"Collina aveva avuto l'ordine: a Perugia si gioca per forza, altrimenti...Destino Juve non vincere"

Riccardo Gaucci e quel pomeriggio del 14 maggio 2000: "Poteva succedere la fine del mondo"
"Collina aveva avuto l'ordine: a Perugia si gioca per forza, altrimenti...Destino Juve non vincere"

Sono passati venticinque anni, ma quel pomeriggio al “Renato Curi” continua a far discutere. Il 14 maggio 2000, mentre un nubifragio si abbatteva su Perugia, Juventus e Lazio si giocavano uno scudetto che avrebbe cambiato la storia. Il campo allagato, il pallone che non rimbalzava e un arbitro, Pierluigi Collina, rimasto per oltre un’ora sotto l’acqua a valutare se fosse possibile continuare. Oggi, Riccardo Gaucci – figlio di Luciano, presidente del Perugia di allora – riapre quel capitolo al podcast Pro Football e racconta una versione che getta nuova luce sulla vicenda: secondo lui, Collina non decise liberamente.

“Collina aveva l’ordine di far giocare per forza”

Riccardo Gaucci parla senza esitazioni. A suo dire, la decisione di riprendere il match non fu frutto della discrezionalità arbitrale, ma di una direttiva precisa: "Collina ha avuto l’ordine di far giocare per forza la partita, perché altrimenti il giorno dopo sarebbe successa la fine del mondo". Il riferimento, spiega Gaucci, era al contesto di ordine pubblico che si sarebbe creato se la gara fosse stata rinviata. "La Lazio aveva vinto" ricorda "e se si fosse giocato il giorno dopo, sarebbe stato un caos. Immagina quanti tifosi laziali sarebbero venuti a Perugia invadendo la città". Secondo lui, fu questo il vero motivo dietro la decisione di riprendere la gara, nonostante il diluvio e un terreno di gioco ai limiti dell’impossibile.

Nel ventre del Curi, tra acqua, attesa e incredulità

Mentre il cielo non dava tregua, dentro lo stadio si vivevano momenti sospesi. "Io ero poco dietro a Collina" racconta Gaucci "In campo c’erano Pieroni, Secco, Ivo, Conte, Olive. Ricordo che Collina cercava disperatamente un pezzo di erba dove la palla potesse rimbalzare". L’immagine del fischietto viareggino con l’ombrello e il pallone in mano, divenuta simbolo di quel giorno, riassume la tensione. Le squadre rimasero più di un’ora negli spogliatoi, tra dubbi e nervosismo. Si temeva l’annullamento, ma alle 18:00 circa Collina decise: si gioca. Il campo era zuppo, le pozzanghere trasformavano ogni passaggio in un azzardo, ma la partita riprese. E al 49’ del secondo tempo, la rete di Calori sancì l’inaspettato verdetto: Lazio campione d’Italia.

© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Juventus

“La Juve non doveva vincere”

Gaucci vede in quella giornata qualcosa di più di una coincidenza. «Si era allagato tutto: campo, spogliatoi, l’acqua superava il metro e mezzo" racconta "È sembrato un segno del destino: la Juventus quel giorno non doveva vincere lo scudetto". Parole che mescolano fatalismo e memoria sportiva. Non manca però una riflessione sulla forza di quella Juve: "Aveva una squadra talmente forte che, se avesse pensato più a giocare e meno alla pioggia, magari avrebbe fatto due o tre gol". Una chiusura amara ma lucida: il Perugia compì l’impresa, la Lazio festeggiò, e Collina restò al centro di una delle giornate più enigmatiche della Serie A, sospesa tra calcio e destino, tra ordine pubblico e palloni che non rimbalzavano più.

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Sono passati venticinque anni, ma quel pomeriggio al “Renato Curi” continua a far discutere. Il 14 maggio 2000, mentre un nubifragio si abbatteva su Perugia, Juventus e Lazio si giocavano uno scudetto che avrebbe cambiato la storia. Il campo allagato, il pallone che non rimbalzava e un arbitro, Pierluigi Collina, rimasto per oltre un’ora sotto l’acqua a valutare se fosse possibile continuare. Oggi, Riccardo Gaucci – figlio di Luciano, presidente del Perugia di allora – riapre quel capitolo al podcast Pro Football e racconta una versione che getta nuova luce sulla vicenda: secondo lui, Collina non decise liberamente.

“Collina aveva l’ordine di far giocare per forza”

Riccardo Gaucci parla senza esitazioni. A suo dire, la decisione di riprendere il match non fu frutto della discrezionalità arbitrale, ma di una direttiva precisa: "Collina ha avuto l’ordine di far giocare per forza la partita, perché altrimenti il giorno dopo sarebbe successa la fine del mondo". Il riferimento, spiega Gaucci, era al contesto di ordine pubblico che si sarebbe creato se la gara fosse stata rinviata. "La Lazio aveva vinto" ricorda "e se si fosse giocato il giorno dopo, sarebbe stato un caos. Immagina quanti tifosi laziali sarebbero venuti a Perugia invadendo la città". Secondo lui, fu questo il vero motivo dietro la decisione di riprendere la gara, nonostante il diluvio e un terreno di gioco ai limiti dell’impossibile.

Nel ventre del Curi, tra acqua, attesa e incredulità

Mentre il cielo non dava tregua, dentro lo stadio si vivevano momenti sospesi. "Io ero poco dietro a Collina" racconta Gaucci "In campo c’erano Pieroni, Secco, Ivo, Conte, Olive. Ricordo che Collina cercava disperatamente un pezzo di erba dove la palla potesse rimbalzare". L’immagine del fischietto viareggino con l’ombrello e il pallone in mano, divenuta simbolo di quel giorno, riassume la tensione. Le squadre rimasero più di un’ora negli spogliatoi, tra dubbi e nervosismo. Si temeva l’annullamento, ma alle 18:00 circa Collina decise: si gioca. Il campo era zuppo, le pozzanghere trasformavano ogni passaggio in un azzardo, ma la partita riprese. E al 49’ del secondo tempo, la rete di Calori sancì l’inaspettato verdetto: Lazio campione d’Italia.

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