Pagina 2 | “Tutti pensano che io ce l’abbia con la Juve. Lippi? Ormai potrebbe ammetterlo…"

Aldo, ha scritto nel suo ultimo libro zibaldone, una collezione di riflessioni con afflato poetico: «Sono il peggior nemico di me stesso, ma nel mio mondo non esiste l’odio». Oppure: «Vivo l’età dei ricordi e dei sospiri».
«I problemi che ho incontrato me li sono creati io. Ho affrontato la vita a muso duro, come cantava Pierangelo Bertoli in quella canzone meravigliosa. Nella vita sono andato avanti più con l’istinto che col ragionamento e tante volte l’ho pagata. Ma il mio carattere è questo e non lo cambio. Combatto chi è falso o cattivo. Desidero la verità. Mia moglie Nadia mi ha sempre ripetuto: Aldo, pensa a quel che dici prima di parlare. Ma io faccio l’opposto. Il mio carattere esce dal cuore, dall’anima. Non c’è niente da fare».

Domenica, compirà 80 anni. Il giorno dopo il derby.
«Mamma mia come s’è fatto alla svelta! Invecchiare è stato un attimo. Scrivere è il mio passatempo, adesso. Ne sto già scrivendo un altro, di libro. Sono quadretti sulla mia vita e sulla vita di tutti. Butto giù ciò che mi esce dal cuore. Non volevo pubblicarlo, ma la moglie del mio caro fratello Cereser, Lorenza, lesse i miei fogli e iniziò a ripetermi di farci un libro, tanto le piacevano le mie riflessioni. Anche a scuola amavo l’italiano... Mi apro con me stesso, scrivendo. Se no il tempo ti muore in mano. Poi li lesse un amico del Toro che venne a trovarmi qui a Piombino. Franco Carena, amante dell’arte: organizza mostre di quadri. Mi chiese il permesso, prese i fogli e li fece stampare da una tipografia a Torino. Quindi ha distribuito il libro nel suo Toro club. E ha spedito un bel po’ di copie anche a me. E io le regalo agli amici».

Altre riflessioni: «Sono giorni di povertà calcistica per una società che luccica di gloria. Oggi essere tifoso del Toro è un mestieraccio... ma quella maglia è come la mamma».
«Non si vince più niente, a differenza dei miei tempi. Ma bisogna pensare che noi vinciamo e vinceremo sempre: ogni domenica. Il mito rimane. Quando giocavo, abitavo in Lungo Dora Voghera. Praticamente sotto Superga. Dal mio piano c’era una vista meravigliosa sulla basilica. Tutte le mattine era come dire una preghiera per il Grande Torino. Indossavo il numero di uno di quei campioni. E con l’anima colma di emozioni andavo ad allenarmi al Fila. La maglia me la sono sentita subito sotto la pelle. Ho decine di libri sul Grande Torino. La mia salute non mi consentirà di andare a Superga il 4 maggio, per i 75 anni. Resto felicissimo di aver combattuto per un ideale. Ben contento di non essere andato altrove».

La Juventus offrì Zigoni al Toro, per lei. Fine Anni 60.
«Ci fu chi rispose no senza chiedermelo, tanto mi conoscevano. Solo la maglia del Toro poteva regalarmi l’onore di indossare la mitologia. Diventai grande al Fila fin dal vivaio. Passavamo vicino all’elica, alla grande ruota trovata a Superga... Nel cortile gli anziani insegnandoci la storia piangevano... Noi del Toro siamo questi. Una leggenda. Anche tra secoli. Solo noi abbiamo il Grande Torino. Ecco perché il Toro vince sempre. Anche quando perdiamo».

I derby sono una tortura, ormai. Non come negli Anni 60 e 70 con voi in campo.
«Perché non abbiamo giocatori abbastanza bravi per battere quelli della Juve. E per lottare per lo scudetto. Devo recitarvi le nostre formazioni? Non abbiamo più grandi giocatori. E chi tifa, lo fa innanzi tutto per amore. I risultati non basterebbero più. Il tifoso del Toro ama lo spirito. Per questo tramanda la fede».

