Sinner-Wada: vale la pena investire sull'antidoping?
Nove trofei vinti, tre prima di diventare il numero uno (Australian Open, Rotterdam e Miami), sei dopo la conquista della vetta, il 10 giugno… Halle, Cincinnati, US Open, Shanghai, Atp Finals e Coppa Davis. La sensazione forte è che ognuna di queste vittorie abbia contribuito a far sembrare sempre più iniquo il processo che sta per svolgersi, aumentando il numero degli appassionati dalla parte di Sinner, e insieme anche gli interrogativi sulla Wada. Al punto da indurre qualcuno (l’agenzia americana USADA ha in queste ore ritirato i contributi di tre milioni e mezzo di dollari in favore della Wada) a chiedersi se sia il caso di continuare a investire su un antidoping basato solo su formule punitive, mentre il doping prospera nei laboratori che glielo consentono, scienza maligna se ce n’è una, eppure scienza a pieno titolo, chissà quanto lontana da traguardi un tempo impensabili, come il doping non riscontrabile. Di sicuro c’è chi spera che il processo per il caso Clostebol ridisponga le cose com’erano prima. Venti di restaurazione sospingono i feroci paladini della purezza della razza atletica, compresi coloro che non si sono posti troppe domande nell’utilizzare macchinari per ripulire il sangue delle scorie di un’attività sempre più intensa. Ma più il processo si avvicina, più Sinner dà prova di riuscire ad anestetizzare le quotidiane “minzioni fuori dal vaso” di Kyrgios e compagni. Certo deve costargli una gran fatica, proprio come gli costerà addentrarsi in questo Slam mettendo da parte i pensieri negativi.