le pacche sulle spalle, chi ci vuole giocare a carte, ma per me devono restare tali. Non riuscirei a prendere un tramezzino con Federico Gatti. Non lo voglio sapere, non voglio sapere che Giove mangia prosciutto e funghi. Per me le divinità stanno lì e lo sono perché giocano nella Juve. Sono divinità non per il talento ma per la maglia bianconera, per me anche giocatori apparentemente secondari lo sono. Da ragazzino ero pazzo di un giocatore che fece un gol contro il Pisa nel campionato ‘83/84, si chiamava Koetting. Credo che giocò in totale due partite. Per me lui, per qualche mese della mia vita è entrato nel Pantheon” -  ha spiegato Sermonti.

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"Mi chiamo Pietro per Anastasi"

Mi chiamo Pietro perché mio padre che tifava Juve come me, dal 1935. Quando sono nato nella Juventus giocava Pietro Anastasi, detto ‘Pietruzzu”, per cui mi chiamo così, per questo motivo. Mio padre era completamente pazzo, si disegnava i gol e gli scudetti con la matita nell’armadio. Nella vita ha fatto altro, ma lui dipingeva ed era veramente pazzo. Ho tutto il subbuteo di tutta la squadra Juve, con i calzettoni calati, Virdis con i baffi, Bettega brizzolato, Tardelli con il bottoncino, Fanna con i capelli biondi. Per cui sono cresciuto con questo padre che mi ha fatto questo regalo” - ha raccontato l'attore. Poi a proposito del padre: “Ci sto scrivendo un libro di 700 pagine quindi credo che farò un’estrema sintesi. Al di là di quello che mio padre ha fatto nel lavoro, è conosciuto perché è stato il più grande divulgatore di Dante in Italia. È quello che ha inventato questo tipo di divulgazione, le letture in pubblico. Ma oltre quello, la cosa che mi sta a cuore è lui e il rapporto che avevo con lui. È l’uomo che in me ha acceso la malattia per il gioco, mi ha ammalato di Juve e del gioco del calcio. Era il mio più grande tifoso, veniva a vedere tutte le mie partite. Mi ha insegnato quel poco di italiano che parlo. Non c’è più da otto anni, in un sogno di qualche giorno fa ho sognato che ci abbracciavamo. Ero con lui il giorno dell'Heysel. L’ultima partita che ho visto con lui allo stadio è stata la finale di Champions League all’Olimpico contro l’Ajax, l’ultima vinta dalla Juventus”. Come dico ai miei amici romanisti 'Ho vinto più io all'Olimpico di voi', lì ho vinto parecchie coppe. Poi ha aggiunto: “Ho anche una statistica: l’88% sono tifosi della squadra del padre. C’è una coppia di miei amici che hanno un figlio che barcolla, ed è una tragedia (ride, ndr)”.

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Il tifo juve a Roma: "Mi hanno portato una bara"

Mi sono innamorato della Juventus da piccolino, agli inizi degli anni ’80, quando la Roma ha vinto lo Scudetto e noi abbiamo perso la coppa dei campioni ad Atene. Sono arrivato il giorno, il 26 maggio del 1983, dopo a scuola e ho trovato una bara con la maglia della Juve. Un pensierino degli amici. È stata la prima volta dove ho provato cosa fosse il tifo contro. Peraltro, l’anno dopo la Roma perde col Liverpool all’Olimpico e il dolore non era il sentimento prevalente, diciamo così. Ma non mi sono vendicato, ma con alcuni amici laziali non abbiamo passato una serata triste. C'era molto nervosismo in città” - ha raccontato.

