La Superlega smaschera la Uefa, soldi per la propaganda: battaglia social

La battaglia mediatica spacca il calcio, ecco cosa accadrà nei prossimi mesi dopo la storica sentenza della Corte UE
La Superlega smaschera la Uefa, soldi per la propaganda: battaglia social

«Pescante, Matarrese, Campana e i giocatori contrari: troveremo una via d’uscita». Così titolava Tuttosport il 16 dicembre del 1995, all’indomani della pronuncia della Corte di Giustizia Europea sul caso Bosman. Il presidente del Coni, quello della Figc e quello dell’Assocalciatori erano fortemente contrari a quella che sarebbe stata la rivoluzione del calciomercato. Il coro di no che si alzò quel giorno, tuttavia, non fermò la valanga che nel giro di pochi anni ha ribaltato il mondo del pallone. Non è detto che la storia si ripeta sempre, ma qualcosa la storia dovrebbe insegnare. Per esempio che una sentenza della Corte di Giustizia Europea può piacere o non piacere, ma diventa legge per tutti. Poi c’è spazio per tutto e per tutti, soprattutto se c’è la volontà di dialogare e i tavoli dove farlo. I secondi non mancherebbero, è la volontà a mancare.

Ovvio, a quarantotto ore dalla sentenza, è naturale che vada avanti la battaglia mediatica. Così, dopo essere stata indicata come un monopolio che abusa della sua posizione dominante, l’Uefa sta continuando un pressing di sacchiana memoria sui club e spende dei soldi (non pochissimi, pare) per “sponsorizzare” l’hashtag “Guadagnatevela sul campo”, ovvero perché quello slogan si diffonda sui social non perché condiviso naturalmente dagli utenti, ma perché spinto dalle piattaforme.

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La Superlega e le parole di Reichart

Quelli di A22, la società della Superlega, lo hanno scoperto e, in modo molto social, hanno usato proprio quell’hashtag per lanciare un loro post di spiegazione della Superlega, scroccando i soldi spesi dall’Uefa per diffondere il proprio messaggio. Al netto delle scarumucce social, tuttavia, il vero problema della Superlega è convincere più club possibili nei prossimi mesi. Il giro di Reichart e dei suoi collaboratori inizierà a gennaio.

Come ha spiegato ieri lo stesso Reichart: «Inizia un’altra era di dialogo e a un certo punto comunicheremo i club che costituiranno la Superlega. Non faremo forzature per costringere i club a dire oggi “io ci sono”. Non siamo qui per creare muri. Questo è per unire, non per dividere». E poi rivela un retroscena che, nell’ambiente del calcio, è tutt’altro che segreto: «Alcuni dei club che oggi dicono ‘no’ mi hanno chiamato per spiegarsi: “Diciamo no, però siamo con voi. Il calcio di oggi non è né innamorato, né leale fino in fondo al monopolio. Oggi molti club hanno fatto dichiarazioni in cui continuiamo a vedere il braccio lungo di un potere che dura da 70 anni».

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La chiave per la Superlega

La chiave è solo questa: per la realizzazione della Superlega bastano i sì dei club importanti. È tutt’altro che un ostacolo basso, ma è l’unico. Gli uomini della Superlega lo sanno e si danno mesi per provarci e il primo passaggio sarà convincere le leghe nazionali che il loro progetto non li penalizza o, per lo meno, non li penalizza più di quanto fa e farà ancora di più la Champions League. Non ha fretta la Superlega, perché nei programmi di qualche mese fa la partenza era stata fissata nel settembre 2025. Certo, ora c’è chi, nell’entusiasmo della sentenza favorevole, ipotizza anche l’avventurosa possibilità di anticipare di un anno, ma non sono le tempistiche ciò che conta, ma il coinvolgimento dei club attraverso il progetto, le prospettive remunerative (che sulla carta dovrebbero essere significativamente superiori a quelle garantite dalla Champions League), la visibilità globale e i maggiori diritti.

L’Uefa agirà in direzione ostinata e contraria (anche se, in teoria, la sentenza della Corte lo vieterebbe). Il risultato di queste due campagne dovrebbe dare l’esito della battaglia. Oppure no, perché mentre l’euforia della vittoria e il bruciore della sconfitta evaporano, si fa lentamente strada l’ipotesi della grande mediazione, del sedersi intorno a un tavolo e trasformare la guerra in uno sviluppo collegiale del calcio europeo. Reichart ha già teso la mano all’Uefa, Ceferin mantiene una postura mascellosa, ma fra i suoi c’è chi pensa che il dialogo sarebbe una buona idea.

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«Pescante, Matarrese, Campana e i giocatori contrari: troveremo una via d’uscita». Così titolava Tuttosport il 16 dicembre del 1995, all’indomani della pronuncia della Corte di Giustizia Europea sul caso Bosman. Il presidente del Coni, quello della Figc e quello dell’Assocalciatori erano fortemente contrari a quella che sarebbe stata la rivoluzione del calciomercato. Il coro di no che si alzò quel giorno, tuttavia, non fermò la valanga che nel giro di pochi anni ha ribaltato il mondo del pallone. Non è detto che la storia si ripeta sempre, ma qualcosa la storia dovrebbe insegnare. Per esempio che una sentenza della Corte di Giustizia Europea può piacere o non piacere, ma diventa legge per tutti. Poi c’è spazio per tutto e per tutti, soprattutto se c’è la volontà di dialogare e i tavoli dove farlo. I secondi non mancherebbero, è la volontà a mancare.

Ovvio, a quarantotto ore dalla sentenza, è naturale che vada avanti la battaglia mediatica. Così, dopo essere stata indicata come un monopolio che abusa della sua posizione dominante, l’Uefa sta continuando un pressing di sacchiana memoria sui club e spende dei soldi (non pochissimi, pare) per “sponsorizzare” l’hashtag “Guadagnatevela sul campo”, ovvero perché quello slogan si diffonda sui social non perché condiviso naturalmente dagli utenti, ma perché spinto dalle piattaforme.

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La chiave per la Superlega