Ivan Ventrone: "Papà un duro che scaldava i cuori. La Juve casa sua"

Intervista esclusiva al figlio del preparatore della squadra di Lippi e del Tottenham di Conte, scomparso il 6 ottobre. "Un innovatore che continua a studiare"

Ogni singola parola è come se la pronunciasse anche papà. Giampiero Ventrone se n'è andato troppo presto, ma ha lasciato una grande eredità. Ai suoi calciatori, agli allenatori che hanno lavorato con lui, ma soprattutto alla sua famiglia. Ai figli Ivan e Martina e anche all'amata moglie Cinzia. Nelle frasi di Ivan, ragazzo di 25 anni che oggi lavora in ambito sales in una multinazionale del settore pubblicitario, traspare il rammarico di un figlio che vorrebbe ancora abbracciare il proprio padre. Stringendolo forte, come se lo dovesse salutare per l'ultima volta. Ma a Ivan piace ricordare le cose belle: lo fa con orgoglio smisurato, perché Ventrone gli ha insegnato a vivere a testa alta. Sempre.



Ivan, chi era papà?

«Era speciale, in tutti i sensi. Ha sempre cercato di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti da militare. Per lui rigore e disciplina erano alla base di ogni giornata, di ogni singola scelta. Trasmetteva questi valori ai suoi giocatori e alla sua famiglia. Per tutti era il "Marine", ma creava un'empatia magica. Con chiunque: era una grande persona, in grado di aiutarti e farti tirare fuori il meglio. E nel suo mestiere ha fatto la storia».

In che senso?

«Lui era un innovatore, perché ha sempre studiato in maniera ossessiva. Ha anticipato il concetto di forza nel calcio, è stato uno dei primi a studiare la seduta atletica al termine della partita per i giocatori che non erano scesi in campo. Era così affamato che quando faceva la gavetta nei dilettanti la notte rubava i coni in tangenziale. Ha portato i giocatori in palestra, ha portato la musica in palestra. Non era solo un preparatore atletico, perché aveva una personalità ingombrante. Non ha mai avuto paura del confronto, anche duro. E non è mai sceso a compromessi in tutta la vita».

Marcello Lippi lo ha conosciuto a Napoli e con lui ha iniziato il ciclo d'oro alla Juve.

«Papà è partito dal Real Sant'Anna e dalla Puteolana, poi le giovanili del Napoli e da allora è scattato il feeling con Lippi. Gli anni alla Juventus sono stati i più belli della sua carriera: un decennio indimenticabile, perché ha trovato una società che gli ha permesso di lavorare bene su tutti gli aspetti. Ha messo la Juve davanti alla propria famiglia. La forza di quella società è stata quella di aver concesso carta bianca a tutti i propri uomini di campo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


La personalità di Ventrone è stata spesso un'arma a doppio taglio. Perché?

«Lui non sopportava gli "yes man". Non si fermava al suo lavoro da preparatore atletico, ma andava oltre. Aveva idee forti e le difendeva. Poi nel tempo è cambiato: col passare degli anni è diventato anche più saggio, più riflessivo»

Fino al Tottenham. Che esperienza stava vivendo in Inghilterra?

«Era il suo sogno: lavorare con Antonio Conte, il suo figlioccio, nel campionato più bello del mondo. Spesso era lui che diceva ad Antonio di diminuire i carichi di lavoro, non era più il "Marine" degli anni '90 perché si è evoluto. Non era più l'uomo della campana della vergogna, per intenderci. A Londra gli hanno davvero voluto bene».

Che legame si stava creando col Tottenham?

«Splendido: hanno piantato una quercia secolare in suo onore. Dier ha ringraziato papà per essere tornato a vestire la maglia dell'Inghilterra, Kane e Son si sono legati tantissimo a lui. In questi mesi abbiamo vissuto insieme a Londra: lui alle 6.30 del mattino era al campo. Tutto l'ambiente ha riconosciuto la sua passione smisurata. Si è fatto amare, nonostante non parlasse un buon inglese. Ma sapeva come farsi capire».

