«Ci vediamo a Hangzhou», scrive Berrettini su Instagram alla vigilia del viaggio in Cina, annunciando il rientro e postando un breve video della sua preparazione. La frase ha un che d’improbabile e scherzoso, eppure accarezza una visione giocosa della vita, leggera come la piuma che segue i pensieri di Forrest Gump. Se di questo ha bisogno Matteo Berrettini, che invita a seguirlo nel suo ennesimo ritorno in campo dopo l’infortunio e le avvilite incertezze che l’hanno colto, non resta che augurargli una redenzione definitiva, che gli riservi la piena libertà fisica e ridottissimi motivi d’infelicità. Così fosse, «ci vediamo a Hangzhou», non lontana dalla famosa “ci rivedremo a Filippi” che evoca però il dramma della morte di Giulio Cesare, potrebbe trovare un posto tra i nuovi modi di dire, a indicare un incontro senza tempo, in una città lontana lontana, ma felice. Tanto più che Hangzhou, sede dell’Atp 250 al via da mercoledì 17, undici milioni di abitanti, descritta da Marco Polo come la città dei dodicimila ponti nel suo “Milione”, oggi moderna e attivissima nel commercio di parti elettroniche, ospita uno dei tesori più antichi della Cina, la Pagoda delle Sei Armonie. E l’armonia con se stesso e il suo corpo è proprio ciò che va cercando Matteo.
La seconda volta dell'Hangzhou Open
Un torneo ancora senza storia, che giunge appena alla seconda edizione in campo maschile, ma si svolge in un impianto avveniristico con un rivoluzionario tetto che si apre ruotando su se stesso. Il Piccolo Loto, lo chiamano in città, in realtà l’Olympic Sports Center, 24 petali di cemento e 10 mila posti a sedere. Un complesso di nove campi, con altri due stadi da duemila posti ciascuno. Prize money da oltre un milione di dollari. Rublev, Medvedev, Bublik, Tien, Bu e ZhiZhen Zhang, che nel circuito chiamano Zzz, pare per la sua attività preferita, che è quella di dormire. Infine Cilic, vincitore della prima edizione e dunque campione uscente. Ventotto al via, e per Matteo un quadro di partecipanti di difficile gestione. Ma la sua presenza esula per una volta dal risultato che saprà ottenere.
Berrettini e gli infortuni
Sarà un momento d’introspezione, il suo, nel quale dovrà fare i conti con se stesso, più che con gli avversari. Con il suo fisico, che l’ha mollato durante gli Internazionali dello scorso maggio, al terzo turno contro Ruud, dopo avergli inviato segnali allarmanti già a Madrid, costringendolo al ritiro con Draper. E con la sua testa… Il solito guasto agli addominali (il terzo se la memoria mi aiuta) in realtà è stato risolto in tempi normali, stavolta però ha lasciato in Matteo la sensazione di una battaglia che non finirà mai, e che ha sempre meno voglia di combattere. «Non posso ogni volta ricominciare da capo», aveva detto, amaro. Ci ha provato a Wimbledon, sperando che l’erba gli restituisse la voglia che sentiva perduta. Il match con il polacco Majchrzak peggiorò la situazione, ponendo Berrettini di fronte alla contraddizione più grande, quella di poter disporre dell’avversario senza particolari sforzi e di non avvertire la voglia di farlo. «Stavolta mi si è rotto qui», la frase del congedo, pronunciata indicando la testa.
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