Ikuo Maeda e l’importanza per Mazda del design italiano

Padre e figlio, i Maeda hanno contribuito a infondere fascino magnetico alle auto del brand, sempre con un occhio allo stile italiano
Ikuo Maeda e l’importanza per Mazda del design italiano

Spesso siamo talmente concentrati sul prodotto, da non considerare a sufficienza gli uomini che ci sono dietro. E soprattutto, come i valori in campo - professionali, creativi, esperienziali - siano determinanti per la riuscita del prodotto stesso. In Mazda, il capitale umano, e la sua valorizzazione, hanno da sempre una grande importanza. Un’azienda, in cui proprio la caparbietà dei singoli, l’ingegno personale, hanno portato spesso al raggiungimento di grandi risultati.

LA DINASTIA MAEDA

Tra i nomi più importanti nella storia più recente del brand c’è sicuramente quello dei “Maeda”. Matasaburo e Ikuo, padre e figlio. Due generazioni di designer che hanno segnato la storia della casa automobilistica giapponese. Matasaburo, una formazione da ingegnere, votato alla disciplina e alla semplicità, è stato fortemente ispirato dal pensiero e dalle linee guida del Bauhaus tedesco; il figlio Ikuo, un pilota pieno di passione, amante delle emozioni forti, oggi a capo del design di Mazda, si ispira alla sensualità dello stile italiano e all’energia della natura sempre in movimento. A legare entrambi al nostro paese - Matasaburo aveva collaborato con Bertone e Giugiaro ai tempi della nascita della Luce -  un oggetto particolare, estremamente semplice, ma carico di implicazioni: un tagliacarte Ameland, disegnato nel 1962 dall’italiano Enzo Mari per Danese. Matasaburo lo regala a Ikuo, per spiegargli come, con una semplice torsione di un pezzo di metallo, si possa ottenere un effetto del tutto nuovo. Questo è il design.

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IKUO MAEDA: L'INTERVISTA

Qual è il suo rapporto con l’Italia, in particolare con il design italiano? A questo proposito, c’è un oggetto (il tagliacarte di Enzo Mari) che rappresenta qualcosa di speciale per lei. Ci racconta perché?

“È vero, si tratta di questo piccolo oggetto – il tagliacarte di Enzo Mari. Forse se non l’avessi mai visto non mi troverei qui oggi e non avrei scelto di diventare un designer. L’incontro con questo oggetto rappresenta un momento veramente importante per la mia vita. Mio padre, all’epoca responsabile dello stile, lo teneva sempre sulla sua scrivania.
È un oggetto di forma essenziale, veramente bello, ma con un grande contenuto di stile. Ecco, anche in un oggetto così semplice, un contenuto di design lo rendeva unico e di grande impatto. Su di me ha avuto questo effetto. Fino a farmi pensare - ecco, questo è il design.
Ero giovane, probabilmente uno studente delle scuole medie, e da allora ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto fare questo lavoro.
Questa è la mia storia con questo oggetto”.

Quindi questo oggetto è di un designer italiano?

“Sì, questa è un’opera di Enzo Mari. Credo che sia ancora prodotto e venduto, a dimostrazione di quanto il suo design sia ancora attuale. È pratico, facile da impugnare e funzionale, caratteristica tipica del design italiano”.

In particolare, questo oggetto è un buon esempio del design italiano moderno nel rispetto della tradizione?

“Più che la tradizione, rappresenta la funzionalità. Ma non è solo quello… È un bel lavoro dove il designer esprime eleganza, forza e buona costruzione. In un oggetto semplice ma che contiene tutti questi elementi.
L’Italia è un paese che ha una profonda tradizione, quello che ammiro e trovo sorprendente è la capacità di innovare – e quindi aggiungere novità – rispettando questa tradizione.
Per riuscire a fare questo vuol dire che devi avere un livello molto alto, altrimenti rischi di realizzare delle cose troppo eccentriche, perdendo la direzione.
Perciò basta un piccolo dettaglio e buon gusto nella forma per realizzare degli oggetti belli come questo”.

Ci racconta del suo primo incontro con Giugiaro? Che ricordo ha?

