Gudmundsson, la libertà sotto Gilardino
Il tutto con il sorriso, Sì perché una delle caratteristiche di questo figlio del Nord che vanta un nonno che fu il primo calciatore islandese a giocare in Italia (nel Milan nel primo dopoguerra) e un papà ex calciatore e allenatore, oggi commentatore televisivo, è proprio il fatto che si diverte quando indossa la maglia rossoblù. Come capita ai ragazzi al campetto, quando basta - o bastava ormai - un pallone per trascorrere un pomeriggio spensierato. Ecco, Gudmundsson è così. Gilardino lo ha capito subito e non lo ha ingabbiato in rigidi schemi, preferendo liberarlo in mezzo al campo. Di fatto l’islandese si muove spesso alle spalle di Retegui nel 3-5-2 o 3-5-1-1, ma tante volte invece ama spostarsi sugli esterni e partire per poi accentrarsi, o scendere in mezzo al campo per far partire l’azione, anche se in questo caso capita meno da quando Milan Badelj e Malinovskyi si sono caricati sulle spalle il ruolo di play.
Glaciale su palla inattiva
Diventa poi glaciale, nel vero senso della parola, quando si tratta di gestire una palla inattiva. Contro il Bologna ha avuto a disposizione due calci di punizione: un gol e una traversa. E poi i rigori battuti senza vivere alcun timore contro il Sassuolo e a Salerno, dove ha strappato la palla dalle braccia di un Retegui che sognava la doppietta personale per un ritorno in grande stile. «Sono il battitore. L’ultimo che ho tirato l’ho segnato: era giusto calciassi io» ha spiegato poi in merito alla diatriba con l’italo argentino su chi avrebbe dovuto calciare all’Arechi. Un altro segnale di una leadership conquistata a suon di prestazioni. E il Genoa sogna in grande proprio grazie ad Albert.