Michele Uva: "Grande Torino di proprietà? Mossa giusta: vi spiego perché"

Il direttore di Football and Social Responsibility della Uefa: "Servono sostenibilità, economicità e rispetto per l'ambiente"
Michele Uva: "Grande Torino di proprietà? Mossa giusta: vi spiego perché"

TORINO - Adesso si trova a Manchester, a discutere il progetto di ristrutturazione del City of Manchester Stadium. Un impianto che non ha bisogno di presentazioni. Michele Uva ricopre la carica di direttore di “Football & Social Responsibility” della Uefa ed è uno dei manager sportivi più importanti in Italia. La questione stadi è un tema che caratterizza la sua quotidianità lavorativa. Da pochi giorni ha pubblicato un libro, “Soldi vs Idee”, scritto con la giornalista Maria Luisa Colledani edito da Mondadori. Una guida verso il calcio del futuro, che inevitabilmente ruota attorno alle strutture. A Torino, nella fattispecie, è un tema che sta tornando d'attualità. Stefano Lo Russo e Urbano Cairo ne riparleranno a breve: il sindaco di Torino e il presidente del Toro sono pronti a sedersi intorno ad un tavolo, allacciando un dialogo che da troppo tempo è in stand by. L'esigenza del club granata è quella di poter mettere concretamente mano al "Grande Torino". Da proprietario e non da ospite della Città. La visione di Uva guarda al futuro.

Michele Uva, l'Uefa ha redatto una linea guida dedicata alla sostenibilità delle strutture. Qual è la strada maestra per i nuovi impianti o per le ristrutturazioni di quelli esistenti? 
«La parola "smart" è la chiave di tutto. E non è un'indicazione opzionale. Le strutture che verranno devono essere fatte su misura dalle società: Manchester e Udine non saranno mai la stessa cosa. Torino ha bisogno di due stadi diversi, ma i concetti di base non cambiano. Sostenibilità, economicità, rispetto per l'ambiente e attenzione verso la socialità devono essere poste al centro del dibattito. Lo stadio è per tutti: per i diversamente abili e anche per chi non si può permettere un biglietto da 100 euro» 
 
Il Toro sta iniziando le prime riflessioni sul tema.  
«Fa bene, come qualsiasi club in Italia. Io immagino un impianto smart anche di 4.000 posti nella mia Matera. Il concetto non è legato solo alle big. Perché lo stadio è casa e la casa deve essere moderna e accogliente. Deve avere un wi-fi che funzioni, i bagni confortevoli, l'accessibilità senza sforzi. Smart non è ricavo da biglietto, ma legame con la comunità: il risultato sportivo non è il fulcro del dibattito» 
 
Il caso del Toro è singolare: c'è uno stadio risorto con le Olimpiadi 2006 e il Filadelfia a 500 metri di distanza. Storia e innovazione sono concetti coniugabili? 
«Non sono due concetti lontani. Dove si possono unire le due cose, ben venga: Arsenal e Tottenham insegnano. Ma se dovessi scegliere, vado sulla modernità: non mi farei imbrigliare dalla storia per guardare al futuro. Preferisco un impianto smart: sostenibile e generatore di valore. La storia può anche non vivere, l'importante è saperla raccontare e tramandare». 
 
Esiste un modello di stadio dal quale il Toro dovrebbe partire, nel caso in cui Cairo facesse sul serio sullo stadio di proprietà? 
«No, perché lo stadio è un abito su misura. Prima bisogna pensare alla sostenibilità, cercando di guardare 20 anni avanti, alla fruibilità di un evento fra 20 anni: i grandi progetti nascono così. Il Toro deve fare lo stadio del Toro, non quello di altri» 
 
Toro è anche Italia: la macchina burocratica resta un ostacolo. 
«La verità è che bisogna avere competenze tecniche e una grande volontà di fare le cose. Bisogna perseguire l'obiettivo. Si possono studiare i casi di Frosinone, Udinese, Atalanta e Juventus, per esempio. Il presidente Stirpe, a Frosinone, si è messo d’impegno e ha fatto lo stadio: la burocrazia non può essere un alibi» 
 
Lei parla di competenze. Ma per posare la prima pietra da dove bisogna partire? 
«Sicuramente non dall'architetto. Io, committente, decido che cosa fare: quanti skybox voglio, quanti parcheggi desidero predisporre, quali servizi pubblici mettere in collegamento con l'impianto. L’architetto mette insieme i miei desiderata, mentre troppo spesso si parte dall’opposto. La domanda da porsi in una fase di avvio è: in che casa voglio vivere? Uno stadio deve parlare al futuro, mai al presente» 
 
Il suo libro si intitola “Soldi vs idee”. Ma chi vince la partita? 
«Sempre le idee, perché possono creare valore sociale, economico e ambientale. Nel sistema calcio, in cui gli stipendi crescono più dei fatturati, non si può prescindere dalla forza delle idee e dalla volontà di fare le cose. Lo stadio è l’esempio più facile da scegliere: chi vuole farlo, lo fa».

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