“Ricordo che ero un ragazzo, mio padre era il top designer di Mazda. All’epoca stava lavorando sul modello “Luce”, commissionata a Bertone direi nel 1960. Giugiaro e Bertone vennero qui in Mazda a Hiroshima a controllare l’avanzamento del modello. Ero uno studente delle scuole medie ed era la prima volta che incontravo degli stranieri. Per di più dei designer di questo livello. Ero molto emozionato e pensavo “ah quindi sono questi i famosi designer”. Ancora oggi mi ricordo quell’incontro. Ne fui veramente colpito. Erano molto cool".

In che senso era cool? Per la moda?

“Beh si, per il suo modo di presentarsi sicuramente. Nonostante la loro fama, era gentile e amichevole. Ovviamente non capivo quello che dicevano, non ricordo neanche se parlavano italiano inglese. Ma quello che mi impressionò era la passione che avevano e che sapevano comunicare a tutti - l’entusiasmo tipico italiano. In questo senso per me quel momento fu cool”.

Cosa pensa delle auto italiane anche di quell’epoca?

“Ho avuto diverse macchine italiane. Come dire… Sono costruite da chi dell’automobile ne conosce l’essenza. Non esagerano in soluzioni complicate e mantengono naturalità, utilizzando al meglio i materiali. Le auto italiane sanno esprimere bene il senso artigianale ma con eccellenza di stile. Ne cogli la spontaneità. Sono prodotti che senti essere stati realizzati con il cuore e questo trasmette calore. Ancora oggi sanno realizzare automobili straordinarie".

Qual è ancora oggi l’influenza del design italiano sul suo lavoro?

“L’influenza è tutt’ora molto forte. Ad esempio, anni fa, abbiamo presentato la “Vision Coupé”, una concept che in qualche modo voleva riprendere l’eleganza della “Luce Coupé” realizzata per noi da Bertone. La “Luce Coupé” rappresentava il simbolo dell’eleganza in Mazda. Per me, quello che rappresentava la “Vision Coupé” era la rivisitazione dell’eleganza aggiornata ai tempi nostri. Certo, non era facile. Quello era un livello molto alto. La “Vision Coupé” diventava quindi un’auto costruita con la sensibilità italiana ma rivista con i canoni giapponesi. In questo senso, posso dire che quest’influenza è ancora diretta”.

In Italia è stata recentemente presentata la MX-30 e contemporaneamente è stata restaurata la MX-81. Esiste e nel caso quali sono secondo lei i collegamenti tra queste due vetture?

“E in particolare qual è il significato della sigla “MX”? So che adesso la MX-81 è a Milano ed è stata fotografata insieme alla MX-30. Come mi sarebbe piaciuto esserci!
È un momento importante e un incontro pieno di significato considerando il 100° anniversario di Mazda. La MX-81 risale a quell’anno (1981) e fu realizzata per il Salone di Tokyo. Era una vettura talmente innovativa che avevi l’impressione si facesse fisicamente largo tra le altre macchine. Io ero appena entrato in azienda e guardando questa macchina ne rimasi molto colpito e pensai “Ecco, questo è il design… Il design di una macchina”. Era un’auto che, a livello di stile, sfidava tanti temi diversi. Ancora oggi, quella macchina è innovativa e per certi aspetti forse non è stata ancora superata. Era “l’essenza della sfida.
Ecco forse il senso della sigla “MX” è quello della “challenge” – del voler arrivare a creare qualcosa di nuovo, sfidando le convenzioni. In questo senso la MX-30 e la MX-81 sono collegate. La MX-30 è la prima EV di Mazda ma non è solo questo. È un’auto che nasce con l’ambizione di raggiungere nuovi valori. In questo senso è come la MX-81. L’idea della sfida verso qualcosa di nuovo. Naturalmente le epoche sono diverse… la MX-30 non è solo un veicolo elettrico, ha anche un nuovo stile di porte e degli interni, sono tante le cose dove porta il suo “challenge”. È questa è anche la via per aprire le porte, ampliare gli orizzonti, del “Kodo Design” e segnare in modo chiaro la nostra strada per il futuro”
.

Che cosa rappresenta per lei l’automobile, Maeda-san?

“In fondo questa è la vera la domanda… Nella mia vita l’automobile rappresenta qualcosa di importante. Certo, il mio lavoro è creare automobili ma sono anche la mia passione e il mio hobby. In fondo non credo di esagerare se dico che l’auto è la mia vita”.

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