Le finali perse e il sogno prima di Cardiff

Di finali perse allo Sermonti ne ha viste parecchie: “Allo stadio ho perso quella ad Amsterdam con il Real Madrid, l’anno dopo con il Borussia Dortmund ma ero in America per la laurea di mia sorella e l’ho vista in un bar con mio padre. Poi ero a Manchester ed ero dietro in curva dove hanno battuto il rigore: quando Shvchenko ha spiazzato Buffon non ho visto neanche la palla ad entrare. Sono corso all’aereoporto, ho aspettato lì e mi sono fatto il volo per Malpensa con tutti i tifosi del Milan. Una bellissima serata… Poi ho perso quella a Berlino e non ho perso quella a Cardiff perché l’ho vista allo Stadium. L’ho vista lì perché avevo sognato di correre di notte, nudo, nello stadio, da solo. Mi hanno detto allora “vieni a vederla”. Non abbiamo vinto altrimenti lo avrei fatto. Ero nella pancia dello stadio, con i giornalisti. Ho voluto non andare allo stadio. Putroppo la visione non si è avverata. Però succede che delle volte, quando Thuram ha fatto quel gol con l’Empoli mi ero detto che non si poteva essere eliminati, e poi, invece… Avevo fatto quel sogno, mi sembrava un’immagine bella, forte. Forse sarebbe stata l’ultima cosa che avrei fatto… (ride, ndr)”.

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"Con il Var avremmo avuto qualche Champions in più"

“Si pensa che la Juventus abbia vinto tanto, ed ha vinto tanto. Ma il problema è che la Juve quando arriva seconda ha perso, e quante volte siamo arrivati secondi? Ma soprattutto abbiamo perso 5 finali di Champions di fila, sette in tutto. Ti dicono ‘meglio vincere uno Scudetto ogni tanto’, si certo ma noi abbiamo delle ferite… C’è un mio amico che ha scritto un libro che s’intitola “Sanguina ancora”. Le mie ferite sanguinano tutte. A Berlino è stata bruttissima, avevamo una squadra fortissima. Il rigore dato a Madrid nel 3-0 sul Real… Ci sono cose che fanno malissimo. Con il Borussia Dortmund c'era un rigore su Vieri incredibile.Se ci fosse stato il Var ne avremmo vinte alcune- ha detto sconsolato Sermonti.

La tragedia dell'Heysel

Sermonti ha toccato poi anche temi delicati come la tragedia dell'Heysel: “In questi giorni sta uscendo un podcast su quella infame notte. Era il 29 maggio del 1985 e facendo ora il podcast ho rimesso mano, a rimestare in un dolore di quando avevo 13 anni. Per me è stata la fine dell’età dell’innocenza, l’irruzione della morte in quella che era la serata che aspettavamo tutti dopo aver perso ad Atene. Era una Juve mostruosa. Il 29 maggio di ogni anno mi sveglio e lo so, perché da quel momento non è stato più nulla”.

Poi ha aggiunto: “La quantità spaventosa di errori clamorosi, sviste, superficialità, è stata la cronaca di una tragedia annunciata. È stata una cosa terribile. Una cosa che mi dispiace tanto è che quello che è successo all’Heysel è una cosa che è rimasta molto juventina. E questo mi dispiace perché ha a che fare con la narrazione in questo Paese dello sport. Ad esempio, non sento la tragedia del Torino, Superga, una cosa estranea a me. Mio padre mi ha insegnato questo. Mi auguro che in qualche modo, dopo quarant’anni, dove sono morte 39 persone – tralasciamo quanto visto e letto negli stadi italiani, minoranze di persone malate - , il fatto che sia rimasto nella galassia Juve, è doloroso. È gente che è morta nel momento, potenzialmente, più bello della propria vita". Pi ha commentato una foto dell’Heysel: “Questa è una foto incredibile, perché è quella che ho avuto davanti al mio letto almeno per sette anni, vicino a Bruce Springsteen. Ci ho convissuto, perché era talmente fondativo per la mia identità, un fatto talmente impronunciabile… Quando mi svegliavo la mattina avevo davanti questa immagine dolorosa, mostruosa. Quando abbiamo traslocato non me la sono sentita di portarla con me. Conoscevo tutte le facce, ho imparato a conoscerle con il tempo. Tutti i volti e le espressioni e quello che immaginavo stesse succedendo, tenendo conto poi anche delle testimonianze di chi c'è stato e cosa è stato quell'urto e sbandamento e il fatto che non si potesse scendere giù perché c'erano sei belgi a cavallo, due dei quali si stavano occupando di un furto di un wrustel in un chioscho". Poi sul tema ha concluso: "Sono onorato che mi abbiano dato la possibilità di raccontarlo"

