Da Berruto ad Agnelli: Giustizia Sportiva, si cambia o... si cambia

L’indagine conoscitiva del Parlamento, la Commissione del Coni, il ricorso dell'ex presidente Juve alla Corte Ue: tutto il meccanismo è messo in discussione
Da Berruto ad Agnelli: Giustizia Sportiva, si cambia o... si cambia

Per la giustizia sportiva, adesso viene il bello. O il brutto, a seconda dei punti di vista. Ma l’aria che si respira è frizzantina e, intorno al sistema vigente, si sta disponendo un discreto assedio. Da una parte c’è la politica, con l’iniziativa parlamentare di Mauro Berruto, agguerritissimo nel suo intervento alla Camera di luglio, nel quale ha denunciato fatti gravi e gravissimi, dall’utilizzo dei processi sportivi per far fuori avversari politici («La giustizia sportiva utilizzata come una clava») a casi di presunta pedofilia. Dall’altra c’è la decisione del nuovo presidente del Coni, Luciano Buonfiglio, che da domani farà partire i lavori di una commissione finalizzata proprio a riformare il mondo della giustizia sportiva italiana. E, da sopra, incombe il ricorso di Andrea Agnelli alla Corte di Giustizia Europea, che ha fissato la prima udienza il 17 settembre e che, potenzialmente, può colpire al cuore il sistema, con una serie di quesiti sulla legittimità degli organi di giustizia sportiva e sullo straripamento di potere che caratterizza certe sue azioni.

La giustizia sportiva non potrà più essere quella di prima

Alla fine dei tre percorsi, la giustizia sportiva italiana non potrà più essere quella di prima, ma ora è difficile capire se sarà vera riforma o la solita capriola gattopardesca con cui il sistema salverà se stesso. Per esempio, Berruto (e non solo lui) è rimasto perplesso di fronte alla nomina, a capo della commissione Coni-Governo, di Marco Di Paola, presidente della Federazione italiana sport equestri. Questo alla luce delle discussioni che sono emerse a seguito della sua rielezione in Federazione, dopo che gli altri candidati hanno subito squalifiche e multe legate all’attività in campagna elettorale. Insomma, uno dei casi, denunciati da Berruto, nei quali la giustizia sportiva pare essere utilizzata per eliminare i proprio nemici politici. È per questo che lo stesso Berruto preme perché la Settima Commissione parlamentare, di cui fa parte, dia il via a un’indagine conoscitiva sulla giustizia sportiva, ascoltando tutto quel mondo: i procuratori federali, ii giudici, ma anche e soprattutto chi ha denunciato, proprio a Berruto, le storture o le deviazioni. L’indagine, secondo Berruto, non si scontrerebbe con i lavori della commissione Coni-Governo, ma anzi potrebbe esserne un importante strumento per approfondire certe situazioni: «Se nessuno ha nulla da nascondere una cosa aiuterà l’altra».

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

La questione dell’inappellabilità

La mancanza di trasparenza di certi procedimenti sportivi, d’altronde, viene denunciata da tempo e da più parti. E Andrea Agnelli ne ha fatto uno dei punti centrali del suo ricorso alla Corte di Giustizia Europea. Un documento complesso, che parte dal processo sportivo sulle plusvalenze subito dalla Juventus e dai suoi dirigenti. Un processo nel quale «sono state contestate condotte poste in essere in asserita violazione di regole puramente contabili e di bilancio, senza che venga in rilievo alcuna inerenza con l’attività sportiva» e nel quale il potere del giudice è quindi andato oltre. Ma, fra i temi del ricorso, c’è anche la questione dell’inappellabilità delle sentenze sportive presso un giudice naturale, quando queste sentenze hanno a che fare non solo con la mera attività agonistica, ma con i diritti fondamentali dell’uomo, come quello a svolgere la propria professione. La totale chiusura della giustizia sportiva in se stessa, inoltre, sbatte contro gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione in cui si parla di libera concorrenza (articoli che erano anche alla base dal ricorso vinto della Superlega).

