Juve-Siviglia, Monchi: “Loro più forti, Chiesa top”. Retroscena su Bremer

Intervista al ds rivale dei bianconeri in Europa League: “Allegri favorito, ma io sogno la finale con la Roma”

Nella grande libreria marrone alle spalle della sua scrivania, campeggiano le sei mini Coppe Uefa vinte con il Siviglia. C'è anche qualche libro perfettamente allineato e un paio di foto personali. Da qualche giorno Monchi può finalmente respirare tranquillamente. Dopo la vittoria ottenuta contro l'Espanyol, la salvezza, seppur non ancora matematica, è oramai un dato di fatto e all'orizzonte c'è la doppia sfida contro la Juventus: «L'incubo è finito, ma la notte non è finita e, per questo, possiamo ancora sognare».
 

Quanto ha sofferto quest'anno?
«Tanto, tanto, tanto. Troppo, forse. È stata una stagione molto difficile. Non avevamo mai vissuto prima d'ora una situazione di classifica dove, invece di guardare su, sei costretto a guardare giù mentre lotti per non retrocedere. Non è facile farlo in una squadra che, negli ultimi quattro anni, ha vinto un'Europa League e si è qualificata tre volte in Champions. Se avessimo dovuto immaginare un anno difficile lo avremmo fatto pensando a essere costretti a lottare per il settimo o ottavo posto, ma mai per la salvezza. Tutto ciò che poteva andare male è andato male».
 
Non le chiedo se rimarrà a Siviglia, ma se ha voglia di farlo.
«Ho sempre detto che per lavorare in un posto uno deve avere il desiderio di fare cose importanti quando apre la porta del proprio ufficio. E io, oggi, questa sensazione ce l'ho. Ora, la cosa più importante è l'eliminatoria con la Juve, ma quando la stagione sarà finita dobbiamo guardarci negli occhi e chiederci perché le cose sono andate in questo modo».


 
Lo sa che la Juve cerca un ds?
(Ride) «Nella mia testa, ora, c'è solo il Siviglia e la volontà di trasformare l'incubo in un sogno».
 
È vero che il calcio ha la memoria corta?
«Sì è vero, ma è così non solo nel calcio, anche nella vita. Conosco bene questo sport, a tre anni giocavo già per strada e so come funziona: se vuoi che gli altri parlino bene di te, devi fare le cose bene. È normale».
 
Cos'ha ereditato l'esperto ds da quel bimbo che giocava per strada?
«Non ho mai perso di vista una cosa: la cosa più importante del calcio è il calciatore. È l'attore decisivo. Ed è per questo che ho sempre cercato di rimanere vicino non solo al professionista, ma anche alla persona che c'è dietro, provandolo a stimolare con l'obiettivo di fargli raggiungere la sua miglior versione».
 
Il presidente Castro ha ricordato alla Juve chi è il re dell'Europa League. Che Siviglia si aspetta di vedere contro la Juve?
«Una squadra simile a quella vista contro il Manchester United. Un Siviglia capace di soffrire, perché ci sarà da soffrire per 120-130 minuti, ma anche il Siviglia che abbiamo visto spesso in Europa League».
 
A Siviglia oramai è un tormentone: "La Juve è favorita, ma...". Qual è il suo "ma"?
«Anche io credo che la Juve sia favorita. Il "ma" esiste per le cose importanti che abbiamo fatto per vincere questa competizione sei volte. Abbiamo battuto squadre più forti di noi: l'Inter, il Manchester, il Benfica, il Liverpool... Questa è la nostra storia e perché mai non si potrebbe ripetere anche questa volta? Sappiamo che sarà difficile. E sappiamo anche che è stata una stagione complicata pure per la Juve e, quindi, vincere l'Europa League sarebbe un successo importante anche per loro. Ma noi, nella nostra storia, siamo riusciti a superare ostacoli difficili, a volte difficilissimi ed è per questo che abbiamo la 'ilusión' di poterlo rifare».
 
Sa che non è semplice tradurre in italiano "ilusión"?
«Lo so benissimo. Ti racconto un aneddoto. Quando sono arrivato a Roma, dopo una settimana, ho fatto una chiacchierata con Daniele De Rossi e ho detto tante volte "illusione" che lui a un certo punto mi ha fermato e mi ha detto "attento che qui illusione è un'altra cosa e non ha lo stesso significato"».

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Dei bianconeri, chi porterebbe a Siviglia?
«Per quanto mi riguarda, uno dei calciatori che più mi ha impressionato è stato Federico Chiesa. Quando ero in Italia lui era a Firenze e per me è un giocatore speciale. La scorsa estate, poi, avrei voluto prendere Bremer, ma è stato impossibile».
 
Da buon romanista è anche un po' anti-juventino?
«No, perché sono uno poco "anti". Voglio battere la Juve, ma solo perché vorrebbe dire che il Siviglia ha vinto».
 
Si è criticato molto Allegri per il gioco non proprio brillante della squadra. È una Juve che fa meno paura rispetto a quella di qualche anno fa?
«È vero che è stato un anno difficile anche per loro, ma se guardi il loro undici titolare ti accorgi che sono tutti forti. Poi guardi la panchina e pensi la stessa cosa. È difficile pensare che la Juve non sia forte».
 
Perché crede che Mendilibar è riuscito dove Lopetegui e Sampaoli hanno fallito?
«In lui abbiamo trovato quello di cui avevamo bisogno: fare cose normali quelle cose che fanno le squadre che lottano per non retrocedere. Per tutti quelli che lavoriamo al Siviglia era una situazione nuova e per questo abbiamo scelto Mendilibar perché ci serviva una persona che conoscesse questa situazione e sapesse come uscirne perché non è la stessa cosa lottare per andare in Champions che per la salvezza».
 