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"Ero un trequartista e facevo gol come Platini"

Sermonti ha raccontato dei suo anni nelle giovanili della Juve e del suo primo approccio con il calcio giocato: In realtà sono un trequartista avanzato, facevo gol, come il Francese (Platini). Ero solo un po’ più alto e magro. Tra l'altro mi ricordo tutti i suoi gol e sono in caso di replicarli. Sono cresciuto con la radio, poi mi registravo 90° minuto con le VHS… Ho iniziato a giocare a calcio da sempre, quando avevo un anno mi tiravano la palla e la calciavo. Mio padre pensò che forse fossi capace. Dopodiché sono cresciuto in comprensorio dove c’era un campo di calcio ed eravamo cinquanta bambini che giocavano a pallone tutto il giorno tutti i giorni. Mi piaceva così tanto giocare a calcio perché ero un ragazzo molto silenzioso, solitario, timido per via di cose successe a casa, tranne quando mi mettevo una maglia con altri 10 e quel senso di comunità, quell’aver un obiettivo, di gioco, dell’essere compagni, mi faceva sentire meno fragile. Ogni volta che facevo gol piangevo, siccome evidentemente avevo un sacco bisogno di piangere, facevo un sacco di gol. Forse pagavano i portiere per farmi far gol (ride ndr).Giocavo a pallone perché avevo bisogno di piangere. Era la manifestazione lampante di come ci fossero cose che erano rimaste insolute",

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"Ho giocato con Materazzi in Promozione"

"Avevo un presidente geniale al Tor di Quinto, dove qualche anno dopo in Promozione ho giocato con Marco Materazzi. Comunque, dopo la Roma e la Lazio c’era solo il Tor di Quinto. Questo meraviglioso Massimo Testa (allenatore ndr), ci diceva che a seconda del ruolo e della distanza dalla porta avevamo dell’astinenza da attività sessuali. Che a quell’età erano tendenzialmente onanistiche, nel senso che a 11 anni… Lui diceva: ‘Se tu sei un difensore, dove l’importante è spazzare via la palla, fino al giovedì, venerdì, va bene. Ma gli attaccanti, che invece la palla la devono mettere là, mercoledì, non oltre (ride, ndr). Perché poi perdi quella voglia. A 12-13 anni si fa l’amore da soli con una certa disinvoltura. E poi lui beccava tutti e non ti faceva giocare, era tremendo. Bellissimi anni, bellissimi campi di pozzolana dove sono cresciuti un sacco di fenomeni. L’Italia non va più ai Mondiali perché i calciatori crescono su campi che sono tavoli da biliardo. Quando cresci sui campi con i sassi, croccanti di ghiaccio, che se caschi ti fai veramente male, stai molto attento a non cascare, e sviluppi una sensibilità maggiore. Giocavamo con i palloni Mikasa che pesavano 9kg”.

Poi ha continuato: “Al di là del fatto del fare il boomer con i rimpianti di giocare per strada. Non vorrei citare il personaggio che ho interpretato in Boris, però c’è una specificità molto italiana. È vero che i campi sono diventati uniformi in tutta Europa. In Italia continua ad esserci, con l’imborghesimento dei manti erbosi, un bisogno, un’istigazione a vincere anche quando sei piccolino. Vado a vedere le partite dei figli dei miei amici, a ottoni quando uno si butta e prendi un rigore ‘così, così”, non c’è nessuno che ti dica ‘oh alzati, se lo rifai non giochi per i prossimi mesi’. È questo che ci fa perdere quella quota di spazio e tempo per maturare la gioia per giocare a pallone. In francese, inglese e tedesco la parola giocare è uguale anche per la musica (Play ndr), per il gioco dei bambini. Invece in Italia recitiamo, giochiamo, suoniamo. Credo sia questo, poi non ho una conoscenza del settore giovanile così approfondita”.

