È venuto a Toronto con Cahill. Qual è il suo rapporto con il coach australiano?
«Darren è importante, per tutti noi del team. Ha visto tanto tennis, conosce da vicino tutte le situazioni che possono capitare. Mi fa lavorare sodo, come Vagnozzi, ma si concede anche dei momenti scherzosi. Abbiamo fissato alcuni obiettivi in questi allenamenti, e stabilito che se ne avessi centrato uno, Darren avrebbe dovuto pagare dazio con una serie di flessioni. Alla fine ho fatto lavorare anche lui. E vai!»
È nato sciatore. Che cosa ha trasferito dallo sci al campo da tennis?
«Ben poco, sono due sport antitetici. L’unico aspetto che li riunisce è la scorrevolezza e l’equilibrio che servono in campo. Ma alla fine ho scelto il tennis perché è uno sport che ti offre sempre una seconda opportunità. Nello sci, se sbagli sei fuori».
De Minaur le manda a dire che i suoi colpi al rimbalzo sono fra i più duri di tutto il circuito.
«Lo ringrazio, è un amico. Ha posto in luce un aspetto sul quale ho lavorato molto. La mia fortuna viene dal fatto che non ero troppo forte fisicamente, quando ho cominciato con il tennis. Questo mi ha obbligato a lavorare molto sulla tecnica dei colpi, per essere il più possibile fluido e flessibile nell’eseguirli. Colpire la palla con più forza è un derivato della fluidità e della flessibilità con cui si esegue il colpo».
Che avversario è stato il suo amico De Minaur?
«È velocissimo, impressionante da quel lato. Nel primo set ha cambiato molto i colpi, ha variato il gioco. Nel secondo set ho colpito un po’ più libero. Eravamo entrambi preparati a una lunga battaglia, per fortuna non ce n’è stato bisogno».