Pelé e quelle volte che fu vicino all'Italia: i tentativi di Juve, Milan e Inter

L'innovativa offerta dell'Avvocato: sommare le azioni della Fiat a un lauto stipendio. Non bastò, così come nel caso delle due squadre milanese

«Il Real Madrid mi fece spesso offerte per trasferirmi in Spagna, ma l’offerta più pressante che abbia mai ricevuto è stata quella di Gianni Agnelli che voleva darmi azioni della Fiat perché andassi alla Juventus». C’è un pizzico di orgoglio in Pelé quando racconta la sua fedeltà al Santos, ricordando quante e quali squadre lo hanno cercato nel suo periodo d’oro, ipotizzando follie di mercato per riuscire a portare in Europa il re del calcio. E, in fondo, anche questo contribuisce alla sua monumentale grandezza: Pelé è di tutti perché non ha mai vestito una maglia europea, non ha mai indossato colori divisivi, tranne il bianco del Santos e l’oro della Seleçao (sì, poi c’è stato il Cosmos, ma - ammettiamolo - è un’altra storia). Eppure all’Italia c’era andato vicino. La Juventus, ma anche l’Inter e il Milan, che nel decennio più grandioso di Pelé erano fra le squadre europee più importanti e ricche, hanno provato in modo concreto a compiere quella che sarebbe stata la più clamorosa operazione di calciomercato di tutti i tempi.

La Juventus

Agnelli si era innamorato di Pelé ai Mondiali del 1958 in Svezia, quando O Rei era giovanissimo, ma già devastante per le difese e per la fantasia dell’Avvocato che, qualche anno dopo, aveva spedito in Brasile Giampiero Boniperti, non ancora presidente della Juventus, ma già operativo come dirigente. «Ero pronto a fare un’offerta folle, perché gli Agnelli mi avevano dato carta bianca, ma non ci fu verso di convincere il Santos con nessuna cifra. E Pelé rispettava la volontà del suo club». D’altronde negli Anni 60 non era possibile svincolarsi e Pelé era tenuto gelosamente in Brasile dalla sua società e dalla Federcalcio: superato un ostacolo, se ne presentava subito un altro, con il risultato di rispedire a mani vuote qualsiasi pretendente. Agnelli voleva rilanciare la Juventus che, dopo l’addio di Boniperti nel 1961 e di Charles nel 1962, vivacchiava. L’idea di affiancare Pelé a Sivori, per quanto in parabola discendente, affascinava l’Avvocato al punto di costruire l’innovativa offerta di ingaggio sommando le azioni della Fiat a un lauto stipendio. Il Santos, però, non mollava: da una parte l’orgoglio di avere il più forte giocatore del mondo, dall’altra la possibilità di monetizzare benissimo la sua presenza con le tournée in Europa, dove una partita con Pelé in campo poteva valere dai 50mila ai 100mila dollari a seconda dello stadio e dell’avversario. In un mese di tour, con una decina di partite in programma, il Santos tornava a casa con 600/700mila dollari, una cifra che oggi equivarrebbe a 80 milioni di euro. Non c’era cifra che i club europei potevano versare per avere quello che per il Santos non era solo un simbolo, ma anche una gallina dalle uova d’oro.

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Il Milan e l'Inter

Pelé, qualche anno fa, aveva inoltre ricordato che il Milan si era avvicinato a lui e, com’era accaduto alla Juventus, venne respinto dal Santos, in compenso però i rossoneri non erano tornati a mani vuote, ma nel 1963 erano tornati con Amarildo, il vice Pelé nella Seleçao. E l’Inter? Pelé non l’ha mai citata, ma Massimo Moratti aveva raccontato come suo padre Angelo, avesse addirittura un contratto in mano, poi stracciato quando il presidente del Santos si era pentito. O, meglio, era stato fatto pentire dalla furia dei tifosi che lo avevano minacciato di morte. A quel punto, raccontava Massimo Moratti, suo padre impietosito aveva rinunciato all’affare e Pelé era rimasto, per l’ennesima volta, a San Paolo.

