Torino tra incentivi e boomerang

Torino tra incentivi e boomerang

"Juric è un malato di calcio, un lavoratore instancabile" diceva pochi giorni fa un dirigente di lungo corso e pelo esperto come Giorgio Perinetti, che bene ha conosciuto il tecnico croato (già come giocatore) nel corso della sua carriera. Ha fatto però, il Perinetti, alcuni distinguo che sarà bene non sottovalutare.

Intanto, perché collimano alla perfezione con il ritratto di Ivan il terribile disegnato da Tuttosport mettendo insieme tutti gli schizzi di notizie e di precedenti raccolti su di lui nelle tre settimane di trattative che hanno portato al suo ingaggio, mentre Cairo attraverso i suoi giornali continuava a blandire Nicola e a far finta di non essere in procinto di cambiare allenatore. Ma, soprattutto, perché rappresentano un monito che lo stesso Cairo dovrà tenere bene in conto. Juric "detta la linea", "ha necessità di giocatori funzionali alla sua idea di calcio", "o stai con lui o sei fuori", "è molto esigente". Certo, è pure "ideale per la crescita dei giovani", "migliora i giocatori" e "in un calcio con meno soldi è il profilo ideale per eventuali plusvalenze". Musica queste ultime frasi, per le orecchie di Cairo, mai così rivolte verso l’ottimizzazione delle risorse, non solo quelle del Torino FC.

Ora si tratta di vedere, capire e verificare (non ci vorrà molto) quanto il presidente saprà far tesoro delle indicazioni scongiurando le controindicazioni. Non ci vorrà molto perché Juric è già, appunto, al lavoro. Il che significa che le cose, per lui, devono cominciare a funzionare subito; che il mercato va fatto subito; che la rosa e la squadra dovranno avere una loro fisionomia subito. Se il Toro ripartirà il 6 luglio, non potrà essere il cantiere aperto che di solito - con Cairo - dura fino alla fine di agosto. Se certi giocatori non hanno le idee chiare e le motivazioni allineate, Juric agirà di conseguenza. Per carità, da questo punto di vista - come per le plusvalenze - per il patron può diventare un prezioso alleato di cui farsi scudo, come era accaduto a suo tempo con Ventura. Ma la storia del croato ricorda anche i suoi sfoghi senza giri di parole verso la proprietà del Verona - vuoi per i rinforzi considerati non all’altezza dei talenti coltivati e venduti, vuoi per la mancanza di chiarezza sugli obiettivi futuri - oltre che le sue considerazioni poco gratificanti nei riguardi dei presidenti "incompetenti" e dei direttori sportivi che "devono percepire le stesse cose che percepisce un allenatore", possibilmente standosene il più possibile fuori dalle scatole quando lui è al lavoro sul campo.

Fisiologico, ancorché triste: ci sono già dei tifosi che, causa sfiducia nei precedenti sedecennali di Cairo e dispiacere per il modo in cui è stato liquidato Nicola, prefigurano uno Juric disposto a snaturare la propria intransigenza per due milioni di buoni motivi a stagione, e dunque in procinto di adeguarsi, o comunque piegarsi, al “sistema Toro” come troppi suoi predecessori, modulando il carattere e le pretese in base agli input e ai metodi presidenziali. Noi non ce lo auguriamo: anzi speriamo con tutte le nostre residue forze nel contrario, cioè nel potere di persuasione dello spalatino nei confronti del masiese: non fosse che per restituire alla gente un Toro garibaldino almeno nello spirito agonistico e nell’atteggiamento tattico, oltre che di nuovo capace di vincere - e in maniera finalmente convincente - un numero di partite tali da rimetterlo all’onor d’Italia e quanto più possibile a ridosso dell’Europa.

Ai minimi storici di popolarità presso la tifoseria e non solo, mai come stavolta Cairo avrebbe interesse ad assecondare le richieste di un suo tecnico, oggettivamente scelto tra i migliori profili disponibili sulla piazza. La fretta di Juric può diventare un incentivo ma anche rivelarsi un boomerang, così come la sua intransigenza sui princìpi di lavoro e sull’efficienza della struttura societaria, ciascuna componente in base alle proprie competenze. Mai come stavolta, pure, i cuori granata diffidenti sognano di veder smentito il proprio legittimo scetticismo. Compreso il sarcasmo per il bonus Champions League, vissuto dai più come l’ennesimo specchio per le allodole anziché come testimonianza d’ambizione. Ché poi alla fine qua, nell’impossibilità di una redenzione, ci sarebbe già da gridare al miracolo per qualche segnale di ravvedimento.

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