Walter Sabatini ricorda Gigi Meroni: "Che dolore, era il mio idolo!"

L'ex centrocampista, oggi dirigente sportivo, scrive a Tuttosport: "Nei miei sogni di bambino volevo diventare bravo come lui. La nebbia di quel triste giorno non si alzò mai"

TORINO - Ieri pomeriggio, poco dopo le 16. All’improvviso suona il telefono: Walter Sabatini. «Ciao, Marco. Ho letto l’articolo su Tuttosport in memoria di Gigi Meroni, sono rimasto colpito e ripensando a quel fantastico giocatore, artista, pittore, sempre anticonformista, ho riprovato nel cuore i miei sentimenti di bambino. Avevo 12 anni quando Meroni morì»: domenica 15 ottobre 1967, 55 anni fa, a 24 anni. «Scoprii la notizia il giorno dopo, andando a scuola. E provai un dolore fortissimo che non mi ha più lasciato: ogni tanto torna. Perché nei miei sogni di bambino Gigi era il mio idolo più amato, idealmente al fianco di Rivera. Volevo diventare bravo come lui a dribblare. Ho voluto tradurre questi miei sentimenti, che ciclicamente riemergono fortissimi come dal profondo di un mare, in un breve scritto, di getto». Felici di pubblicarlo per l’afflato poetico e la profondità del pensiero, lo offriamo alla sensibilità di tutti i lettori di Tuttosport. 

Torino, Sabatini ricorda Meroni

Ero appena uscito di casa per recarmi a scuola, in un giorno di inevitabile nebbia densa, e una figura che identifico a malapena da lontano mi urla della morte di Gigi Meroni. Quel giorno ho imparato che notizie come questa non possono splendere di luce, ma devono essere inghiottite e per il momento sospese da una nube greve e impenetrabile. Ho imparato anche che si può odiare istantaneamente qualcuno che conosci a malapena, perché nessuno ha il diritto di scaricare una tragedia simile nella vita di un bambino. Una tragedia che nella mia vita avrei rivissuto solo con la morte di Renato Curi, che però era un mio compagno di squadra ai tempi del Perugia. Nel 1967 ero ancora un bambino, ma Gigi nel mio cuore era un mio compagno di giochi perché io volevo imitarlo ed essere irridente come lui. Avevo una grande capacità evocativa e riproducevo tutte le sue giocate. La nebbia quel giorno non si alzò mai. E non si sarebbe mai più rialzata, come dopo la tragedia del Grande Torino o del Manchester United”.

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