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Aldo Agroppi e il significato Juve

Ma voi avevate anche altro, oltre al talento.
«Però se non sei buono, non sei buono. Avevamo tanta qualità. E di pari passo veniva il carattere. Il cuore ce l’hanno anche questi, ma non sono abbastanza forti. Mica giocano per perdere! Però ci manca la bravura per sperare in qualcosa di meglio. Bisognerebbe comprare giocatori migliori. E avere più italiani. L’ho detto a Cairo. Se hai 8 stranieri di 8 nazionalità diverse che cambiano di continuo squadra, è impossibile trasmettere valori nostri. Come si faccia a definirlo ancora un campionato italiano non lo so. Non ci sono più le bandiere, la moviola e i procuratori hanno rovinato il calcio e la tv esamina gli arbitri anche sotto le mutande. Sto con gli arbitri, difatti».

Proprio lei?
«Sì. Tutti li aggrediscono con violenza».

Ha detto altro a Cairo?
«Ogni tanto mi chiama per salutarmi e chiedermi consigli. Pres, compri pochi stranieri ma veramente buoni, da salto di qualità. E non a secchiate perché costano meno. Abbiamo una storia meravigliosa, ma non la qualità per combinare qualcosa di serio, da Toro».

Altri consigli?
«Basta con i triennali agli allenatori. Allenare il Toro è un onore, io lo allenerei gratis. Adesso che sta per finire il ciclo di Juric, vorrei che al nuovo allenatore venisse fatto un contratto annuale. Il Toro si deve meritare. Poi, se funziona, lo confermi e gli alzi lo stipendio. A un allenatore che mi chiede un triennale risponderei: prego, lì è la porta. Cosa vuoi, metterti il sedere al caldo per tre anni? Invece si fanno questi contratti lunghi a scatola chiusa. A Juric come un po’ a tutti. Ma chi era Juric, da dove arrivava? Aveva vinto come Mourinho? E questo vale mica solo per Juric».

E Cairo cosa le ha risposto?
«Che se non gli avesse dato un triennale, non sarebbe venuto ad allenarci».

Juric e il tabù Juve

Cosa significa per lei la Juve, Aldo?
«Tutti pensano che io ce l’abbia con la Juve a priori, ma non è assolutamente così. Giocare contro la Juve era bellissimo. Un desiderio fortissimo, perché non ci siamo mai sentiti inferiori ed era meraviglioso sfidarli e vincere. Una festa ogni anno. E se non fosse morto, con Meroni avremmo vinto lo scudetto. L’avremmo vinto pure nel ‘72 se non mi avessero annullato quel gol a Marassi, quando Lippi la respinse oltre la linea».

Brucerà per sempre, Aldo.
«Lo ammise pure l’arbitro Barbaresco in due interviste che conservo. Lippi è anziano come me, ormai potrebbe ammetterlo, su... Darci soddisfazione, invece di negare come ha sempre fatto. Ma ormai siamo vecchi tutti e due. Non è più tempo di fare polemiche. Anzi, gli auguro ogni bene, davvero, sinceramente. Se gli facesse piacere, sarei pronto ad andare a casa sua a stringergli la mano. Alla nostra età, all’ultimo chilometro prima del traguardo, basta litigi».

Proprio in quel 1972 lei segnò il gol vittoria, in un derby.
«Auguro di provare una gioia del genere al nostro bimbo tanto educato che abbiamo in squadra, che è un po’ il nostro futuro. Ricci. O a Buongiorno, un altro bravo ragazzo. Gli ho spedito il mio libro, mi ha ringraziato, mi ha fatto piacere».

Mandò a casa Graziani, nel suo primo giorno al Fila...
«E ancor oggi mi ripete: grazie, fratello. Si presentò con la Porsche appena comprata. A muso duro gli dissi: questo è un luogo sacro, non un circuito! Quante partite hai fatto in A? E lui: nessuna. E io: appunto. Lo maltrattai: riporta quell’auto dal concessionario e vieni in tram, d’ora in poi. Il Fila si deve meritare. E se l’è meritato, Ciccio».

Un rinforzo per la prossima stagione?
«Comincio dalla porta. Castellini e Lido Vieri, un tempo a testa. Sarebbero meglio».

Il derby alla tv.
«Soffrirò da morire e tiferò come un matto. Tanto poi perderemo come sempre. Ma in realtà noi continueremo a vincere tutte le domeniche. Noi non perdiamo mai perché abbiamo la leggenda. Un atto d’amore».

