Viva Sinner ma giù le mani da Jannik

Non sono le mani vergini e sinceramente entusiaste sul campione azzurro a infastidire, ma quelle un po’ troppo interessate, melliflue
Il problema non sono i parvenu, cioè quelli che hanno scoperto di colpo la meraviglia del tennis e adesso la ostentano con una consapevolezza e una terminologia, diciamo, relative. Gli ultimi arrivati, semmai, sono della Sinnermania un effetto ineluttabile e in fondo positivo: come nella musica, nel cinema, in generale nell’arte, la condivisione accresce e mai diminuisce il valore della ricchezza. I nuovi seguaci del tennis - semplici voyeur, improbabili esperti da bar o da social, aspiranti praticanti - sono una cosa bellissima, poiché lo sport è comunque cultura, salute, educazione, vita. Non sono le mani vergini e sinceramente entusiaste su Sinner a infastidire, ma quelle un po’ troppo interessate, melliflue. Si sono subito fatti notare, per esempio, gli interventi retorici e nazionalistici dei politici, che non solo non hanno mai preso una racchetta in mano né sanno se i tornei dello Slam si giochino sulla moquette o sul pavé, ma che sulle questioni sportive farebbero meglio a intervenire per denunciare, affrontare e magari risolvere questioni fondamentali e urgenti, non per infiocchettarsi con la bellezza e la bravura dei nostri campioni quando vincono; e li sentissi mai una volta quando perdono.

Sinner, un personaggio non costruito

Nondimeno, ci è piaciuto da matti il gesto di ritrosia con cui Sinner ha scansato il bacio della Pausini; non già perché la Laurona dell’italcanto appartenga a una delle succitate categorie, ma perché abbiamo avuto la conferma di come Jannik SIA veramente così, e non così FACCIA; nemmeno per costruirsi il personaggio che non è e mai crediamo sarà. Se deve fare uno strappo alle regole della sua timidezza e compostezza, lui lo fa per un tifoso qualsiasi, per un bimbo, per una raccattapalle, per un disabile che abbia bisogno di non sentirsi tale, non per una superstar. E pure ogni tentativo più o meno esplicito di (at)tirarlo in una dimensione mondana di lustrini e moine alla quale il suo amico Berrettini non ha saputo resistere, né per autodifesa sottrarsi, pare destinato al fallimento. E ne siamo felici. Come del suo imbarazzo a fronte degli elogi fin eccessivi di Serenona Williams. E della sua signorilità nel non vendicarsi di chi lo aveva definito non italiano, magari perché preferiva allenarsi anziché accettare lusinghe e inviti a destra e a manca, di chi pontificava su dove vivesse e pagasse le tasse, di chi alla prima sconfitta ironizzava sul suo borsone Gucci o sul suo no a Sanremo, e adesso lo santifica con imbarazzante faccia tosta, senza avergli mai chiesto scusa. Signori: viva Sinner, sì. Ma giù le mani da Jannik, grazie.

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