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L'esperienza nel settore giovanile della Juventus

Sermonti, vedendo le foto del passato alla Juve, ha continuato a raccontare il suo periodo nelle giovanili: “Ci tengo a questa foto, perché c’era Nené, l’allenatore, che era un grandissimo personaggio. Era un giocatore brasiliano che ha vinto lo Scudetto col Cagliari nel 1970, una delle 2-3 imprese più importanti della storia del calcio mondiale. Faceva queste cose, ad esempio, aveva tutte le sue teorie su come si coltivasse l’armonia in un gruppo. Prima di entrare in un campo, sulle strisce bianconere, ci spruzzava dell'alcol puro. A parte che entravamo storditi, lo faceva per evitare che arrivassero influenze maligne nel cuore, per essere fermi e forti. Lo eravamo, ma anche mbriachi (ride,ndr). C’avevamo ste cose rosse, poi si faceva l’appello e rispondevamo una cosa per un’altra. Entravamo in campo e tutti vedevano sta macchia rossa e pensavano c’avessero sparato. Era una cosa legata alle sue idee meravigliose, delle strane macumbe, da personaggi di Soriano. Ci diceva ‘mangia la cibia’, cioè mangia la tibia. Non ci faceva giocare a carte perché ‘semina zizzania’, perché poi uno litigava e in campo non ti passa la palla. Questo era Nenè, non solo, ma un uomo straordinario e di poesia”.

Poi su Gerry Cavallo, suo compagno di stanza: "Un mancino forte, ma senza disciplina. Era un ribello vero. Lui ha una storia sul suo esordio in Serie A mancato che è un capolavoro assoluto, gli volevo molto bene. Ha fatto il calciatore nelle serie minori a Brindisi, poi è stato capitano del Pisa. Tecnicamente poteva giocare in A, ma non era addomesticabile. Ci siamo ricontrati grazie a Sergio Brio tre-quattro mesi fa. Lui è un grande juventino. Può raccontare tante cose, era l'idolo di Brindisi. Con lui palleggiavamo in mezzo alla gente con una famosa palla di sabbia, l'Hacky Sack. Mi ricordo che l'ha fatto anche sotto la pioggia di Torino a novembre con i pantaloncini corti, pensa la malattia".

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"Pensavo che la pubalgia fosse un segno del destino"

"Quando ho capito di non poter diventare calciatore? Dopo due mesi in ritiro mi è venuta la pubalgia, che all'inizio lo consideravo come un segno di predestinazione, perché l'aveva avuta anche Platini. Lui con la pubalgia aveva fatto 4 gol nel girone d'andata, poi quando è guarito ne ha fatti 14 nel girone di ritorno. Fa perdere una frazione di tempo che ti fa passare da fenomeno a pippa. Quando il messaggiatore doveva curarmi mi diceva di spostare il presepe. Poi in ritiro ho preso anche la schisi. E' stato un incubo, ho giocato poco e stavo sempre male. Come sono diventato attore? L'ho imparato in campo perché ti insegna chiarissimo qual è il tuo obiettivo, chi sono i tuoi compagni, poi lo spettacolo diviso in tempi come a teatro e le prove come gli allenamenti. La collettività conta in entrambi i casi. Io giocavo anche a tennis ed ero bravo, avevo più il fisico da tennista. Non potevo però fare una cosa completamento da solo, non lo reggevo. Anche sul set tutti sono importanti e il lavoro di tutti va rispettato tempo. Il mio epitaffio l'ho sognato tempo fa e ci sarà scritto 'Non tirò mai in porta con un compagno piazzato meglio di lui'. Io esultavo nello stesso modo per un mio gol e quello degli altri, quell'orgia pogante era la cosa più bella della mia vita. La mia era una leadership tecnica, non parlavo. Ho deciso di fare il calciatore quando ho visto Tardelli esultare un pochino al gol contro la Germania nell'82. Avevo dieci anni e ho detto 'Voglio fare quello'. Il calcio per me era centrale, mi permetteva di essere di sopravvivere". 

