La battuta è di Sascha Zverev, sotto una foto pubblicata su instagram. Un selfie che ritrae lui e Sinner al ritorno dall’Australia, dopo un match e una sconfitta che il tedesco, a distanza di sette mesi, non ha ancora assorbito. "Almeno nell’aereo mi hanno dato un posto davanti a lui!". Alcaraz, battuto a Wimbledon, gli fa i complimenti così: "Ha giocato due settimane perfette, ha meritato di alzare il trofeo". In campo, dove gli animi sono più riscaldati e le parole partono come pallottole, lo spagnolo si era rivolto a coach Ferrero in termini ben più diretti: "Non lo tengo, non c’è modo. Da fondo campo non tengo il suo gioco". Ho visto Alcaraz scagliare dritti a 170 orari, ma Sinner impone di palleggiare a una velocità di poco inferiore. E sono dieci, dodici, diciotto colpi di seguito. Impossibile stargli dietro su quei ritmi. È come se Sinner giocasse un tennis in sette ottavi, o sincopato, che sono i tempi musicali “feroci”, quelli che fanno sanguinare le mani ai batteristi jazz (ricordate Whiplash, il film da tre premi Oscar, del 2014?).

Tutti ai piedi di Jannik Sinner
È l’inchino al re. E va oltre le cavolate sul doping e le battute sulla carta d’identità. È vero, Jannik sembra un adulto, è pacato, ordinato, silenzioso, razionale, costruttivo, c’è chi lo giudica freddo, anche se lui dice spesso di saper mascherare bene i propri sentimenti, ma che dentro avverte l’inferno delle emozioni che lo il tennis lo sfida a provare. La realtà è che siamo di fronte a un ragazzo serio, estremamente ambizioso, che ha impostato la sua vita e le scelte che ne conseguono intorno al proprio mestiere. "Uno che nei giorni senza partite lo vedi allenarsi per due ore di seguito, con un’intensità che sbalordisce tutti quanti, noi per primi, che facciamo il suo stesso mestiere. Ha un che dell’artigiano, prova, riprova, cerca nuove soluzioni, nuove forme per il suo tennis, e il piacere che prova nel lavorare per migliorarsi glielo leggi in faccia". Parole (ammirate) di Taylor Fritz, uno che non si è mai schierato dalla parte di Sinner, meno che mai nei mesi della tormenta doping, e che proprio alla vigilia della finale ha lanciato la propria Opa a favore di Alcaraz, "tennista sempre imprevedibile, mentre Sinner, anche nei suoi momenti migliori, s’intuisce che cosa stia per fare".
Da Medvedev a Shelton
Il problema è fermarlo, ma questo è un altro discorso. Così, uno a uno, tutti finiscono per inchinarsi al re. Chiunque ci giochi contro, voglio dire. Ognuno a modo suo, chi in stile film di cappa e spada, piegandosi quel poco senza smettere di guardarlo negli occhi, che se volete è una sfida, ma anche un modo per salvare la testa, nel caso quello intenda approfittarne. Altri per raggiunti limiti di sopportazione. È il caso di Medvedev, che per due anni ha ingaggiato con Sinner battaglie aspre, ed è stato l’ultimo a batterlo proprio a Wimbledon, nei quarti dell’anno scorso. "Mai giocato contro uno così forte. Nella mia carriera ho affrontato tutti i Big dei primi anni Duemila. Un po’ invecchiati, è vero, ma sempre fortissimi. Nessuno però faceva correre la palla come lui". E Shelton? Ha spiegato così la sconfitta nei quarti ai Championships: "Con lui sembra che tutto vada a velocità doppia".
