Sanabria, la porta si restringe: l'insicurezza annebbia il bomber Toro

Ansie e gol mangiati. Ma un anno fa il terminale del gioco era soltanto lui. Viaggio nella metamorfosi di Tonny

La porta di Tonny si è ancor più ristretta poco dopo la mezz’ora di sabato scorso, durante il primo tempo contro la Fiorentina. Quando Vanja, direttamente dalla propria porta, l’ha lanciato verso Terracciano. Metro dopo metro, sfruttando un corridoio, Sanabria ha cominciato ad avanzare in velocità incuneandosi nel ventre molle dei viola. Difensori lontani, portiere sempre più vicino. Potenzialmente, una comfort zone per un attaccante. Psicologicamente, per lui, un conto alla rovescia. Un rintocco dopo l’altro. Un orologio che nella sua testa si ingrandiva come l’ombra mostruosa di Nosferatu in una celebre scena del film che Murnau dedicò al vampiro, cent’anni fa. Fino a che Sanabria non si è ritrovato al limite dell’area. Immaginiamo che a ogni passo, a ogni metro solcato, davanti ai suoi occhi abbia intravisto la porta sempre più piccola, come un magione infeltrito. Eppure non si è arreso. E a gran velocità è anche entrato, in area. Coltivando la chance, a quel punto, di tirare in porta una botta di quelle che nei fumetti riempiono una pagina intera. Bum! In diagonale, oppure sul primo palo, rasoterra, o sotto la traversa. Una botta, in ogni caso.

Sanabria e i gol divorati

Di quelle che Levratto detto Sfondareti lasciava partire in serie quando giocava nel Genoa, sempre cent’anni fa. Sino a diventare proverbiale. E così, con l’ombra di Nosferatu nell’animo, Tonny si è probabilmente ritrovato sempre meno sereno, sempre meno leggero e sempre meno libero, inconsciamente. Perché Terracciano era intanto diventato sempre più grande e i pali sempre più stretti. E perché appena una decina di minuti prima Sanabria si era già divorato un gol, tirando di prima quasi un rigore in movimento su un servizio basso di Ricci, smarcante. Fuori, e anche di molto. Incredibile. E non era certo la prima volta, di questi tempi. Anche contro la Roma. Anche contro la Lazio, quando oltretutto aveva toccato con mano di avere contro pure la sfortuna. Una tempesta perfetta, ovvero micidiale. Quel palo colpito a inizio partita, in pieno, stavolta tirando troppo bene. E di gol se ne era mangiati anche in altri incontri, in questi mesi.

Il digiuno di Sanabria

L’ultima volta che l’ha buttata dentro risale a inizio gennaio. Contro il Napoli, manco a dirlo. Per cui a Napoli, venerdì, saliranno a 61 i suoi giorni di digiuno: terminerà o proseguirà, la quaresima? Mai in tutta la carriera aveva segnato così poco (3 in 24 partite, di cui 19 da titolare. E neanche un assist). Lo scrivevamo già un mese fa. Dispiace dover ripeterci. Per cui non possiamo che immaginarlo poco sereno psicologicamente, inconsciamente, quando l’altra sera s’è ritrovato in area con Terracciano davanti: solo da colpire, solo da bucare. Ma evidentemente quel conto alla rovescia nei secondi in fuga e quella porta diventata man mano più piccola gli hanno annebbiato lo spirito e turbato l’ardore. Avrà avuto fin paura di tirare? Di dover tirare? Così ha rallentato, per tentare un dribbling sull’accorrente Ranieri nella speranza di guadagnar tempo e avvicinarsi un altro po’. E tentennando ha perso palla. E lo stadio ha imprecato. E per un attimo Tonny si sarà sentito solo fino in fondo: con la sua cifra tecnica e il suo talento non più a fuoco.

Il Sanabria di un anno fa

E dire che un anno fa, tra gennaio e maggio, la buttava dentro quasi a ogni occasione. E in tutti i modi. Con tocchi di classe dopo dribbling a forma di arabesco, in anticipo, di testa, di piede, d’astuzia, di potenza, in mischia, da vicino, da lontano. A fine stagione: 12 gol, record personale in un campionato. I tifosi si stropicciavano gli occhi. E Juric lo incensava di continuo, a parole. Il 3-4-2-1 con Vlasic e Radonjic o Karamoh alle spalle era perfetto per Tonny, un po’ terminale e un po’ falso nove. Il punto di riferimento in avanti era lui e soltanto lui. Invece in questa stagione non è più così. In ritiro si era presentato appesantito secondo Juric, non esattamente soddisfatto. Poi ad agosto la società bloccò la sua possibile partenza per una big, Lazio, Milan o Roma che fosse. Quindi arrivò Zapata a monopolizzare l’attacco: e Sanabria si ritrovò automaticamente retrocesso in panca. Da ottobre il cambio di modulo: 3-4-1-2, però sempre e soprattutto con il colombiano, bomberone vero, quale magnete (anche lui 24 presenze in granata, ma con 8 gol e 3 assist).

Sanabria e il rinnovo

Neanche il rinnovo contrattuale sino al 2026 sancito a inizio gennaio gli ha squarciato la nebbia. E più volte Juric è arrivato a sottolinearne anche in conferenza le prestazioni non soddisfacenti. Ormai da diverse settimane, suo malgrado, Sanabria ci è parso inglobato da un tunnel di ansie da prestazione e insicurezze: i genitori degli errori. Non si discute l’impegno. O la professionalità. La sua generosità in campo. E l’abnegazione in allenamento, a maggior ragione visto che da mesi soffre ciclicamente di una fastidiosa tendinite: ci convive. Ma è che Tonny non sembra più lui. La buona tecnica e il fiuto restano però sue virtù. E per spazzar via certe nebbie davanti agli occhi o per accendere la luce e scoprire che non c’è nessun Nosferatu, può risultare sufficiente anche solo un gol di fondoschiena, se non alla Levratto. Un qualcosa capace di squarciare all’improvviso un sipario. Lo meriterebbe, per lo spirito che profonde. E dopo: sentirsi libero e leggero, come mai. Chissà, magari a Napoli ci sarà il sole, venerdì notte.

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