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Stanis La Rochelle, Boris e la Juve

Sermonti si è poi prestato a un gioco, ha dovuto collegare le sue citazioni in Boris a personaggi della Juve:

"Non siatemi italiani, che oggi spacchiamo tutto!" - "Chiellini. L'ho sempre visto come un legionario romano di Asterix, è il giocatore fisico e forte con il senso di gruppo totale. Guerra e lealtà scorbutica". 

"Tu vuoi improvvisare? No perché mi mandi a nozze" - "Tevez. Un giocatore che ho amato come se avesse giocato 22 anni. Ero dietro la porta a Dortmund quando vinciamo 3-0 e ancora non mi ero sistemato quando ha tirato quel missile da fermo". 

"Sento puzza di capolavoro, anche di pesce, ma soprattutto di capolavoro" - "Gol di Del Piero con la Fiorentina. Ma per il capolavoro, contro le leggi della fisica, non per la puzza. Vi racconto una cosa, qul giorno siamo partiti in cinque con la Ypsilon10 la mattina da Roma, abbiamo visto la partita e poi al ritorno ci hanno trovato in un autogrill mentre dormivamo. Avevamo cantato talmente tanto al ritorno che eravamo stanchi. Ci hanno bussato a Bologna alle 3 di mattina, pensavano che fossimo morti".

"Ho un brutto presentimento, sì, è come una sensazione di fine, a volte la vita ti manda dei segnali e noi dobbiamo essere in grado di captarli" - "Buffon e il gol del Real in finale di Champions, quello di Casemiro. E' un gol stranissimo, che ti fa capire che proprio non ce n'è. Gigione lo amo tantissimo, uno dei momenti più belli della mia vita è quando sono riuscito a dargli la mano sotto il diluvio durante il giro di campo. Mi ricordo la sua esultanza contro lo Spezia in Serie B al gol di all'ultimo minuto di Nedved, dopo aver vinto il Mondiale. Buffon è uno di quei giocatori che ti rende felice di essere juventino. Non lo posso conoscere, va lasciato nell'Olimpo"

"Nooo! Ma guarda chi c'è! M'ero dimenticato del più grande di tutti! Allora? Come stai? 'Tacci tua... Ma tu chi cazzo sei?" - "Platini, il migliore per me. All'inizio degli anni 80 aveva preso una scuola di calcio e tennis con Noah che era il mio idolo come tennista. Ci sono andato per un mese, di solito ci si stava solo qualche giorno. Una delle cose di cui sono più orgoglioso, c'era un concorso per vincere una televisione, bisognava prendere delle sagome all'incrocio su punizione e ho vinto. Davanti a Platini".

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Il cinema e i protagonisti della Juve

Poi Sermonti ha partecipato a un altro gioco, legando i protagonisti dei film a grandi personaggi del mondo Juve:

Tevez - "De Niro in Taxi Driver per la sua pericolosità. Con i miei amici ci immaginavamo che avesse una lametta sotto la lingua visto che aveva sempre uno strano spazio intorno a lui".

Vidal - "Vincent Cassell ne L'Odio per la durezza. Anche tecnicamente era sublime"

Tudor - "Igor di Frankenstein Junior, anche lui gobbo. E' il più grande juventino, Tudor è più piacevole come aspetto".

Bremer - "Mi mette un po' in difficoltà perché mi costringe a fare una cosa un po' autoreferenziale. Mi fa pensare a me, perché appena ho finito di girare una serie con De Sica e mi chiamavo Alfonso Bremer. Tutto ruota intorno al 'Metodo Bremer', questo librone che ci viene rubato. L'ho proposto a Prime, ma non credo sapessero chi è davvero Bremer. Poi ne ho fatta un'altra con Lillo dove mi chiamavo Sergio Locatelli, anche qui non casualmente. Ora ne uscirà una per Netflix dove mi chiamerò Luigi Gatti e una in cui il cognome non è modificabile ma ho detto al regista che come nome voglio usare Igor. La Juve è sempre presente, me lo fanno fare. Se riuscissi a far chiamare un personaggio Vincenzo Kalulu, smetterei".