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Aldo Agroppi e il significato Juve

Ma voi avevate anche altro, oltre al talento.
«Però se non sei buono, non sei buono. Avevamo tanta qualità. E di pari passo veniva il carattere. Il cuore ce l’hanno anche questi, ma non sono abbastanza forti. Mica giocano per perdere! Però ci manca la bravura per sperare in qualcosa di meglio. Bisognerebbe comprare giocatori migliori. E avere più italiani. L’ho detto a Cairo. Se hai 8 stranieri di 8 nazionalità diverse che cambiano di continuo squadra, è impossibile trasmettere valori nostri. Come si faccia a definirlo ancora un campionato italiano non lo so. Non ci sono più le bandiere, la moviola e i procuratori hanno rovinato il calcio e la tv esamina gli arbitri anche sotto le mutande. Sto con gli arbitri, difatti».

Proprio lei?
«Sì. Tutti li aggrediscono con violenza».

Ha detto altro a Cairo?
«Ogni tanto mi chiama per salutarmi e chiedermi consigli. Pres, compri pochi stranieri ma veramente buoni, da salto di qualità. E non a secchiate perché costano meno. Abbiamo una storia meravigliosa, ma non la qualità per combinare qualcosa di serio, da Toro».

Altri consigli?
«Basta con i triennali agli allenatori. Allenare il Toro è un onore, io lo allenerei gratis. Adesso che sta per finire il ciclo di Juric, vorrei che al nuovo allenatore venisse fatto un contratto annuale. Il Toro si deve meritare. Poi, se funziona, lo confermi e gli alzi lo stipendio. A un allenatore che mi chiede un triennale risponderei: prego, lì è la porta. Cosa vuoi, metterti il sedere al caldo per tre anni? Invece si fanno questi contratti lunghi a scatola chiusa. A Juric come un po’ a tutti. Ma chi era Juric, da dove arrivava? Aveva vinto come Mourinho? E questo vale mica solo per Juric».

E Cairo cosa le ha risposto?
«Che se non gli avesse dato un triennale, non sarebbe venuto ad allenarci».

Juric e il tabù Juve

Cosa significa per lei la Juve, Aldo?
«Tutti pensano che io ce l’abbia con la Juve a priori, ma non è assolutamente così. Giocare contro la Juve era bellissimo. Un desiderio fortissimo, perché non ci siamo mai sentiti inferiori ed era meraviglioso sfidarli e vincere. Una festa ogni anno. E se non fosse morto, con Meroni avremmo vinto lo scudetto. L’avremmo vinto pure nel ‘72 se non mi avessero annullato quel gol a Marassi, quando Lippi la respinse oltre la linea».

Brucerà per sempre, Aldo.
«Lo ammise pure l’arbitro Barbaresco in due interviste che conservo. Lippi è anziano come me, ormai potrebbe ammetterlo, su... Darci soddisfazione, invece di negare come ha sempre fatto. Ma ormai siamo vecchi tutti e due. Non è più tempo di fare polemiche. Anzi, gli auguro ogni bene, davvero, sinceramente. Se gli facesse piacere, sarei pronto ad andare a casa sua a stringergli la mano. Alla nostra età, all’ultimo chilometro prima del traguardo, basta litigi».

Proprio in quel 1972 lei segnò il gol vittoria, in un derby.
«Auguro di provare una gioia del genere al nostro bimbo tanto educato che abbiamo in squadra, che è un po’ il nostro futuro. Ricci. O a Buongiorno, un altro bravo ragazzo. Gli ho spedito il mio libro, mi ha ringraziato, mi ha fatto piacere».

Mandò a casa Graziani, nel suo primo giorno al Fila...
«E ancor oggi mi ripete: grazie, fratello. Si presentò con la Porsche appena comprata. A muso duro gli dissi: questo è un luogo sacro, non un circuito! Quante partite hai fatto in A? E lui: nessuna. E io: appunto. Lo maltrattai: riporta quell’auto dal concessionario e vieni in tram, d’ora in poi. Il Fila si deve meritare. E se l’è meritato, Ciccio».

Un rinforzo per la prossima stagione?
«Comincio dalla porta. Castellini e Lido Vieri, un tempo a testa. Sarebbero meglio».

Il derby alla tv.
«Soffrirò da morire e tiferò come un matto. Tanto poi perderemo come sempre. Ma in realtà noi continueremo a vincere tutte le domeniche. Noi non perdiamo mai perché abbiamo la leggenda. Un atto d’amore».

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