Nel calcio e nel giornalismo, questi insopportabili giorni di lutto non finiscono mai. Venerdì Sinisa Mihajlovic, ieri Mario Sconcerti, l’uno e l’altro protagonisti assoluti del nostro mondo. In ambiti diversi e, tuttavia, accomunati dal denominatore della passione assoluta, inarrestabile, che ha scandito le loro vite. Sconcerti è stato Giornalista con la G maiuscola, ché la definizione di firma storica suona riduttiva e non s’attaglia completamente all’uomo e al professionista. Cronista, caporedattore, vicedirettore, direttore di giornali sportivi e generalisti, agenzie d’informazione, commentatore televisivo e radiofonico, editorialista, saltabeccando a proprio piacimento nella multimedialità, la parola magica che, agli inizi di questo secolo, la nostra categoria cercava di capire cosa volesse dire. Erano gli albori della rivoluzione dell’informazione che non finisce mai. E tuttavia, Mario, gran tifoso della Viola, non s’è fatto mancare nulla, nemmeno il gran salto dall’altra parte della barricata, quando divenne direttore generale della Fiorentina, negli anni ruggenti e tumultuosi della gestione Cecchi Gori, culminati nella clamorosa rottura con Antognoni che della Viola è il Simbolo, il Totem, la Bandiera. In morte di Sconcerti, il giornalismo s’inchina al cultore della scrittura esemplare e del congiuntivo, non sciaguratamente scambiato per una malattia dell’occhio da battaglioni di aspiranti emuli.
Una scrittura, ora forbita, ora elegante, ora ruvida, sempre impastata di precisione, numeri, cifre attinte ai quaderni di appunti compilati con cura maniacale. Per non dire del polemista graffiante, icastico, talvolta acido, con il pregio di prendere sempre posizione, esercizio scomodo nel mare magnum dell’ovvietà e della banalità assurte a pratica quotidiana al bar del web, troppo spesso affollato di webeti ignoranti (nel senso etimologico del termine). Potevi condividere o contestare le tesi di Mario, alcune sue sortite negli ultimi tempi improntate a un pragmatico pessimismo calcistico. Ma il rispetto e, soprattutto il consenso di chi lo leggeva in quantità industriale, manifesto e illuminante, sono sempre stati direttamente proporzionali all’efficacia delle sue analisi. Hanno avuto come marchio di fabbrica due caratteri distintivi: la chiarezza e la sintesi. E poi le fatiche librarie, dai titoli che rispecchiano la sete di conoscenza, non di saccenza, che ne sono stati l’imprimatur sconcertiano: “La differenza di Totti, da Meazza a Roberto Baggio l’evoluzione del numero 10”; “Baggio, vorrei che tu Cartesio e io… Il calcio spiegato a mia figlia”, “Con Moser da Parigi a Roubaix”, omaggio al grande amore per il ciclismo coltivato seguendo cinque Giri, tre Tour e tutte le classiche; “Il calcio dei ricchi”. Scrivere, studiare, approfondire, spiegare. “Il divertimento del calcio è che c’è sempre un margine di miglioramento imprevisto da aggiungere. Di solito è la parte migliore”. È la chiosa del suo ultimo commento, scritto il 5 dicembre sul Corriere, in calce a Francia-Inghilterra. Gran bel pezzo, Mario.