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Le federazione non possono controllare la giustizia sportiva

C’è poi un elemento che unisce l’iniziativa politica di Berruto e il ricorso di Agnelli e che riguarda un fondamento della democrazia: le federazioni e i loro dirigenti non possono controllare la giustizia sportiva perché si tratta di un caso in cui il controllato controlla il controllante, non esattamente un esempio di applicazione del principio di terzietà. Saranno mesi intensi, in cui il sistema attiverà tutti i suoi anticorpi per evitare di essere smontato e rimontato in un altro modo. E saranno anche mesi importanti per la credibilità dello stesso sistema. I processi alla Juventus sono stati solo l’esempio più eclatante di una giustizia che agisce con pesi e misure diverse. È semplicemente ridicolo che una pratica, quella delle plusvalenze più o meno fittizie, diffusa in modo capillare nel calcio italiano venga contestata a un solo club e un solo club venga punito, peraltro pesantemente. E la stortura di quella bastonata (che, chissà, magari era stata assestata per i fatti della Superlega) non salta agli occhi solo ai tifosi della Juventus. In un mondo che vende emozioni e professa lealtà, la credibilità non è un accessorio e la giustizia sportiva, così com’è oggi, non può definirsi credibile.

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Per la giustizia sportiva, adesso viene il bello. O il brutto, a seconda dei punti di vista. Ma l’aria che si respira è frizzantina e, intorno al sistema vigente, si sta disponendo un discreto assedio. Da una parte c’è la politica, con l’iniziativa parlamentare di Mauro Berruto, agguerritissimo nel suo intervento alla Camera di luglio, nel quale ha denunciato fatti gravi e gravissimi, dall’utilizzo dei processi sportivi per far fuori avversari politici («La giustizia sportiva utilizzata come una clava») a casi di presunta pedofilia. Dall’altra c’è la decisione del nuovo presidente del Coni, Luciano Buonfiglio, che da domani farà partire i lavori di una commissione finalizzata proprio a riformare il mondo della giustizia sportiva italiana. E, da sopra, incombe il ricorso di Andrea Agnelli alla Corte di Giustizia Europea, che ha fissato la prima udienza il 17 settembre e che, potenzialmente, può colpire al cuore il sistema, con una serie di quesiti sulla legittimità degli organi di giustizia sportiva e sullo straripamento di potere che caratterizza certe sue azioni.

La giustizia sportiva non potrà più essere quella di prima

Alla fine dei tre percorsi, la giustizia sportiva italiana non potrà più essere quella di prima, ma ora è difficile capire se sarà vera riforma o la solita capriola gattopardesca con cui il sistema salverà se stesso. Per esempio, Berruto (e non solo lui) è rimasto perplesso di fronte alla nomina, a capo della commissione Coni-Governo, di Marco Di Paola, presidente della Federazione italiana sport equestri. Questo alla luce delle discussioni che sono emerse a seguito della sua rielezione in Federazione, dopo che gli altri candidati hanno subito squalifiche e multe legate all’attività in campagna elettorale. Insomma, uno dei casi, denunciati da Berruto, nei quali la giustizia sportiva pare essere utilizzata per eliminare i proprio nemici politici. È per questo che lo stesso Berruto preme perché la Settima Commissione parlamentare, di cui fa parte, dia il via a un’indagine conoscitiva sulla giustizia sportiva, ascoltando tutto quel mondo: i procuratori federali, ii giudici, ma anche e soprattutto chi ha denunciato, proprio a Berruto, le storture o le deviazioni. L’indagine, secondo Berruto, non si scontrerebbe con i lavori della commissione Coni-Governo, ma anzi potrebbe esserne un importante strumento per approfondire certe situazioni: «Se nessuno ha nulla da nascondere una cosa aiuterà l’altra».

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