Parlando di calciomercato, tuttavia, resta sospesa la domanda: se offerte folli negli Anni 60 non avevano smosso il campione dal Santos, quanto varrebbe oggi Pelé? Nel pieno della sua carriera, ovvero a metà degli Anni 60, dopo due mondiali vinti e due Intercontinentali, era il giocatore più forte e famoso del mondo, in grado di riempire qualsiasi stadio con l’annuncio della sua presenza. C’è qualcuno come lui oggi? Forse no, senza entrare nella questione tecnica, neanche Messi e Ronaldo hanno toccato la popolarità e l’universale ammirazione di Pelé in quel periodo. Quindi? Duecento milioni? Trecento? Nessuno può rispondere perché nessuno è mai riuscito a comprare un re.

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«Il Real Madrid mi fece spesso offerte per trasferirmi in Spagna, ma l’offerta più pressante che abbia mai ricevuto è stata quella di Gianni Agnelli che voleva darmi azioni della Fiat perché andassi alla Juventus». C’è un pizzico di orgoglio in Pelé quando racconta la sua fedeltà al Santos, ricordando quante e quali squadre lo hanno cercato nel suo periodo d’oro, ipotizzando follie di mercato per riuscire a portare in Europa il re del calcio. E, in fondo, anche questo contribuisce alla sua monumentale grandezza: Pelé è di tutti perché non ha mai vestito una maglia europea, non ha mai indossato colori divisivi, tranne il bianco del Santos e l’oro della Seleçao (sì, poi c’è stato il Cosmos, ma - ammettiamolo - è un’altra storia). Eppure all’Italia c’era andato vicino. La Juventus, ma anche l’Inter e il Milan, che nel decennio più grandioso di Pelé erano fra le squadre europee più importanti e ricche, hanno provato in modo concreto a compiere quella che sarebbe stata la più clamorosa operazione di calciomercato di tutti i tempi.

La Juventus

Agnelli si era innamorato di Pelé ai Mondiali del 1958 in Svezia, quando O Rei era giovanissimo, ma già devastante per le difese e per la fantasia dell’Avvocato che, qualche anno dopo, aveva spedito in Brasile Giampiero Boniperti, non ancora presidente della Juventus, ma già operativo come dirigente. «Ero pronto a fare un’offerta folle, perché gli Agnelli mi avevano dato carta bianca, ma non ci fu verso di convincere il Santos con nessuna cifra. E Pelé rispettava la volontà del suo club». D’altronde negli Anni 60 non era possibile svincolarsi e Pelé era tenuto gelosamente in Brasile dalla sua società e dalla Federcalcio: superato un ostacolo, se ne presentava subito un altro, con il risultato di rispedire a mani vuote qualsiasi pretendente. Agnelli voleva rilanciare la Juventus che, dopo l’addio di Boniperti nel 1961 e di Charles nel 1962, vivacchiava. L’idea di affiancare Pelé a Sivori, per quanto in parabola discendente, affascinava l’Avvocato al punto di costruire l’innovativa offerta di ingaggio sommando le azioni della Fiat a un lauto stipendio. Il Santos, però, non mollava: da una parte l’orgoglio di avere il più forte giocatore del mondo, dall’altra la possibilità di monetizzare benissimo la sua presenza con le tournée in Europa, dove una partita con Pelé in campo poteva valere dai 50mila ai 100mila dollari a seconda dello stadio e dell’avversario. In un mese di tour, con una decina di partite in programma, il Santos tornava a casa con 600/700mila dollari, una cifra che oggi equivarrebbe a 80 milioni di euro. Non c’era cifra che i club europei potevano versare per avere quello che per il Santos non era solo un simbolo, ma anche una gallina dalle uova d’oro.

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