Platini - "Peter Sellers ne La pantera rosa. Parlavano uguale e sono due geni. Lui è il mio attore di riferimento per la sua ironia tragica. La Pantera rosa mi lega al mio babbo". 

Yildiz - "Di Caprio di Romeo e Giulietta. Kenan è bello e sorridente, poi il suo nome vuol dire stella. Lo associo al Di Caprio di Titanic, anche se sono due storie non finiscono benissimo. Però a quel ciuffo, quel carisma da bravo ragazzo che fa innamorare. E' capace di giocate importanti, a me piacciono quelli che si portano la pressione in campo sorridendo, come il francese (Platini, ndr) che era un genio assoluto perché rideva in campo senza deridere. Mi ricordo quando nell'85 gli hanno annullato quel gol contro l'Argentinos Juniors a Tokyo nella finale di Coppa Intercontinentale, forse uno dei più belli della storia del calcio. Si è sdraiato e si è messo ad applaudire. Io non ne ero capace, in campo diventavo tetro e cupo, insultavo tutti. L'ultima partite di un certo livello mi hanno espulso perché ho detto al guardalinee di mettersi la bandierina lì... Mi ricordo però la civiltà dell'arbitro che mi ha detto 'Può andare a farsi la doccia'".

Prima dei saluti, Sermonti ha firmato sua vecchia foto con la seguente frase: "Non calciare in porta se un tuo compagno è piazzato meglio di te". "Questo è il mio testamento" - ha aggiunto.

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La top 11 Juve di Sermonti

Nel corso del podcast Sermonti ha avuto modo anche di stilare la sua miglior formazione all time della Juve con una sola condizione: la numero 10 la indossa lui. Quello che ne esce è una formazione 4-3-1-2 così: Zoff; Thuram, Scirea, Montero, Cabrini; Pirlo, Tardelli, Davids; Sermonti e... in attacco il grande dubbio. Prima l'attore inserisce Tevez: "Sì, per una squadra che combatte che però sa anche giocare a pallone. Poi non posso non mettere Pablito Rossi", ma ecco il ripensamento: "Non posso togliere Sermonti? Non posso neanche non mettere Vialli... Mi dispiace ma non posso non mettere i due angeli davanti, allora Carlitos allenatore!".

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Un attore "molto italiano", come direbbe il suo Stanis La Rochelle in Boris, ma soprattutto molto... juventino. Pietro Sermonti è stato ospite a Small Talk, il podcast prodotto dal club bianconero. Un'occasione per parlare del suo rapporto con la Vecchia Signora fin da quando era bambino e per raccontare i tanti aneddoti divertenti della sua vita legati proprio ai bianconeri. 

Sermonti e il legame con la Juve

“Ho ancora il “tremorino” solo ad aver visto i campi di allenamento. Ognuno ha il suo rapporto con le divinità, c’è chi gli da del tu, chi le pacche sulle spalle, chi ci vuole giocare a carte, ma per me devono restare tali. Non riuscirei a prendere un tramezzino con Federico Gatti. Non lo voglio sapere, non voglio sapere che Giove mangia prosciutto e funghi. Per me le divinità stanno lì e lo sono perché giocano nella Juve. Sono divinità non per il talento ma per la maglia bianconera, per me anche giocatori apparentemente secondari lo sono. Da ragazzino ero pazzo di un giocatore che fece un gol contro il Pisa nel campionato ‘83/84, si chiamava Koetting. Credo che giocò in totale due partite. Per me lui, per qualche mese della mia vita è entrato nel Pantheon” -  ha spiegato Sermonti.

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