Sei stagioni condite da 75 presenze e 2 gol in granata per Danilo Pileggi, calabrese di Lamezia Terme, oggi 65enne. Da allenatore ha poi vinto due scudetti (con il Saint George in Etiopia e con la Berretti del Benevento) e da anni collabora con un’agenzia di scouting internazionale: tra gli altri, ha segnalato Camavinga e Tchouamèni, Leao del Milan e enfant prodige il turco Guler.
Negli occhi ancora lucidi l’emozione dell’esordio con gol in Torino-Bologna nel ’78 ...
"Mi tremavano la gambe, ero appena 20enne, un susseguirsi di emozioni: prima in panchina, poi quel 'dai riscaldati che entri di Radice, e quindi il boato dello stadio al mio gol. Il sogno si stava realizzando".
Pileggi, quanta emozione entrando al Filadelfia per la prima volta?
"Tanta felicita! Arrivai in un grande gruppo che due anni prima aveva vinto lo scudetto e l’anno dopo fu secondo con 50 punti. Fu la stagione più bella per me".
Quello “spirito Toro” che ti fa andare oltre: è proprio così?
"Certo! Entri al Filadelfia e senti un’atmosfera speciale vedendo in un locale vicino allo stadio i resti dell’aereo di Superga. Impossibile non ti rimanga addosso l’indelebile marchio granata. E poi i tifosi che riempivano il Filadelfia, allora sempre aperto per gli allenamenti, ti trasmettevano passione e appartenenza. È stato un onore aver fatto parte di un club così ricco di storia".
Junior, Schachner, Zaccarelli, Dossena, Graziani, Pulici e un tecnico come Radice: tanti maestri...
"Solo guardandoli apprendevi molto. Radice fu un precursore col pressing e fuorigioco. Pretendeva molto, anche col lavoro fisico, e se rallentavi pure in allenamento si incazzava di brutto".
Il derby top?
"Da tifoso il mitico 3-2 in rimonta. In campo il 2-1 del 1984 con gol allo scadere di Serena, dopo il vantaggio di Platini e pari di Francini".