Sinner si rivela: "Vincere un Masters, un sogno. Us Open, sto arrivando"

Il tennista azzurro parla dopo la vittoria di Toronto: "Ora si alza l'asticella e crescono le aspettative"

«Le vittorie portano fiducia, e un Masters 1000 ne porta anche di più. Di contro, aumentano anche le mie aspettative». C’è sempre un pro e un contro, un dare e un avere nelle risposte di Jannik Sinner, a ribadire che niente avviene casualmente, e tutto fa parte di un disegno. Il suo è di crescere ancora, e ancora, sempre di più, senza porsi limiti. E dite, può esserci un limite alla crescita personale? Jannik è convinto che il processo non abbia mai termine.

Studiosi, intellettuali, uomini di cultura sono pronti a dargli ragione. Ma lui che non appartiene né all’una, né all’altra categoria, si limita a una constatazione… «Ora sono felice, mi sento bene, soddisfatto di me stesso, di quanto ho ottenuto. Sono le condizioni giuste per proseguire nel migliore dei modi». Laddove, il verbo proseguire sottintende “nella ricerca di se stesso”.

Aspettative, Jannik. A quali si riferisce?
«Alla ricerca del giusto rapporto tra ciò che ritengo di poter fare, e il risultato finale di quanto ho saputo fare realmente. Ho lavorato bene prima di Toronto, mi sentivo in fiducia, i match giocati mi hanno posto problemi che ho saputo gestire, risolvere, e la fiducia è aumentata partita dopo partita. È stata una bella sensazione. Mi avvicino agli Us Open con la giusta carica, ovvio che parli di aspettative ancora più alte».

Da quanto desiderava una vittoria così, in un Masters 1000?
«Vincere nei Masters è uno dei sogni di ogni tennista. E anch'io da bimbo sognavo una vittoria così. Ho cominciato a crederci di più da quest’anno, perché ho sentito di avere raggiunto il livello per andare un po’ più in là, in ogni torneo. Penso di averlo dimostrato giocando un buon numero di semifinali e anche di finali nei tornei più importanti. Situazioni che mi hanno fatto crescere la voglia di farcela. Naturalmente, nessuno è in grado di prevedere quale sarà il torneo giusto. Ma l’importante è esserci, giungere alle fasi decisive. Per questo la fiducia è così necessaria nel nostro mestiere».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

È venuto a Toronto con Cahill. Qual è il suo rapporto con il coach australiano?
«Darren è importante, per tutti noi del team. Ha visto tanto tennis, conosce da vicino tutte le situazioni che possono capitare. Mi fa lavorare sodo, come Vagnozzi, ma si concede anche dei momenti scherzosi. Abbiamo fissato alcuni obiettivi in questi allenamenti, e stabilito che se ne avessi centrato uno, Darren avrebbe dovuto pagare dazio con una serie di flessioni. Alla fine ho fatto lavorare anche lui. E vai!»

È nato sciatore. Che cosa ha trasferito dallo sci al campo da tennis?
«Ben poco, sono due sport antitetici. L’unico aspetto che li riunisce è la scorrevolezza e l’equilibrio che servono in campo. Ma alla fine ho scelto il tennis perché è uno sport che ti offre sempre una seconda opportunità. Nello sci, se sbagli sei fuori».

De Minaur le manda a dire che i suoi colpi al rimbalzo sono fra i più duri di tutto il circuito.
«Lo ringrazio, è un amico. Ha posto in luce un aspetto sul quale ho lavorato molto. La mia fortuna viene dal fatto che non ero troppo forte fisicamente, quando ho cominciato con il tennis. Questo mi ha obbligato a lavorare molto sulla tecnica dei colpi, per essere il più possibile fluido e flessibile nell’eseguirli. Colpire la palla con più forza è un derivato della fluidità e della flessibilità con cui si esegue il colpo».

Che avversario è stato il suo amico De Minaur?
«È velocissimo, impressionante da quel lato. Nel primo set ha cambiato molto i colpi, ha variato il gioco. Nel secondo set ho colpito un po’ più libero. Eravamo entrambi preparati a una lunga battaglia, per fortuna non ce n’è stato bisogno».

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«Le vittorie portano fiducia, e un Masters 1000 ne porta anche di più. Di contro, aumentano anche le mie aspettative». C’è sempre un pro e un contro, un dare e un avere nelle risposte di Jannik Sinner, a ribadire che niente avviene casualmente, e tutto fa parte di un disegno. Il suo è di crescere ancora, e ancora, sempre di più, senza porsi limiti. E dite, può esserci un limite alla crescita personale? Jannik è convinto che il processo non abbia mai termine.

Studiosi, intellettuali, uomini di cultura sono pronti a dargli ragione. Ma lui che non appartiene né all’una, né all’altra categoria, si limita a una constatazione… «Ora sono felice, mi sento bene, soddisfatto di me stesso, di quanto ho ottenuto. Sono le condizioni giuste per proseguire nel migliore dei modi». Laddove, il verbo proseguire sottintende “nella ricerca di se stesso”.

Aspettative, Jannik. A quali si riferisce?
«Alla ricerca del giusto rapporto tra ciò che ritengo di poter fare, e il risultato finale di quanto ho saputo fare realmente. Ho lavorato bene prima di Toronto, mi sentivo in fiducia, i match giocati mi hanno posto problemi che ho saputo gestire, risolvere, e la fiducia è aumentata partita dopo partita. È stata una bella sensazione. Mi avvicino agli Us Open con la giusta carica, ovvio che parli di aspettative ancora più alte».

Da quanto desiderava una vittoria così, in un Masters 1000?
«Vincere nei Masters è uno dei sogni di ogni tennista. E anch'io da bimbo sognavo una vittoria così. Ho cominciato a crederci di più da quest’anno, perché ho sentito di avere raggiunto il livello per andare un po’ più in là, in ogni torneo. Penso di averlo dimostrato giocando un buon numero di semifinali e anche di finali nei tornei più importanti. Situazioni che mi hanno fatto crescere la voglia di farcela. Naturalmente, nessuno è in grado di prevedere quale sarà il torneo giusto. Ma l’importante è esserci, giungere alle fasi decisive. Per questo la fiducia è così necessaria nel nostro mestiere».

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