MILANO - Incisività. Preparazione. Competenza. Sandro Piccini, semplicemente la voce del calcio. Dai terrazzi degli appartamenti limitrofi agli stadi, alla semifinale di Champions tra Inter e Milan, ancora una volta: «Ho cominciato nell’era pioneristica delle radio e delle tv private, quando non erano soggetti riconosciuti e non potevamo entrare nei vari impianti sportivi. Non eravamo giornalisti, era tutto un po’ abusivo. La Rai aveva l’esclusiva della radiocronaca, ma raccontava solo il secondo tempo. In pratica i tifosi, agli inizi degli anni ottanta, non sapevano come stesse andando la gara della propria squadra per i primi 45 minuti. Noi capimmo l’importanza della questione. E fu subito boom».
Un altro mondo.
«Non c’erano i cellulari, serviva un telefono fisso. Ci si doveva arrangiare: andare nella cabina dello speaker o trovarsi un balcone da dove seguire il match. Serviva una prolunga e il permesso di stare sul terrazzo. A volte ti portavi la ricetrasmittente ed eri in mezzo al pubblico. Alcune gare le raccontavi col binocolo. Anni avventurosi».
Una sorta di: «Buongiorno, sono Piccinini. Dovrei fare la radiocronaca della partita». Viene da sorridere...
«Andavamo a cercare queste persone in settimana. Il signor Fisco di Genova veniva a prenderci in aeroporto e ci offriva il caffè. Prendevamo 50 mila lira, all’epoca una bella somma. Ma non eravamo soli. Capitava che sui terrazzi ci fossero altri tifosi, che pagavano 10 mila lire per vedere da lì la partita. La vista era quello che era, non avevamo le formazioni, ci dovevamo arrangiare, una gavetta pazzesca».
Quale è stata la sua prima partita?
«Una della Roma per il calcio professionistico, una del Banco Roma e del Torre Maura per quello dilettantistico. Quando andavi nei campi minori ti coccolavano, in Serie A abbiamo sofferto le pene dell’inferno».