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Degli anni della Juventus, quali sono le persone che ha portato nel cuore?

«Montero, Ravanelli, Conte, Davids e Vialli sono stati i suoi pupilli: amava i giocatori di personalità, quelli che riuscivano a trascinare anche gli altri, giorno dopo giorno. E poi era innamorato dalla classe di Zidane, il miglior giocatore che abbia mai allenato».

E fuori dal campo? A chi si è affezionato?

«Papà è cresciuto col mito di Dino Zoff: era il suo idolo, sognava di poter lavorare nella Juventus proprio grazie a lui. E nell'esperienza bianconera ha stretto una profonda amicizia col Dottor Giraudo: si vedevano ancora, a Londra. Ci è stato molto vicino».

Come ha vissuto il tema doping negli anni '90?

«Con grande indifferenza: sapeva che nessuna squadra faceva la fatica di quella Juventus in allenamento. Per questo in campo volavano».


Ivan, descrivici Giampiero Ventrone con un'immagine.

«Con i suoi insegnamenti continui ha permesso a me, a mia madre e a mia sorella di arrivare pronti psicologicamente a vivere questa fase, in cui ci ha lasciato all'improvviso, senza un perché. Mi piace ricordarlo con quando mi ripeteva una frase: "The only easy day was yesterday". Lui era così, con tutti. E se non ragionava in quel modo, gli sembrava di vivere contro natura».

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ogni singola parola è come se la pronunciasse anche papà. Giampiero Ventrone se n'è andato troppo presto, ma ha lasciato una grande eredità. Ai suoi calciatori, agli allenatori che hanno lavorato con lui, ma soprattutto alla sua famiglia. Ai figli Ivan e Martina e anche all'amata moglie Cinzia. Nelle frasi di Ivan, ragazzo di 25 anni che oggi lavora in ambito sales in una multinazionale del settore pubblicitario, traspare il rammarico di un figlio che vorrebbe ancora abbracciare il proprio padre. Stringendolo forte, come se lo dovesse salutare per l'ultima volta. Ma a Ivan piace ricordare le cose belle: lo fa con orgoglio smisurato, perché Ventrone gli ha insegnato a vivere a testa alta. Sempre.



Ivan, chi era papà?

«Era speciale, in tutti i sensi. Ha sempre cercato di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti da militare. Per lui rigore e disciplina erano alla base di ogni giornata, di ogni singola scelta. Trasmetteva questi valori ai suoi giocatori e alla sua famiglia. Per tutti era il "Marine", ma creava un'empatia magica. Con chiunque: era una grande persona, in grado di aiutarti e farti tirare fuori il meglio. E nel suo mestiere ha fatto la storia».

In che senso?

«Lui era un innovatore, perché ha sempre studiato in maniera ossessiva. Ha anticipato il concetto di forza nel calcio, è stato uno dei primi a studiare la seduta atletica al termine della partita per i giocatori che non erano scesi in campo. Era così affamato che quando faceva la gavetta nei dilettanti la notte rubava i coni in tangenziale. Ha portato i giocatori in palestra, ha portato la musica in palestra. Non era solo un preparatore atletico, perché aveva una personalità ingombrante. Non ha mai avuto paura del confronto, anche duro. E non è mai sceso a compromessi in tutta la vita».

Marcello Lippi lo ha conosciuto a Napoli e con lui ha iniziato il ciclo d'oro alla Juve.

«Papà è partito dal Real Sant'Anna e dalla Puteolana, poi le giovanili del Napoli e da allora è scattato il feeling con Lippi. Gli anni alla Juventus sono stati i più belli della sua carriera: un decennio indimenticabile, perché ha trovato una società che gli ha permesso di lavorare bene su tutti gli aspetti. Ha messo la Juve davanti alla propria famiglia. La forza di quella società è stata quella di aver concesso carta bianca a tutti i propri uomini di campo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...
1
Ivan Ventrone: "Papà un duro che scaldava i cuori. La Juve casa sua"
2
Pagina 2
3
Pagina 3