Il derby Toro: lo specchio di Cairo

Ventisette giocati, ventuno persi: ieri l’ultimo. Il più miserando. Il più avvilente. Il più esemplare nel riassumere il nulla del Torino Fc in materia di valori e connotati granata
Il derby Toro: lo specchio di Cairo© Juventus FC via Getty Images

Ventisette derby, dal giorno infausto in cui Urbano Cairo raccolse per pochi spiccioli le ceneri del Toro. Ven-ti-set-te. Ventuno persi: ieri l’ultimo. Il più miserando. Il più avvilente. Il più esemplare nel riassumere il nulla del Torino Fc in materia di valori e connotati granata. Nessuna sconfitta peggiore, sul piano morale, di questa: nessuna. Nemmeno quelle con tre o quattro gol di scarto. Perché mai ci si era trovati di fronte una Juve così malmessa, così vuota di talento e consapevolezza e così piena di paura e confusione. Mai come stavolta aggredire e vincere (vincere, sì. Ha presente, Cairo, la parola vincere? È quello che contro questa Juve hanno fatto perfino il Monza e il Maccabi di Haifa) si credeva - illusi - essere imperativo categorico, per chi avesse un minimo di sangue granata nelle vene, se non i giocatori all’altezza. Invece pure Juric, che quel sangue fino a qualche mese fa era riuscito a scaldarlo, a smuoverlo, ha mollato la presa.

Juric, l'unico appiglio Toro tra rassegnazione e incertezza

Si è stufato: di ripetere sempre le stesse cose e di vedere come la sua ambizione di riportare il Toro là dove gli compete («per me è un top club», azzardò tempo fa; sembra un’eternità, ora) non trovi riscontro nella mediocrità, nell’apatia, nel nulla strutturale che lo circonda. Lo si era intuito quando, a fronte delle domande sull’organico inadeguato, aveva risposto che non voleva più parlare di tristezze (e qualcuno aveva avuto il fegato, o la faccia tosta, di interpretarlo come un “invito alla positività”); quando aveva iniziato a fare raffronti inquietanti con Verona (che salutò dopo il secondo anno perché non riconosceva nel club le proprie motivazioni); quando alla vigilia del derby - oltre a rimarcare che quello di Genova lo sentiva di più: e grazie al cavolo - ha detto di non avere più voglia di parlare di mercato; quando, ieri, ha dichiarato che «ci sono momenti della partita in cui l’allenatore non conta più» e che «il mio rammarico è aver perso con l’Empoli» (non il derby: capito?); quando, ancora ieri, una volta seduto al tavolo delle conferenza e smessa quella fragile patina di diplomazia che in tv riesce ancora a imporsi, ha esplicitato tutta la propria disillusione: «Non chiedo rinforzi per gennaio: ho già preso due schiaffi e fatto tre passi indietro». Ce ne eravamo accorti da soli, ahinoi. «Il futuro? Non so cosa farò». Alé: rieccoci.

Cairo, bilancio derby umiliante

Come sempre, da sempre e per sempre, alla corte di Cairo. Modi di fare, muri di gomma, meccanismi che svuotano, più che stritolare. Svuotano la passione. E ti fanno perdere la grazia, oltre ai derby. Un bilancio umiliante, che non ha eguali nel calcio italiano ma forse nemmeno nei campionati ciprioti o ceceni. I tifosi non hanno più manco la forza di incazzarsi. Sono sfiniti. Piegati, piagati. Rievocano quell’unico successo nel 2015 e poi si ricordano che allora la Juve - già scudettata - un po’ lo regalò. Una vittoria su 27 fa il 3,7% del totale: il che significa che Cairo - rimanendo proprietario del Torino Fc ancora per 73 derby e quindi per un’altra cinquantina d’anni: potrebbe anche rientrare nei suoi piani, quando si rimira allo specchio - riuscirebbe forse a vincerne un altro paio. Sono passati quasi 15 anni e 23 teoriche sfide dall’ultima volta in cui nel derby non s’è preso gol (48 a 13: score allucinante, cit.) e nel 60% dei confronti sotto Cairo i granata non ne hanno segnato mezzo. I granata. Quelli che una volta - pure quando erano scarsi: a volte persino più pippe di questi, ma con uno spirito gagliardo emanato e trasmesso dal club che rappresentavano - azzannavano i “gobbi” fin dagli spogliatoi.

Toro, Juric messo lì per fare plusvalenze

Che pena, presidente. Anche l’ultima frase di Juric, quella per cui è stato ingaggiato solo per fare delle plusvalenze, prendendo giocatori più o meno scarsi per farli arrivare a valere 20-30 milioni. Nei quali non riesce più ad accendere la scintilla dell’orgoglio e del coraggio (le idee alternative di gioco sono svanite già da un pezzo). Poi ci sarebbe anche il fatto che Juric di milioni ne guadagna due l’anno e quelli non dovrebbero stipendiare la sua rassegnazione al non saper più come fare per ambire al 10°/12° posto, il mantra della filosofia aziendale. Che a lui, dice, non basta. Pensa un po’ ai tifosi.

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