Ci sono tanti ex calciatori della Serie A nel Siviglia: cosa s'impara giocando in Italia?
«La tattica. Anche io ho imparato tanto. È più facile spiegare a un calciatore che è passato dalla Serie A come deve giocare».

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Le è capitato di ricordare con Lamela le vostre esperienze romane?
«Non tanto, il Coco non parla molto (ride, ndr), ma so che la Roma è ancora nel suo cuore».
 
Si aspettava una Roma così competitiva?

«Me lo aspettavo e me lo auguravo».
 
Le piacerebbe sfidare Mourinho in finale?
«Sì, per due ragioni: perché vorrebbe dire che sia la Roma che il Siviglia hanno superato il turno. Sarebbe troppo bello».

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Cosa le manca più di Roma?
«Tante cose, tante. Al di là dei risultati sportivi (il primo anno le cose sono andate bene, il secondo non benissimo), ho vissuto una città bellissima. Ho avuto la possibilità di conoscere al 100% la vita "de" Roma. Mi manca, mi manca tanto. Ma ora sono a Siviglia e sono contentissimo di essere qui».
 

La settimana santa è più sentita a Roma o a Siviglia?  
«A Roma è più profonda, qui si vive più per strada. Sono due forme di sentire la fede in maniera diversa».
 
Secondo lei ha più fedeli la vergine della Macarena, il Papa o Totti?
(Ride) «Tutti e tre. Ognuno di loro ha tanti, tantissimi fedeli».

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Nella grande libreria marrone alle spalle della sua scrivania, campeggiano le sei mini Coppe Uefa vinte con il Siviglia. C'è anche qualche libro perfettamente allineato e un paio di foto personali. Da qualche giorno Monchi può finalmente respirare tranquillamente. Dopo la vittoria ottenuta contro l'Espanyol, la salvezza, seppur non ancora matematica, è oramai un dato di fatto e all'orizzonte c'è la doppia sfida contro la Juventus: «L'incubo è finito, ma la notte non è finita e, per questo, possiamo ancora sognare».
 

Quanto ha sofferto quest'anno?
«Tanto, tanto, tanto. Troppo, forse. È stata una stagione molto difficile. Non avevamo mai vissuto prima d'ora una situazione di classifica dove, invece di guardare su, sei costretto a guardare giù mentre lotti per non retrocedere. Non è facile farlo in una squadra che, negli ultimi quattro anni, ha vinto un'Europa League e si è qualificata tre volte in Champions. Se avessimo dovuto immaginare un anno difficile lo avremmo fatto pensando a essere costretti a lottare per il settimo o ottavo posto, ma mai per la salvezza. Tutto ciò che poteva andare male è andato male».
 
Non le chiedo se rimarrà a Siviglia, ma se ha voglia di farlo.
«Ho sempre detto che per lavorare in un posto uno deve avere il desiderio di fare cose importanti quando apre la porta del proprio ufficio. E io, oggi, questa sensazione ce l'ho. Ora, la cosa più importante è l'eliminatoria con la Juve, ma quando la stagione sarà finita dobbiamo guardarci negli occhi e chiederci perché le cose sono andate in questo modo».


 
Lo sa che la Juve cerca un ds?
(Ride) «Nella mia testa, ora, c'è solo il Siviglia e la volontà di trasformare l'incubo in un sogno».
 
È vero che il calcio ha la memoria corta?
«Sì è vero, ma è così non solo nel calcio, anche nella vita. Conosco bene questo sport, a tre anni giocavo già per strada e so come funziona: se vuoi che gli altri parlino bene di te, devi fare le cose bene. È normale».
 
Cos'ha ereditato l'esperto ds da quel bimbo che giocava per strada?
«Non ho mai perso di vista una cosa: la cosa più importante del calcio è il calciatore. È l'attore decisivo. Ed è per questo che ho sempre cercato di rimanere vicino non solo al professionista, ma anche alla persona che c'è dietro, provandolo a stimolare con l'obiettivo di fargli raggiungere la sua miglior versione».
 
Il presidente Castro ha ricordato alla Juve chi è il re dell'Europa League. Che Siviglia si aspetta di vedere contro la Juve?
«Una squadra simile a quella vista contro il Manchester United. Un Siviglia capace di soffrire, perché ci sarà da soffrire per 120-130 minuti, ma anche il Siviglia che abbiamo visto spesso in Europa League».
 
A Siviglia oramai è un tormentone: "La Juve è favorita, ma...". Qual è il suo "ma"?
«Anche io credo che la Juve sia favorita. Il "ma" esiste per le cose importanti che abbiamo fatto per vincere questa competizione sei volte. Abbiamo battuto squadre più forti di noi: l'Inter, il Manchester, il Benfica, il Liverpool... Questa è la nostra storia e perché mai non si potrebbe ripetere anche questa volta? Sappiamo che sarà difficile. E sappiamo anche che è stata una stagione complicata pure per la Juve e, quindi, vincere l'Europa League sarebbe un successo importante anche per loro. Ma noi, nella nostra storia, siamo riusciti a superare ostacoli difficili, a volte difficilissimi ed è per questo che abbiamo la 'ilusión' di poterlo rifare».
 
Sa che non è semplice tradurre in italiano "ilusión"?
«Lo so benissimo. Ti racconto un aneddoto. Quando sono arrivato a Roma, dopo una settimana, ho fatto una chiacchierata con Daniele De Rossi e ho detto tante volte "illusione" che lui a un certo punto mi ha fermato e mi ha detto "attento che qui illusione è un'altra cosa e non ha lo stesso significato"».

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